di Ilaria Ramelli
Come accennavo la volta scorsa, Petronio probabilmente conobbe l’Editto di Nazareth contro i cristiani e la persecuzione del 64. Come ho mostrato con sempre nuovi argomenti in «Aevum» 1996, I romanzi antichi e il cristianesimo (Madrid 2001), «Ancient Narrative» 2005, Il Contributo delle scienze storiche alla interpretazione del NT (Città del Vaticano 2005), e Gesù a Roma (Roma 2007), il Satyricon potrebbe contenere allusioni parodistiche ai cristiani e alle narrazioni evangeliche. Petronio affiancò Nerone come arbiter elegantiae dopo il 62, l’anno del ritiro di Seneca e della 'svolta' i cui effetti si fecero sentire anche contro i cristiani. La presenza di cristiani, negli anni del Satyricon, alla corte neroniana è attestata in Fil 4,22. All’epoca, i cristiani a Roma erano già numerosi, come attestano Tacito e Clemente Romano, e oggetto di accuse e di odio popolare, e furono suppliziati in maniera spettacolare nel 64.
L’interesse di Petronio per il giudaismo depone a favore di un suo interesse per il cristianesimo, setta giudaica, anche se nel 64 a Roma era chiara la differenza. Petronio, secondo Clarke e Katzoff, conosceva alcuni costumi giudaici, a cui allude ironicamente. In questa prospettiva credo possibile rivalutare l’attribuzione a lui dell’epigramma Anth. Lat. I 2,696, ove sono ridicolizzati gli usi giudaici della circoncisione, dell’astensione dalla carne di maiale, del digiuno sabbatico. Nella Roma neroniana possono esserci stati esempi della corrente di Rabbi Eliezer, le cui prescrizioni, quali digiunare il sabato, catturarono l’attenzione dei satirici romani, anche Marziale.
Agli esempi addotti dagli studiosi citati aggiungerei la parodia del giudizio di Salomone nel Satyricon, che trova un parallelo nella sua parodia in un affresco esistente a Pompei al tempo di Petronio.
L’episodio si colloca subito dopo la cena Trimalchionis, in cui sono anche i suddetti riferimenti agli usi giudaici e alcuni accenni al Cristianesimo.
Il giovinetto Gitone, conteso tra Encolpio e Ascilto, rischia di essere scisso con la spada da quest’ultimo, che preferisce tagliarlo in due piuttosto che cederlo al rivale, il quale insiste sulla dementia di tale comportamento. Ascilto si appresta a scindere il puer «con mano di parricida», e nell’episodio sono enfatizzati gli stretti legami di sangue del puer con entrambi. In realtà non è loro parente; il presunto vincolo familiare tra il ragazzo e gli uomini che se lo contendono, nonché il costante appellativo puer, si adattano a una parodia del giudizio di Salomone, con un bambino e le madri che se lo contendono, ove quella disposta a scindere in due il puer pur di non lasciarlo all’altra è quella falsa. Nella Bibbia le litiganti sono cortigiane; anche in Petronio gli uomini che si scontrano per il puer sono moralmente corrotti.
Come nell’episodio biblico, la spartizione del puer non avviene, e a Gitone è lasciata facoltà di scegliersi il frater che preferisce: con inversione parodistica, il giudizio, lungi dall’essere giusto come quello di Salomone, è ingiusto e il puer va ad Ascilto, che era disposto a ucciderlo, mentre nella Bibbia il puer è assegnato alla madre vera, che, piuttosto di vederlo morire, era disposta a cederlo alla rivale. Quello che nella Bibbia è un esempio di saggezza è qui trasformato espressamente in dementia. L’episodio è inoltre chiamato 'processo' di fronte a un 'giudice'; di fatto non ha luogo un processo, ma tale caratterizzazione si comprende in relazione al passo biblico.
La scena si svolge in una città campana, come Pompei, ove era conosciuto il giudaismo. Ivi cadeva opportuno un riferimento ironico a un episodio biblico che, come risulta dall’affresco, era parodiato in ambiente pagano. Se Petronio presupponeva che ai lettori il giudizio di Salomone fosse noto al punto da poter coglierne la parodia, la stessa conoscenza è presupposta, nei medesimi anni e nella stessa area, negli spettatori di un affresco di una casa pompeiana prima del 79. Vi compaiono un re in trono, una donna che lo prega in ginocchio e un’altra che tiene un bambino il quale sta per essere tagliato in due da un soldato che leva un enorme coltello; attorno, soldati e astanti. La scena ha tratti caricaturali: il giudizio di Salomone è parodiato e attesta la conoscenza di questo episodio biblico in ambito pagano. Lo stesso nome di Trimalcione ha un’etimologia semitica ('tre volte sovrano'), ironica per un liberto. L’interesse di Petronio per il giudaismo rende meno sorprendente un’eventuale sua attenzione al mondo cristiano, pure a scopi parodistici.
