L’intellettuale italiano più famoso al mondo torna a recitare la filastrocca anti-Cav in un’intervista al País: "Berlusconismo come il fascismo, conquisterà l’Europa". Da 15 anni grida al regime e snobba l’esito del voto
di Luigi Mascheroni
Le maggiori star intellettuali della sinistra sembrano fare a gara a chi propone le teorie più allarmanti sulla situazione politica attuale. Affetti da antiberlusconismo ossessivo, le menti più brillanti del Paese quando c’è di mezzo il Cavaliere sembrano perdere lucidità con un’accelerazione verso il basso pari solo alla propria ostinazione.
L’ultima lezione in materia arriva dal più riconosciuto dei nostri opinion maker. Umberto Eco. Il quale non perde occasione, soprattutto quando parla ex cathedra all’estero, di negare l’esistenza in Italia di un’opinione pubblica consapevole, di una reale democrazia, di una effettiva libertà. «L’Italia di Berlusconi - ha spiegato ieri Eco in un’intervista al giornale spagnolo El País - annuncia situazioni analoghe in molti altri paesi europei: dove la democrazia entra in crisi, il potere finisce nelle mani di chi controlla i mezzi di comunicazione». «Come l’Italia fu il laboratorio del fascismo, poi copiato in Spagna, in questo momento è il laboratorio del berlusconismo, e bisognerà vedere che cosa succederà», ha messo in guardia il professore. «Non preoccupatevi per noi, preoccupatevi per voi stessi», ha avvertito, liquidando il berlusconismo come «un peronismo europeo». Del resto, il suo collega Alberto Asor Rosa un paio di anni fa arrivò a dichiarare che il fascismo era meglio dell’attuale governo (provocando lo stupore anche di molti compagni «di partito»). Si dice che Silvio Berlusconi non perda occasione per sparlarle grosse. E forse è vero. Ma rispetto a certe uscite dei maître à penser l’impressione è che sia un timido moderato. L’altroieri, guest star al Festival del giornalismo di Perugina, Eugenio Scalfari - altro militante dell’antiberlusconismo radicale - ripetendo l’ennesima, raffinata, analisi politica, ha spiegato che ormai «siamo alla fine di un’epoca» e si è chiesto - anteponendo il canone estetico a quello etico - «come è possibile essere rappresentati da un signore che ogni mattina si dipinge i capelli e si mette il cerone». La risposta, di per sé, è semplice: perché essendo in democrazia lo ha scelto la maggioranza relativa degli italiani. Il guaio è che per le teste pensanti dell’antiberlusconismo non siamo in democrazia, seppur i risultati delle elezioni suggeriscano il contrario. Umberto Eco nell’intervista a El País afferma che «andiamo avanti fingendo che esista una democrazia rappresentativa e che siano i cittadini che eleggono i propri rappresentanti. Ma non è certo che sia così».
Curiosa negazione vivente del principio di non-contraddizione che vorrebbe inconciliabile il gridare al regime e alla censura da ogni tribuna pubblica disponibile nel Paese (dalla prima pagina di Repubblica all’ultima dell’Espresso, dal palco della Milanesiana alla lectio magistralis del Salone del libro di Torino), Umberto Eco continua a urlare che la democrazia è in pericolo da 15 anni, senza peraltro che nessuno glielo abbia mai impedito. Essendo infatti in democrazia.
Ha denunciato più volte la deriva illiberale del governo Berlusconi; ha aderito a tutti i gruppi e le manifestazioni «No Cav» che si sono succeduti in Italia da Pacho Pardi al popolo Viola; è arrivato, anni fa, a proporre di boicottare i prodotti pubblicizzati sulle reti Mediaset; ha dichiarato - nell’aprile 2008, in piena campagna elettorale - che il futuro dell’Italia dipendeva «dal fatto che muoiano una decina di persone che sono ormai molto grandi; è un fatto biologico»; ha denunciato in ogni suo possibile scritto il letale «populismo mediatico» dell’imprenditore-politico Silvio Berlusconi (smentendo l’assunto, confermato da qualche decina di elezioni regionali, politiche, europee che per gli italiani il conflitto di interessi è un non problema); e ha minacciato a ogni tornata elettorale di lasciare l’Italia se il Cavaliere avesse vinto le elezioni.
E tutto ciò, sostenuto con una dialettica invidiabile ma anche con una monotonia e una debolezza argomentativa che non rendono giustizia alla sua intelligenza. Sarà anche il nostro scrittore più famoso nel mondo, però a volte ascoltarlo è davvero pesante. Forse è per questo che alla domanda del País: «Si considera rispettato in Italia?», il professor Eco ha risposto: «Non mi lanciano uova quando parlo... ma mi apprezzano molto di più in Francia, negli Stati Uniti o in Spagna».
