01 dicembre 2009

Ulrich Schlüer e il no elvetico ai minareti

"Non diventeremo mai come la Francia". Parla il vincitore del referendum svizzero
di Luigi De Biase
“Con questo voto, la Svizzera ha mostrato che cosa non vuole: non vuole moschee, non vuole muezzin, non vuole sharia. In una parola, non vuole essere islamizzata”. Chi parla è Ulrich Schlüer, 65 anni, autore della proposta antiminareti approvata domenica con un referendum molto discusso. Schlüer è un deputato dei Popolari (Pps), il primo partito del paese. In patria, il 57 per cento dei cittadini ha promosso il quesito che impedisce di costruire nuove torri islamiche, ma nel resto dell’Europa le reazioni sono dure. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, si dice “preoccupato” così come il presidente di turno dell’Unione europea, lo svedese Carl Bildt. Il responsabile del Pontificio consiglio dei migranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, è “sulla stessa linea dei vescovi svizzeri”, che definiscono il voto “un duro colpo alla libertà religiosa e all’integrazione”. E c’è chi, come Amnesty International, non esclude di ricorrere al Tribunale europeo. “Le critiche erano prevedibili – commenta Schlüer con il Foglio – L’unica cosa che conta è il risultato delle urne e quello è stato impressionante. Non esiste opinione che può rovesciare una volontà così forte: nessun governo può ignorare le scelte del popolo”.
In Svizzera ci sono quattro minareti, 150 centri di preghiera e 400 mila persone di fede islamica. La maggior parte arriva dai Balcani e non mostra grande interesse per le pratiche religiose. Eppure, sostiene Schlüer, la situazione è già a livello di guardia. “Nel mio paese ci sono 17 mila matrimoni combinati e questo significa che 17 mila donne non sono libere – dice il deputato – E’ uno scandalo, è una contraddizione rispetto alle nostre leggi”.
Il Pps è noto per le campagne al limite dell’oltraggio. I manifesti stampati per il referendum mostrano una donna con lo sguardo torvo sotto il burqa. Schlüer è uno dei politici più discussi di questo movimento: nel 2007 criticò un inviato dell’Onu, Doudou Diéne, che aveva espresso perplessità sulla “dinamica xenofoba e razzista” che guidava la campagna dei popolari. “Lui arriva dal Senegal, un paese che ha molti problemi – disse allora – Non capisco perché sia venuto qui anziché pensare agli affari della sua nazione”. I popolari vinsero con il 28 per cento dei voti. Schlüer non teme che Berna diventi la capitale di una Repubblica islamica nel cuore delle Alpi: il modello che vuole evitare è quello di Francia, Olanda e Spagna, dove i musulmani possono aprire moschee in nome del pluralismo religioso.
“La Corte europea dice che dobbiamo togliere i crocefissi dalle scuole e permettere l’apertura di nuove moschee – spiega – Io ritengo invece che i minareti devono essere respinti perché rappresentano il desiderio di introdurre un nuovo ordine in Europa. In Svizzera ne abbiamo quattro e questo significa che possiamo ancora fare qualcosa per opporci all’islamizzazione della nostra cultura. Guardate Parigi, Berlino e Londra: ci sono interi quartieri che vivono in una dimensione parallela, hanno le loro leggi, i loro costumi e il loro ordine. Non esiste alcuna possibilità di rimettere le cose a posto. Se un giorno avremo cento o duecento minareti anche in Svizzera, non saremo più in grado opporci”. Quello che colpisce non è tanto la percentuale delle persone che hanno votato “sì”, quanto la dimensione geografica del successo: 22 cantoni su 26 hanno approvato la proposta del Partito popolare: la Svizzera, dice Schlüer, non sarà mai come la Francia.
«Il Foglio» del 1 dicembre 2009

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