di Franco Cardini
Terribile, incoercibile, è la forza delle cose che non sono, scriveva profeticamente Arturo Graf molti anni fa in apertura del suo saggio dedicato al diavolo. Anche Ermete Trismegisto rientra nel lungo catalogo di cose inesistenti che hanno segnato profondamente e irreversibilmente la cultura del 'nostro Occidente': e non è detto che non sia stato dannoso, in quanto sta alla base d’infiniti sogni esoterici e occultistici – 'ermetici', appunto – che hanno partorito mostri e incubi tanto culturali quanto (e perfino) politico-utopistici. È da salutare comunque con grande interesse la raccolta di testi autenticamente e originariamente ermetici proposti dalla Fondazione Lorenzo Valla con il titolo La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto.
L’intera raccolta, a cura di Paolo Scarpi – storico delle religioni e classicista dell’Università di Padova – è programmata in due volumi, dei quali adesso è uscito il primo.
Ermete è, ovviamente, italianizzazione del nome del dio ellenico Hermes, che i Romani identificarono con il ladro, mattacchione e maneggione Mercurio, ma ch’era in realtà messaggero degli dei ed enigmatica divinità del Mistero, del Segreto, del Viaggio delle anime verso l’Oltretomba. Il sapiente che portava il suo nome era identificato, nella cultura ellenistica, con il saggio dio egizio Toth, principalmente sulla base di una profonda analogia formale di caratteri e di qualità; e l’epiteto di Trismèghistos rinviava iperbolicamente all’altezza e alla profondità inarrivabili del suo sapere: il Tre Volte Grandissimo.
Che sia mai vissuto un filosofo non diciamo designato da tale nome e da tale epiteto, ma soprattutto caratterizzato da quelle caratteristiche, è con ogni palese certezza non vero. Eppure, gli scritti attribuiti a lui o che di lui parlano stanno sul serio all’origine e al fondamento della cultura moderna: una cultumondo ra 'razionalista' che, com’è stato più volte osservato, affonda – sia nell’Umanesimo, sia nell’Illuminismo – le sue radici nella magia. E non v’è magia, non v’è astrologia, non v’è alchimia, nella modernità occidentale, senza rapporto con i testi ermetici.
Leggere le pagine accuratamente raccolte, nell’originale greco e nella traduzione italiana, nel libro a cura dello Scarpi, è un’avventura intellettuale straordinaria. Ma, poiché la loro vita è restata enigmatica e occulta per molti secoli, non è dall’antichità di essi che la nostra storia deve prendere avvio, bensì da quando, provenienti da Alessandria attraverso Costantinopoli, essi irrompono nell’Occidente moderno. Nel 1460 Cosimo de’ Medici si vide arrivare tra le mani una strana raccolta di testi greci che si presentavano come tradotti dall’antico e misterioso idioma egizio. Cosimo non era uomo colto, ma era assetato di cultura e gran mecenate: mise immediatamente quello che ancor oggi conosciamo come Corpus Hermeticum nelle mani dell’intelletto più alto e del cuore più mistico della sua 'corte', il sacerdote, medico e 'mago' Marsilio Ficino, che nel 1463-1464 lo tradusse in latino.
La raccolta è una straordinaria sequenza di scritti, di solito in forma neoplatonicamente dialogica, che dispiegano l’immensa e profonda scienza dell’ordine del cosmo e delle intime relazioni tra idee divine, astri ed elementi costitutivi del sublunare. Tra essi è di particolare rilievo l’Asclepius, un vero e proprio trattato di magia che pretende di ricondurci alle pratiche e alle tecniche 'teurgiche' (quindi: manipolatrici delle divinità) dei sacerdoti egizi, ma che nella realtà delle cose c’introduce a un sapere composito e per molti versi di tipo sincretico, nel quale sembrano entrare anche elementi ebraici, persiani, indiani. In realtà, l’originale egizio di questi scritti non è mai esistito, per quanto i rapporti con la cultura dell’antico Egitto siano effettivi e profondi: i testi sono d’origine alessandrina, ma risalgono groppo modo ai secoli I- IV della nostra era: un paio di secoli dopo la traduzione in greco della Bibbia, quella detta 'dei Settanta'.
Senza i testi ermetici, il Rinascimento resta un fenomeno incomprensibile: da Pico della Mirandola a John Milton e a Giordano Bruno, essi stanno alla base della nostra cultura magico- esoterica, ma anche – paradossalmente? Non troppo – scientifica. In effetti, in pieno Seicento, Isaac Casaubon dimostrò irrefutabilmente che essi non potevano provenire dalla profonda antichità che pretendevano di detenere. Ma ormai filosofia, astrologia, alchimia e arte ne erano profondamente impregnate: e la 'rivoluzione tecnico-scientifica' del Sei-Settecento non li fece tacere. Se ne abbeverarono profondamente anche i padri della scienza moderna, a cominciare da Isaac Newton; e, più tardi, l’ermetismo lasciò la sua impronta profonda non solo nella letteratura e nell’arte (pensate al Flauto magico di Mozart, ma anche a Blake, a Pound, a Borges…), ma anche nella filosofia e negli anfratti occultistici della politica. Il Novecento fiammeggia di riflessi ermetici, che giungono a sfiorare l’utopia comunista, il nazismo, fino a personaggi come Raffaele Mattioli. Non a caso, indagando sull’ermetismo come ' fenomeno carsico', lo Scarpi ricordi proprio il romanzo Ragtime di una quarantina di anni fa, dove si rievoca il rapporto inquietante tra il grande magnate dell’industria Henry Ford e Pierpoint Morgan, mecenate americano collezionista di manoscritti e di opere d’arte.
