di Massimo Gramellini
Salve, faccio parte della tribù quasi estinta degli Imbarazzati. Il tipico asociale che sul treno, appena il telefono comincia a vibrare, si alza di scatto ed esce in corridoio a biascicar parole a mezz’asta. Poi rientro nello scompartimento per ascoltare le conversazioni degli altri. Conversazioni squillanti e istruttive, concluse dalla nuova formula di congedo vagamente cinese: «cia-ciao». Apprendo dalla viva voce della signora accanto al finestrino che sua figlia è stata respinta a un esame per aver copiato il compito sbagliato: succede. Apprendo dalla vicina di posto che sua sorella ha problemi di dissenteria, e la cosa mi addolora, anche perché starei mangiando un panino. Apprendo che la moglie del mio dirimpettaio si è scordata di fare la spesa e la grave mancanza innesca un litigio coniugale sui massimi sistemi, tale da comportare una interruzione momentanea delle comunicazioni. Lei richiama, lui lascia trillare a lungo (ha la suoneria dei «tre piccoli porcellin», lo giuro) e infine risponde. Pace fatta, per la soddisfazione di tutti i passeggeri. Il mio telefono torna proditoriamente a vibrare e scappo in corridoio. «Perché va fuori a parlare?», commentano alle mie spalle. «Non vorrà che ascoltiamo quel che dice».
Sì, lo ammetto, anche quello. Però non solo quello. C’è il timore di infastidire il prossimo e - si potrà dire? - un po’ di vergogna: cascami di maleducazione familiare che purtroppo trent’anni di tv-verità non sono ancora riusciti a debellare. Questo vorrei rispondere al signore dei tre piccoli porcellin. Ma quando rientro nello scompartimento sta urlando al telefono.
Sì, lo ammetto, anche quello. Però non solo quello. C’è il timore di infastidire il prossimo e - si potrà dire? - un po’ di vergogna: cascami di maleducazione familiare che purtroppo trent’anni di tv-verità non sono ancora riusciti a debellare. Questo vorrei rispondere al signore dei tre piccoli porcellin. Ma quando rientro nello scompartimento sta urlando al telefono.
«La Stampa» del 18 dicembre 2009
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