Il rapporto Il nostro Paese ha reagito alla crisi economica in modo diverso dal resto d' Europa La contrazione In dieci anni la quota di reddito riservata alle voci «istruzione e tempo libero» è scesa dal 6,2 al 5,3 per cento
di Giancarlo Radice
Il ruolo dei «file» illegali Il «download» dilagante è tra le cause del crollo di vendite di musica e video nelle loro forme tradizionali di distribuzioneLe famiglie consumano meno libri, cinema e musica Stabili i telefonini, in crescita solo pay-tv e videogiochi
Più pay tv digitale. E più videogiochi. Per il resto, il paesaggio dell' industria della comunicazione in Italia rimanda segnali di forte ridimensionamento di vendite e fatturati. Si salvano solo le sale cinematografiche, che fra il luglio 2008 e il giugno 2009 hanno registrato un incremento di incassi dell' 1,5%. Al contrario, negli stessi dodici mesi le telecomunicazioni mobili fanno segnare la prima flessione della loro storia, con lo 0,7% di introiti in meno. Per non parlare di informatica (un mercato che da solo vale 64,5 miliardi di euro), di home video, radio e investimenti pubblicitari su televisioni, quotidiani e periodici, dove quello che si vede è uno scenario da allarme rosso. A mettere in fila i numeri dell' industria della comunicazione in quest'anno di recessione economica è l'Istituto di economia dei media (Iem) della Fondazione Rosselli, che presenterà il suo rapporto sul settore, elaborato in collaborazione con il Corriere della Sera, nel corso del summit in programma oggi a Roma (dalle 9.15) al Tempio di Adriano, in piazza di Pietra. Il primo dato che emerge è il peggioramento delle condizioni già evidenti nel raffronto fra 2008 e 2007, con la flessione del 7,6% per i quotidiani, addirittura del 16,9% per la musica registrata e del 17,1% per l'home video. In netta controtendenza solo i videogiochi (più 21,6%), un po' meno la tv (più 3,6%), le telecomunicazioni mobili (più 1,3%), l'informatica (più 0,8%). Ma ad aggravare quest'anno gli effetti della crisi economica sull'industria sta contribuendo in modo determinante la ridotta capacità di spesa (o la necessità di risparmio) delle famiglie. È questo l'elemento di fondo che fa degli italiani un'eccezione rispetto ai cittadini degli altri quattro Paesi europei presi in considerazione nel rapporto della Fondazione Rosselli, Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna. Una «stretta» sui consumi di cultura e intrattenimento (dal cinema alla musica, dai libri ai giornali) che si trascina da lungo tempo. Tanto che dal 1998 al 2008 la quota di reddito che le famiglie riservano alle tre voci «istruzione, tempo libero, cultura» è scesa dal 6,2% al 5,3% del totale disponibile, mentre per gli inglesi è salita dall'11,9% al 13,8% e per i francesi dal 9,5% al 9,8%. Allo stesso modo, la spesa per «comunicazioni» delle famiglie italiane è rimasta stabile al 2% del reddito disponibile ed è invece salita dal 2,1% al 2,5% in Gran Bretagna e dal 2% al 2,7% in Francia. Con il risultato che l'industria italiana del settore oggi si colloca per introiti al penultimo o all'ultimo posto fra i cinque maggiori Paesi europei, con le sole eccezioni che riguardano le telecomunicazioni (sia fisse sia mobili) e la televisione. In altre parole, la scarsa propensione nazionale alla lettura di libri e giornali o all' ascolto di musica influisce sulla penetrazione, per dirla con la vecchia terminologia del sociologo Marshall McLuhan, di quegli «strumenti del comunicare» necessari per poterne fruire. «Più che di una debolezza strutturale della domanda, parlerei però di un ritardo - osserva Flavia Barca, coordinatrice del Rapporto della Fondazione Rosselli -. Se è vero, per esempio, che gli italiani utilizzano poco i servizi distribuiti sui Pc attraverso internet, altrettanto vero è che la propensione può aumentare mano a mano che quei servizi diventano disponibili sui