Ci ha dato un’idea su come comportarci la prossima volta che finisce di parlare.
L’ultima lezione in materia arriva dal più riconosciuto dei nostri opinion maker. Umberto Eco. Il quale non perde occasione, soprattutto quando parla ex cathedra all’estero, di negare l’esistenza in Italia di un’opinione pubblica consapevole, di una reale democrazia, di una effettiva libertà. «L’Italia di Berlusconi - ha spiegato ieri Eco in un’intervista al giornale spagnolo El País - annuncia situazioni analoghe in molti altri paesi europei: dove la democrazia entra in crisi, il potere finisce nelle mani di chi controlla i mezzi di comunicazione». «Come l’Italia fu il laboratorio del fascismo, poi copiato in Spagna, in questo momento è il laboratorio del berlusconismo, e bisognerà vedere che cosa succederà», ha messo in guardia il professore. «Non preoccupatevi per noi, preoccupatevi per voi stessi», ha avvertito, liquidando il berlusconismo come «un peronismo europeo». Del resto, il suo collega Alberto Asor Rosa un paio di anni fa arrivò a dichiarare che il fascismo era meglio dell’attuale governo (provocando lo stupore anche di molti compagni «di partito»). Si dice che Silvio Berlusconi non perda occasione per sparlarle grosse. E forse è vero. Ma rispetto a certe uscite dei maître à penser l’impressione è che sia un timido moderato. L’altroieri, guest star al Festival del giornalismo di Perugina, Eugenio Scalfari - altro militante dell’antiberlusconismo radicale - ripetendo l’ennesima, raffinata, analisi politica, ha spiegato che ormai «siamo alla fine di un’epoca» e si è chiesto - anteponendo il canone estetico a quello etico - «come è possibile essere rappresentati da un signore che ogni mattina si dipinge i capelli e si mette il cerone». La risposta, di per sé, è semplice: perché essendo in democrazia lo ha scelto la maggioranza relativa degli italiani. Il guaio è che per le teste pensanti dell’antiberlusconismo non siamo in democrazia, seppur i risultati delle elezioni suggeriscano il contrario. Umberto Eco nell’intervista a El País afferma che «andiamo avanti fingendo che esista una democrazia rappresentativa e che siano i cittadini che eleggono i propri rappresentanti. Ma non è certo che sia così».
Curiosa negazione vivente del principio di non-contraddizione che vorrebbe inconciliabile il gridare al regime e alla censura da ogni tribuna pubblica disponibile nel Paese (dalla prima pagina di Repubblica all’ultima dell’Espresso, dal palco della Milanesiana alla lectio magistralis del Salone del libro di Torino), Umberto Eco continua a urlare che la democrazia è in pericolo da 15 anni, senza peraltro che nessuno glielo abbia mai impedito. Essendo infatti in democrazia.
Ha denunciato più volte la deriva illiberale del governo Berlusconi; ha aderito a tutti i gruppi e le manifestazioni «No Cav» che si sono succeduti in Italia da Pacho Pardi al popolo Viola; è arrivato, anni fa, a proporre di boicottare i prodotti pubblicizzati sulle reti Mediaset; ha dichiarato - nell’aprile 2008, in piena campagna elettorale - che il futuro dell’Italia dipendeva «dal fatto che muoiano una decina di persone che sono ormai molto grandi; è un fatto biologico»; ha denunciato in ogni suo possibile scritto il letale «populismo mediatico» dell’imprenditore-politico Silvio Berlusconi (smentendo l’assunto, confermato da qualche decina di elezioni regionali, politiche, europee che per gli italiani il conflitto di interessi è un non problema); e ha minacciato a ogni tornata elettorale di lasciare l’Italia se il Cavaliere avesse vinto le elezioni.
E tutto ciò, sostenuto con una dialettica invidiabile ma anche con una monotonia e una debolezza argomentativa che non rendono giustizia alla sua intelligenza. Sarà anche il nostro scrittore più famoso nel mondo, però a volte ascoltarlo è davvero pesante. Forse è per questo che alla domanda del País: «Si considera rispettato in Italia?», il professor Eco ha risposto: «Non mi lanciano uova quando parlo... ma mi apprezzano molto di più in Francia, negli Stati Uniti o in Spagna».
Ci ha dato un’idea su come comportarci la prossima volta che finisce di parlare.
«Il Giornale» del 27 aprile 2010
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