L’intera raccolta, a cura di Paolo Scarpi – storico delle religioni e classicista dell’Università di Padova – è programmata in due volumi, dei quali adesso è uscito il primo.
Ermete è, ovviamente, italianizzazione del nome del dio ellenico Hermes, che i Romani identificarono con il ladro, mattacchione e maneggione Mercurio, ma ch’era in realtà messaggero degli dei ed enigmatica divinità del Mistero, del Segreto, del Viaggio delle anime verso l’Oltretomba. Il sapiente che portava il suo nome era identificato, nella cultura ellenistica, con il saggio dio egizio Toth, principalmente sulla base di una profonda analogia formale di caratteri e di qualità; e l’epiteto di Trismèghistos rinviava iperbolicamente all’altezza e alla profondità inarrivabili del suo sapere: il Tre Volte Grandissimo.
Che sia mai vissuto un filosofo non diciamo designato da tale nome e da tale epiteto, ma soprattutto caratterizzato da quelle caratteristiche, è con ogni palese certezza non vero. Eppure, gli scritti attribuiti a lui o che di lui parlano stanno sul serio all’origine e al fondamento della cultura moderna: una cultumondo ra 'razionalista' che, com’è stato più volte osservato, affonda – sia nell’Umanesimo, sia nell’Illuminismo – le sue radici nella magia. E non v’è magia, non v’è astrologia, non v’è alchimia, nella modernità occidentale, senza rapporto con i testi ermetici.
Leggere le pagine accuratamente raccolte, nell’originale greco e nella traduzione italiana, nel libro a cura dello Scarpi, è un’avventura intellettuale straordinaria. Ma, poiché la loro vita è restata enigmatica e occulta per molti secoli, non è dall’antichità di essi che la nostra storia deve prendere avvio, bensì da quando, provenienti da Alessandria attraverso Costantinopoli, essi irrompono nell’Occidente moderno. Nel 1460 Cosimo de’ Medici si vide arrivare tra le mani una strana raccolta di testi greci che si presentavano come tradotti dall’antico e misterioso idioma egizio. Cosimo non era uomo colto, ma era assetato di cultura e gran mecenate: mise immediatamente quello che ancor oggi conosciamo come Corpus Hermeticum nelle mani dell’intelletto più alto e del cuore più mistico della sua 'corte', il sacerdote, medico e 'mago' Marsilio Ficino, che nel 1463-1464 lo tradusse in latino.
La raccolta è una straordinaria sequenza di scritti, di solito in forma neoplatonicamente dialogica, che dispiegano l’immensa e profonda scienza dell’ordine del cosmo e delle intime relazioni tra idee divine, astri ed elementi costitutivi del sublunare. Tra essi è di particolare rilievo l’Asclepius, un vero e proprio trattato di magia che pretende di ricondurci alle pratiche e alle tecniche 'teurgiche' (quindi: manipolatrici delle divinità) dei sacerdoti egizi, ma che nella realtà delle cose c’introduce a un sapere composito e per molti versi di tipo sincretico, nel quale sembrano entrare anche elementi ebraici, persiani, indiani. In realtà, l’originale egizio di questi scritti non è mai esistito, per quanto i rapporti con la cultura dell’antico Egitto siano effettivi e profondi: i testi sono d’origine alessandrina, ma risalgono groppo modo ai secoli I- IV della nostra era: un paio di secoli dopo la traduzione in greco della Bibbia, quella detta 'dei Settanta'.
Senza i testi ermetici, il Rinascimento resta un fenomeno incomprensibile: da Pico della Mirandola a John Milton e a Giordano Bruno, essi stanno alla base della nostra cultura magico- esoterica, ma anche – paradossalmente? Non troppo – scientifica. In effetti, in pieno Seicento, Isaac Casaubon dimostrò irrefutabilmente che essi non potevano provenire dalla profonda antichità che pretendevano di detenere. Ma ormai filosofia, astrologia, alchimia e arte ne erano profondamente impregnate: e la 'rivoluzione tecnico-scientifica' del Sei-Settecento non li fece tacere. Se ne abbeverarono profondamente anche i padri della scienza moderna, a cominciare da Isaac Newton; e, più tardi, l’ermetismo lasciò la sua impronta profonda non solo nella letteratura e nell’arte (pensate al Flauto magico di Mozart, ma anche a Blake, a Pound, a Borges…), ma anche nella filosofia e negli anfratti occultistici della politica. Il Novecento fiammeggia di riflessi ermetici, che giungono a sfiorare l’utopia comunista, il nazismo, fino a personaggi come Raffaele Mattioli. Non a caso, indagando sull’ermetismo come ' fenomeno carsico', lo Scarpi ricordi proprio il romanzo Ragtime di una quarantina di anni fa, dove si rievoca il rapporto inquietante tra il grande magnate dell’industria Henry Ford e Pierpoint Morgan, mecenate americano collezionista di manoscritti e di opere d’arte.
Paolo Scarpi (a cura di), LA RIVELAZIONE SEGRETA DI ERMETE TRISMEGISTO, Volume I, Fondazione Valla/Mondadori Pagine 544. Euro 30,00
«Avvenire» del 17 dicembre 2009
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