di Marco Busagli
Non c’è alcun dubbio che una mostra su Dadaismo e Surrealismo, come quella che si è aperta in questi giorni a Roma nelle sale del Complesso del Vittoriano, abbia un valore aggiunto, quello della curatela di Arturo Schwarz. Nato ad Alessandria d’Egitto 85 anni fa (magnificamente portati, oltretutto), Schwarz non solo è stato uno dei grandi collezionisti di questo movimento, da lui profondamente amato e studiato con saggi e contributi di grande spessore e qualità, ma ha avuto una frequentazione diretta con gli artisti e i teorici di questa corrente.
Alcune delle opere in mostra come La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche di Marcel Duchamp, nella versione della Scatola verde , reca in calce la dedica di Duchamp a Schwarz.
Allo stesso modo, molti dei pezzi esposti provengono proprio dalla donazione Schwarz alla galleria d’arte moderna di Roma – per la quale lo Stato italiano dovette coniare una legge apposita per evitare che lo studioso, su quella donazione, paradossalmente dovesse pagare le tasse. Perciò visitare 'Dada e Surrealismo riscoperti' è un po’ come andare a conoscere questi due movimenti accompagnati da un coprotagonista di quell’avventura intellettuale. Proprio a questa logica corrisponde il grande schermo che introduce alla mostra, nel quale Schwarz, con parole semplici e familiari, spiega quale sia l’essenza di questa forma d’arte: annullare la distinzione fra azione, arte e sogno.
L’idea che il caso possa essere un accesso molto più veritiero alla comprensione della realtà e di se stessi, è un concetto che compare già nel Manifesto del Dadaismo , stilato da Tristan Tzara nel 1920. Un movimento il cui nome pure, si racconta, sia stato trovato casualmente dallo stesso Tzara alle sei di sera del 6 febbraio 1920 fra le pagine del vocabolario Larousse. Un’idea, quella del caso, che avrebbe aperto le porte all’indagine onirica, come teorizzerà André Breton nel Manifesto del Surrealismo del 1924, sebbene la poetica del nuovo movimento fosse già in embrione fra il 1914 ed il 1918, quando il mentore del Surrealismo scoprì gli scritti di Jerry, Rimbaud, Vaché, Apollinaire e, soprattutto, Freud. Attorno a questi nuclei più filosofici e letterari che pittorici, si sviluppò l’azione di artisti come Hans Arp, Hans Citroen, Francis Picabia, Max Ernst che, parteciparono, insieme a molti altri alla prima fiera internazionale Dada del 1920, per poi passare al Surrealismo. Antitetici e complementari insieme, Dada e Surrealismo aprirono all’indagine dei paesaggi dell’anima. L’aspetto di casualità si perpetuò, in questo secondo movimento, per esempio, nell’uso del frottage , magistralmente utilizzato da Ernst, e consistente nello sfregare una matita, un carboncino o un gessetto su una superficie ruvida coperta da un foglio. L’artista ne ricava degli effetti del tutto involontari, da ritagliare e incollare, magari sulla tela, come fece Ernst nel gigantesco Momento di calma proveniente dalla National Gallery di Washington ed esposto in mostra. Allo stesso modo, l’impiego del ready made,
ovvero del «bell’e pronto», mescola la casualità della scelta con l’azione d’imperio dell’artista che, apponendo la propria firma, trasforma un anonimo oggetto in opera d’arte. È il caso della celeberrima Fontana di Duchamp, ossia un dissacrante orinatoio, riscattato dal gesto creativo (ecco l’azione!) dell’artista.
La mostra, però, non si ferma a questi esempi macroscopici. La presenza di più di settecento opere, che rendono l’esposizione una delle più complete mai realizzate, permette di analizzare nel dettaglio il percorso e l’ampiezza dei due movimenti che oltre, alle icone del Surrealismo, come Dalí e Magritte (di cui è stato esposto il Castello sui Pirenei), raccoglie le esperienze degli epigoni di tutte le nazioni, fra cui il nostro Enrico Baj. Corredata dal catalogo Skira, la mostra si pone come strumento prezioso per lo specialista e per l’appassionato, davvero condotto alla riscoperta dei due movimenti artistici.