cellulari, con i quali abbiamo maggiore confidenza». Non a caso sui terminali mobili, autentico pilastro della «modernità» italiana, questi tempi di difficoltà economiche stanno paradossalmente innescando forti mutazioni di comportamento. «Stiamo diventando più americani - sintetizza Cesare Sironi, responsabile Strategia e Innovazione di Telecom Italia -. Un numero sempre maggiore di clienti acquista smart phone di prezzo elevato oppure telefonini low cost, tutto a scapito della fascia intermedia di prezzo». «Non solo - aggiunge -: gli utenti prestano anche forte attenzione alla spesa, mettendo a confronto i diversi prodotti attraverso siti internet di comparazione come il nostro Virgilio». Una chiave di lettura analoga la offre Roberto Larocca, responsabile della divisione consumer di Vodafone Italia: «Da qualche mese stiamo osservando fra gli utenti quelli che si possono definire "effetti post-crisi economica" - spiega -. Da un lato le famiglie italiane stanno mostrando un recupero di ottimismo come non si vedeva dal 2001. Dall'altro, l'"effetto post-crisi" consiste anche nel considerare con molta cautela qualsiasi nuovo acquisto, nel ragionare a lungo prima di spendere, nel valutare se si tratta di una cosa necessaria o superflua». Ma secondo Larocca i dati statistici su certi consumi vanno comunque presi con prudenza. «Non c'è dubbio che gli italiani leggano meno giornali o spendano meno per l' intrattenimento rispetto a quanto avviene in altri Paesi - sottolinea -. Ma va anche detto che, per quanto riguarda ad esempio il consumo di musica, nessuno è in grado di misurare quanto incida il downloading via internet». Proprio il «dilagante file sharing» è visto dal Rapporto della Fondazione Rosselli come una causa fondamentale del crollo di vendite di musica e video nelle loro forme tradizionali di distribuzione. Così come - si legge nello studio Iem - «quotidiani e periodici pagano caro il crescente utilizzo del web come fonte d' approvvigionamento di news». E un'altra variabile innescata dalla crisi economica è data dalla direzione dei flussi pubblicitari. Il crollo del 17% negli investimenti è pesato insomma in modo molto diverso a seconda dei segmenti dell' industria della comunicazione. A risentirne meno è la televisione, con un calo del 14% nel primo semestre rispetto allo stesso periodo 2008. Molto peggio è andata invece per i quotidiani, con un meno 25% che s' aggiunge all' erosione del 6% delle copie vendute. Quel che è certo è che, fra crisi economica e bassa propensione alla spesa degli italiani, il rapporto Iem parla di «una situazione poco incoraggiante per il futuro». Con il rischio che le imprese «non riescano ad avere le risorse per i necessari investimenti». Destino inevitabile? Niente affatto. Secondo i ricercatori dell' Iem «in certi segmenti si assiste a una crescente competizione sui contenuti, sui servizi e sulla distribuzione», tanto da poter spingere i consumi e innescare nuove prospettive di crescita. Un esempio viene dalla pay tv. «Sky non solo ha fatto capire che gli italiani sono disposti a spendere per contenuti che sono di loro interesse - osserva Barca - ma ha spinto anche Mediaset a reagire con una propria offerta di tv a pagamento. Ed è di due giorni fa il lancio di Cubo, la internet tv di Telecom». Per Gina Nieri, responsabile degli affari istituzionali di Mediaset, il moltiplicarsi delle piattaforme televisive apre la strada alla creazione di nuovi contenuti mirati per ciascuna di esse: «Da questo punto di vista la creatività italiana offre buone prospettive, come dimostra la riscossa del cinema nazionale - spiega -. Ma per attrarre investimenti in questa direzione occorre che sia tutelato il diritto d'autore, che non sia lasciato campo libero alla pirateria o alla distribuzione gratuita su internet».
«Corriere della Sera» del 17 dicembre 2009
Nessun commento:
Posta un commento