Come tornare a un clima civile
di Sergio Romano
Vi sono attentati, per quanto insani e feroci, che hanno un disegno e rispondono alla strategia di una forza politica. Così furono gli attentati anarchici contro re, regine e presidenti fra l’Ottocento e il Novecento, da quello di Sante Caserio contro il presidente francese Carnot nel 1894 a quelli di Luigi Lucheni e Gaetano Bresci contro l’imperatrice Elisabetta e Umberto I nel 1898 e nel 1900. Ma ve ne sono altri che sono soltanto opera di un folle, prigioniero delle proprie ossessioni. Anche questi, tuttavia, possono essere pericolosi quando, pur senza padri, hanno un gran numero di complici involontari. Il presidente della Repubblica ha ragione quando ci richiama all’ordine e ci ricorda che abbiamo tutti l’obbligo di essere in questo momento «allarmati». Nessuno ha guidato la mano dell’attentatore di piazza del Duomo, ma molti sono coloro che hanno concorso a creare il clima in cui la violenza è diventata possibile.
Occorre quindi che tutti facciano un esame di coscienza e controllino d’ora in poi le loro parole. Esistono maggiori responsabilità da una parte o dall’altra? Può darsi, ma il compito di accertarlo toccherà ad altri, più tardi. Oggi ciò che conta non è la puntigliosa rivendicazione delle proprie ragioni, ma la restaurazione di un clima civile. A giudicare da ciò che è accaduto ieri alla Camera, prevale invece, sia nell’opposizione che in certi settori della maggioranza, il desiderio di utilizzare politicamente l’attentato per dimostrare le colpe e le responsabilità del «nemico ». Assistiamo così a un nuovo paradosso. Tutte le forze politiche nazionali condannano il gesto di piazza del Duomo e si rallegrano del suo fallimento. Ma parecchi lo usano per continuare il pericoloso gioco delle accuse reciproche e rischiano di preparare in questo modo altri scoppi di violenza.
La tregua ha un senso naturalmente soltanto se costruita su un’intesa. Nessuno può chiedere alla maggioranza e all’opposizione di rinunciare ai loro rispettivi programmi sull’agenda politica del momento, dai modi per fronteggiare la crisi alle misure sull’immigrazione, dal testamento biologico alla riforma del sistema scolastico e universitario. Su questi temi è giusto che governo e opposizione si combattano e si contraddicano, anche duramente. Ma esistono altre questioni — il federalismo, il nuovo Senato, la riduzione dei parlamentari, i poteri del premier, la nomina e la revoca dei ministri, la riforma dell’ordine giudiziario — su cui devono lavorare insieme.
Il presidente del Consiglio sostiene che la Costituzione è invecchiata, e ha ragione, anche se dovrebbe evitare di attaccarne duramente gli organi. Ma esiste davvero qualcuno, nella maggioranza, che voglia ripetere l’esperienza del precedente governo Berlusconi, quando una riforma votata soltanto dalla coalizione di governo è stata bocciata dal Paese? Invocare la riforma della Costituzione senza creare le condizioni perché divenga possibile è un inutile esercizio retorico e, peggio, una pericolosa perdita di tempo. Berlusconi avrebbe detto a Fedele Confalonieri, dopo l’attentato, che vi sono situazioni in cui da un male può sortire un bene. Se da questa brutta storia potesse venire un accordo per la riforma delle istituzioni, tutti, per una volta, ne usciremmo vincenti.
Occorre quindi che tutti facciano un esame di coscienza e controllino d’ora in poi le loro parole. Esistono maggiori responsabilità da una parte o dall’altra? Può darsi, ma il compito di accertarlo toccherà ad altri, più tardi. Oggi ciò che conta non è la puntigliosa rivendicazione delle proprie ragioni, ma la restaurazione di un clima civile. A giudicare da ciò che è accaduto ieri alla Camera, prevale invece, sia nell’opposizione che in certi settori della maggioranza, il desiderio di utilizzare politicamente l’attentato per dimostrare le colpe e le responsabilità del «nemico ». Assistiamo così a un nuovo paradosso. Tutte le forze politiche nazionali condannano il gesto di piazza del Duomo e si rallegrano del suo fallimento. Ma parecchi lo usano per continuare il pericoloso gioco delle accuse reciproche e rischiano di preparare in questo modo altri scoppi di violenza.
La tregua ha un senso naturalmente soltanto se costruita su un’intesa. Nessuno può chiedere alla maggioranza e all’opposizione di rinunciare ai loro rispettivi programmi sull’agenda politica del momento, dai modi per fronteggiare la crisi alle misure sull’immigrazione, dal testamento biologico alla riforma del sistema scolastico e universitario. Su questi temi è giusto che governo e opposizione si combattano e si contraddicano, anche duramente. Ma esistono altre questioni — il federalismo, il nuovo Senato, la riduzione dei parlamentari, i poteri del premier, la nomina e la revoca dei ministri, la riforma dell’ordine giudiziario — su cui devono lavorare insieme.
Il presidente del Consiglio sostiene che la Costituzione è invecchiata, e ha ragione, anche se dovrebbe evitare di attaccarne duramente gli organi. Ma esiste davvero qualcuno, nella maggioranza, che voglia ripetere l’esperienza del precedente governo Berlusconi, quando una riforma votata soltanto dalla coalizione di governo è stata bocciata dal Paese? Invocare la riforma della Costituzione senza creare le condizioni perché divenga possibile è un inutile esercizio retorico e, peggio, una pericolosa perdita di tempo. Berlusconi avrebbe detto a Fedele Confalonieri, dopo l’attentato, che vi sono situazioni in cui da un male può sortire un bene. Se da questa brutta storia potesse venire un accordo per la riforma delle istituzioni, tutti, per una volta, ne usciremmo vincenti.
«Corriere della sera» del 16 dicembre2009
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