La contiguità con i comunisti? Roba da "traditori". Come l'anticlericalismo militante e il giacobinismo
di Giuseppe Bedeschi
Su Il Mondo, la rivista di Mario Pannunzio pubblicata dal 1949 al 1966, è calata da tempo una aureola di sinistra. A ciò hanno contribuito in primo luogo Eugenio Scalfari e la Repubblica, che hanno sempre presentato il settimanale pannunziano come il luogo d’origine delle loro posizioni; e vi hanno contribuito da ultimo alcuni esponenti del più fanatico giustizialismo robespierrista, i quali hanno rivendicato Pannunzio come loro ispiratore e maestro: un Pannunzio tutto schierato a sinistra, secondo questi Soloni.
Per smentire questa immagine del tutto falsa basta consultare, naturalmente, le annate del Mondo. Ma è di grande aiuto ora il Carteggio Pannunzio-Salvemini (1949-1957), edito dalla Camera dei Deputati, per la cura di Massimo Teodori (pagg. 189, s.i.p.). È un documento di grande interesse, questo carteggio, nel quale vediamo il sorgere e il consolidarsi dell’amicizia fra due uomini così diversi e per età e per formazione intellettuale. Salvemini era nato nel 1873, e la sua cultura era sempre stata di ispirazione democratico-radicale; Pannunzio era nato nel 1910, e la sua cultura era crociana e liberale. Eppure fra questi due uomini, così dissimili sotto tutti gli aspetti, nacque una intesa profonda, che si tradusse in una intensa collaborazione di Salvemini al Mondo. Su quali basi si fondava tale intesa? Si fondava sulla ferma, intransigente difesa della democrazia occidentale, contro tutti i totalitarismi, ma in primis contro il totalitarismo più pericoloso e insidioso nell’Italia di quegli anni: il comunismo. Non a caso, del resto, Salvemini e Pannunzio si trovarono dalla stessa parte della barricata nel 1953, a difendere la legge elettorale maggioritaria voluta da De Gasperi e dai partiti laici minori (la famosa «legge truffa», secondo la falsa etichetta affibbiatale dai socialcomunisti), mentre i Parri, i Greppi, i Calamandrei e i Corbino si schieravano a fianco del PCI e del PSI. Scriveva Pannunzio il 13 marzo 1953 a Salvemini: «La propaganda comunista oggi è puntata contro i partiti minori, accusati di servilismo, tradimento, ecc.; sono portati alle stelle, invece i “liberali” alla Corbino, che finiranno per presentarsi in liste paracomuniste, e tradire così la democrazia e il loro passato». Come osserva giustamente Teodori, Salvemini si trovò d'accordo con la linea «girondina» del settimanale di Pannunzio piuttosto che con la politica «giacobina» dei gruppi antifascisti che pure erano stati a lui più vicini. Di qui l’appoggio all’alleanza dei partiti laici con la DC; di qui la battaglia contro gli «utili idioti» che firmavano le campagne “pacifiste” promosse dal blocco socialcomunista, mentre diversi ex-azionisti accettavano di figurare come fiori all’occhiello del frontismo; di qui l’adesione al Patto Atlantico.
La battaglia democratica di Pannunzio e di Salvemini si manifestò anche nella difesa di personalità invise ai socialcomunisti per aver aperto gli occhi sulla realtà del «paradiso sovietico». È il caso di Angelo Tasca, che fu tra i fondatori e i massimi dirigenti del PCI: espulso dal partito nel 1929 (si era schierato a favore di Bucharin contro Stalin), era passato al Partito socialista, e poi, vivendo in Francia, aveva aderito al regime di Pétain; ma, poco dopo, era entrato in contatto con un gruppo della Resistenza franco-belga. Tasca, atrocemente insultato e diffamato da comunisti e socialisti, trovò in Salvemini e in Pannunzio due coraggiosi difensori ed estimatori, e fu un collaboratore prezioso per Il Mondo.
La battaglia del Mondo contro le intromissioni clericali nella vita italiana è ben nota. Ma essa non significò mai offesa alla religione e alle convinzioni dei credenti. È un documento splendido in tal senso il «saluto» che Salvemini rivolse nel dicembre 1951 a Luigi Sturzo, per i suoi ottant'anni, dalle colonne del Mondo. Lo storico pugliese rendeva omaggio in primo luogo alla sincerità della fede e alla assoluta integrità morale del prete calatino («Don Sturzo è un prete che crede all’esistenza di Dio. Non soltanto nel senso che Dio esiste, ma nel senso che Dio è sempre presente a tutto quello che egli fa e lui gliene deve render conto strettissimo, ora, e nell’ora della morte, e nella valle di Giosafatte. Perciò fa sempre quello che ritiene essere il suo dovere, e con quel dovere non transige mai»). Ma al tempo stesso Salvemini metteva in forte rilievo la costante disposizione di Sturzo a misurare le proprie idee con quelle degli altri, a sottoporle sempre al confronto: «Don Sturzo non è clericale. Ha fede nel metodo della libertà per tutti e sempre. È convinto che, attraverso il metodo della libertà, la sua fede prevarrà sull’errore delle altre opinioni per forza propria, senza imposizioni più o meno oblique. E questo, credo, era quel terreno comune di rispetto alla libertà di tutti e sempre, che rese possibile la nostra amicizia, al di sopra di ogni dissenso ideologico. Debbo certamente a questa amicizia se don Sturzo accetterà con affetto il saluto che gli mando “dall’altra riva” nel suo ottantesimo anniversario». Il metodo della libertà: ecco il grande credo di Salvemini e di Pannunzio.