L’interesse di Petronio per il giudaismo depone a favore di un suo interesse per il cristianesimo, setta giudaica, anche se nel 64 a Roma era chiara la differenza. Petronio, secondo Clarke e Katzoff, conosceva alcuni costumi giudaici, a cui allude ironicamente. In questa prospettiva credo possibile rivalutare l’attribuzione a lui dell’epigramma Anth. Lat. I 2,696, ove sono ridicolizzati gli usi giudaici della circoncisione, dell’astensione dalla carne di maiale, del digiuno sabbatico. Nella Roma neroniana possono esserci stati esempi della corrente di Rabbi Eliezer, le cui prescrizioni, quali digiunare il sabato, catturarono l’attenzione dei satirici romani, anche Marziale.
Agli esempi addotti dagli studiosi citati aggiungerei la parodia del giudizio di Salomone nel Satyricon, che trova un parallelo nella sua parodia in un affresco esistente a Pompei al tempo di Petronio.
L’episodio si colloca subito dopo la cena Trimalchionis, in cui sono anche i suddetti riferimenti agli usi giudaici e alcuni accenni al Cristianesimo.
Il giovinetto Gitone, conteso tra Encolpio e Ascilto, rischia di essere scisso con la spada da quest’ultimo, che preferisce tagliarlo in due piuttosto che cederlo al rivale, il quale insiste sulla dementia di tale comportamento. Ascilto si appresta a scindere il puer «con mano di parricida», e nell’episodio sono enfatizzati gli stretti legami di sangue del puer con entrambi. In realtà non è loro parente; il presunto vincolo familiare tra il ragazzo e gli uomini che se lo contendono, nonché il costante appellativo puer, si adattano a una parodia del giudizio di Salomone, con un bambino e le madri che se lo contendono, ove quella disposta a scindere in due il puer pur di non lasciarlo all’altra è quella falsa. Nella Bibbia le litiganti sono cortigiane; anche in Petronio gli uomini che si scontrano per il puer sono moralmente corrotti.
Come nell’episodio biblico, la spartizione del puer non avviene, e a Gitone è lasciata facoltà di scegliersi il frater che preferisce: con inversione parodistica, il giudizio, lungi dall’essere giusto come quello di Salomone, è ingiusto e il puer va ad Ascilto, che era disposto a ucciderlo, mentre nella Bibbia il puer è assegnato alla madre vera, che, piuttosto di vederlo morire, era disposta a cederlo alla rivale. Quello che nella Bibbia è un esempio di saggezza è qui trasformato espressamente in dementia. L’episodio è inoltre chiamato 'processo' di fronte a un 'giudice'; di fatto non ha luogo un processo, ma tale caratterizzazione si comprende in relazione al passo biblico.
La scena si svolge in una città campana, come Pompei, ove era conosciuto il giudaismo. Ivi cadeva opportuno un riferimento ironico a un episodio biblico che, come risulta dall’affresco, era parodiato in ambiente pagano. Se Petronio presupponeva che ai lettori il giudizio di Salomone fosse noto al punto da poter coglierne la parodia, la stessa conoscenza è presupposta, nei medesimi anni e nella stessa area, negli spettatori di un affresco di una casa pompeiana prima del 79. Vi compaiono un re in trono, una donna che lo prega in ginocchio e un’altra che tiene un bambino il quale sta per essere tagliato in due da un soldato che leva un enorme coltello; attorno, soldati e astanti. La scena ha tratti caricaturali: il giudizio di Salomone è parodiato e attesta la conoscenza di questo episodio biblico in ambito pagano. Lo stesso nome di Trimalcione ha un’etimologia semitica ('tre volte sovrano'), ironica per un liberto. L’interesse di Petronio per il giudaismo rende meno sorprendente un’eventuale sua attenzione al mondo cristiano, pure a scopi parodistici.
«Avvenire» del 29 dicembre 2009
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