La scienza e le manipolazioni ideologiche
di Francesco D'Agostino
Attendo con impazienza la fine del 2009; non, come si potrebbe credere, per immergermi nei festeggiamenti della notte di S. Silvestro, ma perché con il 2009 avrà fine l’ 'anno darwiniano'. Si dirà: ecco un creazionista impenitente, che non accetta la teoria dell’evoluzione! Niente affatto. Sono assolutamente convinto che quella di Darwin sia ben più che un’ipotesi (come disse con espressione felice Giovanni Paolo II), anzi non mi crea alcuna difficoltà riconoscere che allo stato attuale delle conoscenze è ben difficile che una diversa teoria sull’origine delle specie possa mai sostituire quella del grande naturalista anglosassone: potranno essere formulate, come già è avvenuto, teorie integrative o correttive di quella darwiniana, ma non certo teorie radicalmente alternative. In altre parole, nei confronti del darwinismo, come teoria scientifica, e nei confronti dei darwiniani, come scienziati, mi pongo in un atteggiamento di profondo rispetto. Ciò che non tollero non è il darwinismo, ma l’uso ideologico che del darwinismo viene massicciamente fatto, quando si utilizza il legittimo prestigio che la scienza si è conquistata nella modernità per veicolare ed avvalorare prospettive che non sono affatto scientifiche, ma filosofiche: prospettive peraltro antiche, riducendosi a varianti, nemmeno troppo originali, di quel naturalismo irreligioso con cui già nell’antichità classica si erano confrontati Socrate, Platone, Aristotele. Il torto del naturalismo non è quello di prendere sul serio e di studiare la realtà materiale come un fatto, anzi come una molteplicità sconfinata di ruvidi, irriducibili fatti, ma quello di ritenere che essa sia capace di rendere ragione di se stessa e di offrire sia pure un minimo appiglio per dare una risposta a quella domanda di senso che caratterizza e tormenta ogni uomo. Per i naturalisti darwiniani la teoria dell’evoluzione svuota dal di dentro ogni questione teologica e antropologica e rende inutile sia l’interrogarsi su Dio che l’interrogarsi sull’uomo. In un mondo lacerato da conflitti politici, culturali e generazionali, i neodarwiniani (confutate, cancellate, o meglio rimosse, le inquietanti teorie tardo ottocentesche del 'darwinismo sociale') continuano a mandarci messaggi ottimistici, si affannano a dipingere la realtà naturale come armoniosamente equilibrata e la specie umana come predeterminata evolutivamente alla cooperazione ed alla solidarietà. Guai a chi non accede a questi quadri idilliaci: oltre a diventare immediatamente oggetto della pesantissima accusa di essere un fondamentalista premoderno ed antiscientifico, chi osi insistere nel distinguere il darwinismo come teoria scientifica dal naturalismo darwiniano come teoria filosofico-antropologica viene radicalmente escluso da ogni dibattito pubblico su tematiche scientifiche e bioetiche ed esposto al ludibrio di un’opinione pubblica pesantemente manipolata dai grandi sistemi mediatici, per i quali quello di Darwin è il Vangelo della modernità.
Naturalmente, non tutti gli scienziati che aderiscono alla teoria dell’evoluzione sono, sul piano filosofico, 'naturalisti darwiniani'. La loro voce, però, continua ad essere ben più debole di quella di coloro per i quali Darwin non è solo un grandissimo scienziato, ma un vero e proprio benefattore dell’ umanità, per averla liberata dall’ipoteca di un soffocante teismo creazionista(!). L’anno darwiniano avrebbe potuto essere un’ottima occasione per distinguere queste due posizioni e per mettere bene a fuoco il principio epistemologico fondamentale, secondo il quale l’esistenza di Dio, come non può essere provata scientificamente, così non può essere scientificamente confutata (non a caso, infatti, le celebri prove classiche dell’esistenza di Dio hanno un carattere metafisico, cioè filosofico e non scientifico).
L’occasione (malgrado alcuni sporadici, generosi sforzi in senso contrario) è andata perduta. La maggior parte delle iniziative celebrative del darwinismo che si sono svolte nel 2009 hanno avvalorato indebitamente l’idea che la scienza sia l’unico orizzonte conoscitivo dotato di validità (e con ciò si è continuato ad attribuire agli scienziati un potere sociale che loro non spetta) e hanno contribuito a indebolire la valenza di ogni ricerca di senso di carattere antropologico, filosofico, teologico.
Sotto questo profilo, l’anno darwiniano è stato un fallimento. E’ una fortuna che sia arrivato alla fine.
Naturalmente, non tutti gli scienziati che aderiscono alla teoria dell’evoluzione sono, sul piano filosofico, 'naturalisti darwiniani'. La loro voce, però, continua ad essere ben più debole di quella di coloro per i quali Darwin non è solo un grandissimo scienziato, ma un vero e proprio benefattore dell’ umanità, per averla liberata dall’ipoteca di un soffocante teismo creazionista(!). L’anno darwiniano avrebbe potuto essere un’ottima occasione per distinguere queste due posizioni e per mettere bene a fuoco il principio epistemologico fondamentale, secondo il quale l’esistenza di Dio, come non può essere provata scientificamente, così non può essere scientificamente confutata (non a caso, infatti, le celebri prove classiche dell’esistenza di Dio hanno un carattere metafisico, cioè filosofico e non scientifico).
L’occasione (malgrado alcuni sporadici, generosi sforzi in senso contrario) è andata perduta. La maggior parte delle iniziative celebrative del darwinismo che si sono svolte nel 2009 hanno avvalorato indebitamente l’idea che la scienza sia l’unico orizzonte conoscitivo dotato di validità (e con ciò si è continuato ad attribuire agli scienziati un potere sociale che loro non spetta) e hanno contribuito a indebolire la valenza di ogni ricerca di senso di carattere antropologico, filosofico, teologico.
Sotto questo profilo, l’anno darwiniano è stato un fallimento. E’ una fortuna che sia arrivato alla fine.
«Avvenire» del 31 dicembre 2009
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