Alcune delle opere in mostra come La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche di Marcel Duchamp, nella versione della Scatola verde , reca in calce la dedica di Duchamp a Schwarz.
Allo stesso modo, molti dei pezzi esposti provengono proprio dalla donazione Schwarz alla galleria d’arte moderna di Roma – per la quale lo Stato italiano dovette coniare una legge apposita per evitare che lo studioso, su quella donazione, paradossalmente dovesse pagare le tasse. Perciò visitare 'Dada e Surrealismo riscoperti' è un po’ come andare a conoscere questi due movimenti accompagnati da un coprotagonista di quell’avventura intellettuale. Proprio a questa logica corrisponde il grande schermo che introduce alla mostra, nel quale Schwarz, con parole semplici e familiari, spiega quale sia l’essenza di questa forma d’arte: annullare la distinzione fra azione, arte e sogno.
L’idea che il caso possa essere un accesso molto più veritiero alla comprensione della realtà e di se stessi, è un concetto che compare già nel Manifesto del Dadaismo , stilato da Tristan Tzara nel 1920. Un movimento il cui nome pure, si racconta, sia stato trovato casualmente dallo stesso Tzara alle sei di sera del 6 febbraio 1920 fra le pagine del vocabolario Larousse. Un’idea, quella del caso, che avrebbe aperto le porte all’indagine onirica, come teorizzerà André Breton nel Manifesto del Surrealismo del 1924, sebbene la poetica del nuovo movimento fosse già in embrione fra il 1914 ed il 1918, quando il mentore del Surrealismo scoprì gli scritti di Jerry, Rimbaud, Vaché, Apollinaire e, soprattutto, Freud. Attorno a questi nuclei più filosofici e letterari che pittorici, si sviluppò l’azione di artisti come Hans Arp, Hans Citroen, Francis Picabia, Max Ernst che, parteciparono, insieme a molti altri alla prima fiera internazionale Dada del 1920, per poi passare al Surrealismo. Antitetici e complementari insieme, Dada e Surrealismo aprirono all’indagine dei paesaggi dell’anima. L’aspetto di casualità si perpetuò, in questo secondo movimento, per esempio, nell’uso del frottage , magistralmente utilizzato da Ernst, e consistente nello sfregare una matita, un carboncino o un gessetto su una superficie ruvida coperta da un foglio. L’artista ne ricava degli effetti del tutto involontari, da ritagliare e incollare, magari sulla tela, come fece Ernst nel gigantesco Momento di calma proveniente dalla National Gallery di Washington ed esposto in mostra. Allo stesso modo, l’impiego del ready made,
ovvero del «bell’e pronto», mescola la casualità della scelta con l’azione d’imperio dell’artista che, apponendo la propria firma, trasforma un anonimo oggetto in opera d’arte. È il caso della celeberrima Fontana di Duchamp, ossia un dissacrante orinatoio, riscattato dal gesto creativo (ecco l’azione!) dell’artista.
La mostra, però, non si ferma a questi esempi macroscopici. La presenza di più di settecento opere, che rendono l’esposizione una delle più complete mai realizzate, permette di analizzare nel dettaglio il percorso e l’ampiezza dei due movimenti che oltre, alle icone del Surrealismo, come Dalí e Magritte (di cui è stato esposto il Castello sui Pirenei), raccoglie le esperienze degli epigoni di tutte le nazioni, fra cui il nostro Enrico Baj. Corredata dal catalogo Skira, la mostra si pone come strumento prezioso per lo specialista e per l’appassionato, davvero condotto alla riscoperta dei due movimenti artistici.
Roma,Vittoriano
DADA E SURREALISMO RISCOPERTI
Fino al 7 febbraio 2010
«Avvenire» del 22 dicembre 2009
Nessun commento:
Posta un commento