Una relazione di un famoso storico alla base di due procedimenti. L’accusa: in cattedra grazie ai gerarchi
di Enrico Mannucci
Salvatorelli: «Epurate il poeta amico del duce pagato dal regime, scrisse versi contro gli Alleati»
Scrivere «Nello sterminio folle / orridi appariste / del suggello umano, dimentichi» significa aderire alla campagna fascista, mista di pietismo e di odio, contro la liberazione alleata dell’Italia? Sì, tanto più quando i versi sono compresi in una lirica intitolata «Poeti d’oltreoceano, vi dico» pubblicata nell’agosto 1943, subito dopo i bombardamenti americani su Roma. È la tesi con cui lo storico Luigi Salvatorelli chiese l’allontanamento di Giuseppe Ungaretti dalla cattedra di Storia moderna e contemporanea all’Università di Roma. La vicenda, in gran parte inedita, di un procedimento di epurazione discusso e combattuto a colpi di interpretazioni letterarie, viene ricostruita da Giovanni Sedita in un saggio che compare sul prossimo numero di «Nuova Storia Contemporanea», la rivista diretta da Francesco Perfetti. La situazione di Ungaretti venne messa in discussione a partire dal luglio 1944, dietro il sospetto che la sua nomina accademica avesse seguito un iter irregolare grazie al favore dei gerarchi fascisti e, più in generale, di una stretta contiguità ideologica col regime. Lo giudicava una commissione di tre membri fra cui, appunto, Salvatorelli nominato da Mauro Scoccimarro, Alto Commissario aggiunto per l’epurazione nella pubblica amministrazione. Non va dimenticato che questi provvedimenti - soprattutto in campo culturale - suscitarono non poche perplessità. Proprio nell’agosto 1944 Cesare Zavattini scrisse a Mario Alicata per dissociarsi dall’epurazione degli scrittori e sull’argomento tornò, qualche mese dopo, nella corrispondenza con Bonaventura Tecchi lamentando il pericolo di «esclusioni non meno mostruose di quella di Ungaretti» (da Lettere, Bompiani, 2005). Ungaretti, comunque, si mise d’impegno a contestare le accuse e presentò un lungo memoriale difensivo: riconoscimenti di studiosi, un appello firmato da decine di docenti romani e anche la negazione di particolari contatti col fascismo: «Si può dire che non conoscessi un gerarca». «Nella relazione - nota Sedita - era spiegata la distanza dalle ultime scelte politiche del regime: le leggi antiebraiche e la guerra. Se affermare la propria estraneità al regime non appariva credibile per un antico tesserato del Pnf come lui (si era iscritto al partito il 30 agosto 1924, pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo di Matteotti), tuttavia si poteva ribadire una recente dissidenza». In prima istanza, nel novembre 1944, la commissione si pronuncia per l’archiviazione del procedimento. A tamburo battente, nel gennaio ‘45, Scoccimarro si oppone all’assoluzione. E, nel ricorso, fa largo uso del lavoro di analisi di Salvatorelli che, evidentemente, era stato trascurato o messo in minoranza nel precedente giurì. Un altro verso di «Poeti d’oltreoceano, vi dico» invoca Dio perché conceda «spazio e pane/ esaudendo giuste speranze» che sarebbero quelle di vittoria contro gli angloamericani. Indietro nel tempo, poi, c’è una poesia - «Popolo» - dedicata al Duce, dopo una prefazione che esalta l’opera di Mussolini. Il quale, nel 1923, aveva ricambiato introducendo a sua volta un’edizione - oggi rara - di Il porto sepolto. Infine - ma forse ancor più rilevante - veniva ricostruito il rapporto finanziario che legava il poeta al regime: «dall’esame della rubrica sovvenzioni del ministero della Cultura Popolare risulta che il prof. Ungaretti percepì un assegno di 1.500 lire mensili dall’agosto 1934 al novembre 1942 figurando così tra i pubblicisti protetti dal passato regime come servi particolarmente fedeli». Osserva Sedita: «La politica delle sovvenzioni agli intellettuali divenne una strategia della gestione del consenso parallela al consolidamento del regime. Accettare la sovvenzione significava per l’intellettuale, implicitamente o esplicitamente, con entusiasmo o indifferenza, per fama o indigenza, incentivare un vincolo di dipendenza dal fascismo». E di seguito elenca i beneficiati con regolarità: «Per anni furono destinate mensilmente somme da 500 a 2.000 lire a importanti nomi della cultura italiana come Sibilla Aleramo, Bruno Barilli, Vincenzo Cardarelli, Alfonso Gatto, Corrado Govoni, Pietro Mascagni, Vasco Pratolini, Rosso di San Secondo». Saltuarie erano, invece, le retribuzioni per giovani promesse come Enrico Falqui, Romano Bilenchi, Alessandro Bonsanti, Vitaliano Brancati, Sandro Penna, Salvatore Quasimodo: «Ungaretti ebbe il privilegio di ottenere un sussidio fisso. Il rapporto finanziario si interruppe momentaneamente nel 1939 quando Ungaretti accettò l’incarico all’università di San Paolo (in Brasile; ndr), per riprendere con il versamento degli arretrati (48.000 lire), nel giugno 1942, e di nuove mensilità fino all’assegnazione della cattedra all’Università di Roma nel novembre 1942. In tutto 144.000 lire in nove anni». Le nuove contestazioni obbligarono il poeta a un’ulteriore replica più particolareggiata, dopo che nel primo memoriale aveva detto di «non possedere nulla»: «Era una sovvenzione che si usava dare a scrittori e artisti bisognosi ai miei occhi non aveva diverso carattere della sovvenzione dello Stato all’agricoltore, perché possa portare a termine lavori di bonifica». Poi Ungaretti si addentrava nella lettura critica dei propri testi, interpretando i versi sotto accusa: «Esprimevo con disperazione il mio strazio davanti alla minaccia che dovesse cadere in rovina il più alto patrimonio di bellezza posseduto dall’umanità. Esprimevo il concetto, con accento straziato, ma pieno di tenerezza verso i poeti d’oltreoceano, che non sarebbero così solo caduti i nostri più sacri ricordi, ma anche i loro». La disputa si concluse nel maggio 1945, con la conferma della decisione di primo grado, ovvero il reintegro di Ungaretti in cattedra. A giudizio della Commissione Centrale per l’Epurazione non vi erano elementi per sostenere l’apologia di fascismo. L’unica conseguenza fu, per così dire, artistica. La poesia incriminata sparì da tutte le successive raccolte. Sono sopravvissuti solo gli ultimi due versi - «Del crescere vago dell’erba/ lieta dove non passa l’uomo» - traslocati con una lieve modifica in chiusura di un’altra lirica, «Non gridate più».
Giuseppe Ungaretti nacque nel 1888 ad Alessandria d’Egitto e morì nel 1970 a Milano Studiò alla Sorbona e collaborò con Giovanni Papini e Ardengo Soffici alla rivista «Lacerba». Nel 1914 tornò in Italia, si arruolò e combatté sul Carso e poi in Francia. Nel 1916 pubblicò la raccolta di poesie «Il porto sepolto», cui seguirono «Allegria di naufragi» (1919) e «Sentimento del tempo» (1933)
«Corriere della sera» del 26 ottobre 2005
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