Per smentire questa immagine del tutto falsa basta consultare, naturalmente, le annate del Mondo. Ma è di grande aiuto ora il Carteggio Pannunzio-Salvemini (1949-1957), edito dalla Camera dei Deputati, per la cura di Massimo Teodori (pagg. 189, s.i.p.). È un documento di grande interesse, questo carteggio, nel quale vediamo il sorgere e il consolidarsi dell’amicizia fra due uomini così diversi e per età e per formazione intellettuale. Salvemini era nato nel 1873, e la sua cultura era sempre stata di ispirazione democratico-radicale; Pannunzio era nato nel 1910, e la sua cultura era crociana e liberale. Eppure fra questi due uomini, così dissimili sotto tutti gli aspetti, nacque una intesa profonda, che si tradusse in una intensa collaborazione di Salvemini al Mondo. Su quali basi si fondava tale intesa? Si fondava sulla ferma, intransigente difesa della democrazia occidentale, contro tutti i totalitarismi, ma in primis contro il totalitarismo più pericoloso e insidioso nell’Italia di quegli anni: il comunismo. Non a caso, del resto, Salvemini e Pannunzio si trovarono dalla stessa parte della barricata nel 1953, a difendere la legge elettorale maggioritaria voluta da De Gasperi e dai partiti laici minori (la famosa «legge truffa», secondo la falsa etichetta affibbiatale dai socialcomunisti), mentre i Parri, i Greppi, i Calamandrei e i Corbino si schieravano a fianco del PCI e del PSI. Scriveva Pannunzio il 13 marzo 1953 a Salvemini: «La propaganda comunista oggi è puntata contro i partiti minori, accusati di servilismo, tradimento, ecc.; sono portati alle stelle, invece i “liberali” alla Corbino, che finiranno per presentarsi in liste paracomuniste, e tradire così la democrazia e il loro passato». Come osserva giustamente Teodori, Salvemini si trovò d'accordo con la linea «girondina» del settimanale di Pannunzio piuttosto che con la politica «giacobina» dei gruppi antifascisti che pure erano stati a lui più vicini. Di qui l’appoggio all’alleanza dei partiti laici con la DC; di qui la battaglia contro gli «utili idioti» che firmavano le campagne “pacifiste” promosse dal blocco socialcomunista, mentre diversi ex-azionisti accettavano di figurare come fiori all’occhiello del frontismo; di qui l’adesione al Patto Atlantico.
La battaglia democratica di Pannunzio e di Salvemini si manifestò anche nella difesa di personalità invise ai socialcomunisti per aver aperto gli occhi sulla realtà del «paradiso sovietico». È il caso di Angelo Tasca, che fu tra i fondatori e i massimi dirigenti del PCI: espulso dal partito nel 1929 (si era schierato a favore di Bucharin contro Stalin), era passato al Partito socialista, e poi, vivendo in Francia, aveva aderito al regime di Pétain; ma, poco dopo, era entrato in contatto con un gruppo della Resistenza franco-belga. Tasca, atrocemente insultato e diffamato da comunisti e socialisti, trovò in Salvemini e in Pannunzio due coraggiosi difensori ed estimatori, e fu un collaboratore prezioso per Il Mondo.
La battaglia del Mondo contro le intromissioni clericali nella vita italiana è ben nota. Ma essa non significò mai offesa alla religione e alle convinzioni dei credenti. È un documento splendido in tal senso il «saluto» che Salvemini rivolse nel dicembre 1951 a Luigi Sturzo, per i suoi ottant'anni, dalle colonne del Mondo. Lo storico pugliese rendeva omaggio in primo luogo alla sincerità della fede e alla assoluta integrità morale del prete calatino («Don Sturzo è un prete che crede all’esistenza di Dio. Non soltanto nel senso che Dio esiste, ma nel senso che Dio è sempre presente a tutto quello che egli fa e lui gliene deve render conto strettissimo, ora, e nell’ora della morte, e nella valle di Giosafatte. Perciò fa sempre quello che ritiene essere il suo dovere, e con quel dovere non transige mai»). Ma al tempo stesso Salvemini metteva in forte rilievo la costante disposizione di Sturzo a misurare le proprie idee con quelle degli altri, a sottoporle sempre al confronto: «Don Sturzo non è clericale. Ha fede nel metodo della libertà per tutti e sempre. È convinto che, attraverso il metodo della libertà, la sua fede prevarrà sull’errore delle altre opinioni per forza propria, senza imposizioni più o meno oblique. E questo, credo, era quel terreno comune di rispetto alla libertà di tutti e sempre, che rese possibile la nostra amicizia, al di sopra di ogni dissenso ideologico. Debbo certamente a questa amicizia se don Sturzo accetterà con affetto il saluto che gli mando “dall’altra riva” nel suo ottantesimo anniversario». Il metodo della libertà: ecco il grande credo di Salvemini e di Pannunzio.
«Il Giornale» del 20 aprile 2010
Nessun commento:
Posta un commento