22 dicembre 2009

Dalle carte di Lukashenko le storie degli italiani dispersi

Archivi segreti Palazzo Chigi traduce i 4 volumi regalati a Berlusconi
di Marco Galluzzo
Le due vite di Giuseppe Lombardi, rifugiato a Mosca
Giuseppe Luigi Lombardi, figlio di Vincenzo, nato a Voghera, di famiglia operaia, iscritto al Pci dal 1921, ricercato in Italia per l'eccidio di alcuni fascisti, riparò in Russia come emigrato politico. A Mosca fu aiutato da compagni italiani a trovare un lavoro, in un impianto di galvanoplastica. Frequentò l'Accademia militare di Leningrado. Divenne colonnello dell'Armata Rossa ed ebbe quattro figli. La sua vita cambiò per la seconda volta l'11 luglio del 1938. Arrestato a Borisov, in Bielorussia, per spionaggio, Lombardi fu condannato a tre anni di lager dall'Nkvd di Stalin. Liberato nel 1941, pochi mesi dopo venne arrestato dagli occupanti tedeschi. Liberato ancora, questa volta dai nazisti, l'anno successivo, morì tre giorni dopo la fine del suo calvario.
Potrebbero esserci anche gli atti del processo, degli interrogatori e della condanna di Guron Ivan Gerardovich, il nome che Lombardi prese in Russia, nelle carte che il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, ha consegnato il 30 novembre scorso, a Minsk, al presidente del Consiglio. Quattro grandi volumi pieni di documenti provenienti dagli archivi dei servizi di sicurezza bielorussi, in parte in cirillico, in parte in tedesco, attualmente in fase di traduzione da parte di Palazzo Chigi. Sul contenuto di queste carte, del «regalo» che a sorpresa Lukashenko ha fatto a Berlusconi, si sa ancora poco. Sono frutto di una «ricerca certosina», come ha dichiarato il presidente bielorusso. La traduzione non è ancora completata, come sia il sottosegretario Gianni Letta che Gianni De Gennaro, che coordina i nostri servizi segreti, hanno dichiarato giorni fa alla commissione parlamentare che si occupa della materia. Quando lo sarà il governo farà una valutazione globale del contenuto, dovrà informare le famiglie italiane interessate a conoscere il destino di tanti loro cari morti o scomparsi nei campi di prigionia russi, quindi trasmettere le carte al Parlamento. Da un primo esame del materiale emergono però alcuni dati certi. Lukashenko ha donato al Cavaliere carteggi riservati di storie processuali, giudiziarie, di persecuzione politica, che riguardano alcune centinaia di nostri connazionali. Fra i dossier in cirillico uno riguarda un elenco di 124 italiani scomparsi in quelle terre, un altro un elenco di altre 30 storie che non sono state ancora mai raccontate.
Un terzo blocco di carteggi riguarda atti d'interrogatorio di cittadini bielorussi, negli anni '60. Persone e famiglie che abitavano nelle zone in cui durante la Seconda Guerra Mondiale si trovava un campo di prigionia tedesco, in cui erano detenuti anche nostri connazionali. Dopo l'8 settembre molti italiani catturati dai nazisti furono mandati proprio nella cosiddetta Russia Bianca, in tanti casi vi trovarono la morte. Alcune di queste storie potrebbero ora essere ricostruite nella loro interezza, così come potrebbe accadere per alcune delle decine di migliaia di storie che riguardano i soldati dell'Armir mai ritornati in Patria. Un quarto blocco di carte sono ancora storie di prigionieri italiani in quelle terre, ma è scritto in tedesco e si occupa anche di prigionieri russi. Anche in questo caso potrebbe riguardare un campo di prigionia della Wehrmacht, durante l'occupazione nazista della Bielorussia. Ovviamente al termine di questo lavoro di traduzione andranno fatti riscontri, verifiche, valutazioni comparate e storiche. Gli archivi di provenienza, ha dichiarato Lukashenko, sono sia russi che bielorussi. I servizi segreti di Minsk si chiamano oggi Kgb, quelli di Mosca hanno chiamato nome, Fsb. I primi erano anche un apparato territoriale dei secondi sino ai primi anni '90. Un grande lavoro di ricostruzione di quegli anni e di tante storie è stato fatto dal centro studi Memorial di Mosca insieme alla Fondazione Feltrinelli di Milano. Traduttori e storici, fra qualche mese, potrebbero avere altro materiale su cui lavorare.
«Corriere della sera» del 22 dicembre 2009

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