di Gianpasquale Santomassimo
L'improvviso rigurgito di togliattismo nel dibattito politico degli ultimi giorni ha sorpreso molti, anche per l'evidente sproporzione del parallelo messo in campo: da un lato l'evocazione del voto sull'Articolo 7 alla Costituente, dall'altro l'opportunità dell'ennesima legge ad personam per salvare Berlusconi dai suoi processi. Uso il termine togliattismo, non a caso, perché credo sia giusto distinguere tra mentalità togliattiana, che è stata larga parte della conformazione storica della tradizione comunista in Italia, e un togliattismo deteriore che ne è la caricatura, sia pure inconsapevole. Nella mentalità togliattiana è cosa nobile e meritoria appoggiare Badoglio per salvare il paese e sconfiggere il fascismo. Nel togliattismo abitudinario, che assolutizza la vocazione al compromesso, per quieto vivere ci si può mettere d'accordo anche con Mussolini.
Siamo sul terreno delle metafore, e nessuno pensa di trovarsi di fronte a un regime dittatoriale, anche se non è un caso che l'immagine di un possibile Cln da costituire sia circolata in un arco amplissimo di forze, che vanno da Ferrero a Tabacci come a Casini (con assenza, significativa, di esponenti del Pd). Siamo però di fronte a uno stato di eccezione, come hanno giustamente osservato molti commentatori dopo il discorso di Berlusconi a Bonn, che mette in gioco natura dello Stato democratico ed equilibrio dei poteri costituzionali, e che tende a imprimere una curvatura plebiscitaria e personalistica alle nostre istituzioni.
I migliori strateghi delle nostre sconfitte ci hanno spiegato in questi anni che l'antiberlusconismo è controproducente, fa il gioco dell'avversario, ne aumenta i consensi. Per la verità una campagna elettorale condotta senza neppure nominare Berlusconi, nel 2008, ha dato un esito disastroso e ci ha consegnato alla situazione che stiamo vivendo.
Ma credo ci sia un equivoco di fondo in questa diatriba, che rende molta parte dell'opposizione succube della logica berlusconiana. In primo luogo, va detto che la personalizzazione della politica è nell'essenza stessa del berlusconismo e del suo modo di porsi in rapporto con il paese, e prescinde da atteggiamenti e volontà degli oppositori; allo stesso modo, è intrinseco a questa politica dividere in due il paese, favorita da quella catastrofe repubblicana che è stata l'introduzione del maggioritario.
C'è troppo clima di odio, si dice: è vero. Ma questo clima è stato introdotto nel 1994, del tutto a freddo, e senza che la situazione lo giustificasse. Silvio Berlusconi si è inventato un anticomunismo postumo fuori della storia, ma efficacissimo e motivante per il popolo a cui si rivolge. Ho ascoltato su RaiNews 24 il suo discorso integrale, prima dell'incidente di Milano. È stato un puro distillato di odio verso la sinistra e ciò che a suo avviso rappresenterebbe: uno stato di polizia tributaria, che vuole vietare i compensi in denaro e rendere tracciabile il percorso dei pagamenti.
Qui si coglie, ancora una volta, il senso ultimo della proposta politica di Berlusconi, l'ammiccamento all'unico orizzonte dell'esistenza comprensibile dai suoi elettori, disposti a sacrificare tutto in cambio di sicurezza e condoni.
«Perché mi odiano tanto?». Questa è una bella domanda a cui, pur non provando alcun odio ma solo commiserazione per il personaggio, si può provare a rispondere: sarà forse perché non gli è mai passato neppure per la testa di governare a nome di tutti gli italiani, anche di quelli che non lo hanno votato, anche di quelli che sono in dissenso radicale rispetto al suo mondo? Tutti i Presidenti del Consiglio nella storia repubblicana assumevano questa veste istituzionale. Lui ha passato il tempo a curare i suoi affari e ad insultare gli oppositori.
Ma lasciamo parole come «odio» e «amore» alla carta per avvolgere cioccolatini.
Sta emergendo una destra civile, che scommette sul patriottismo repubblicano. Se riuscisse a liberarsi di questo rottame ingombrante si potrebbe discutere in maniera costruttiva e nell'interesse del paese. Appoggiare Badoglio? Sì.
Siamo sul terreno delle metafore, e nessuno pensa di trovarsi di fronte a un regime dittatoriale, anche se non è un caso che l'immagine di un possibile Cln da costituire sia circolata in un arco amplissimo di forze, che vanno da Ferrero a Tabacci come a Casini (con assenza, significativa, di esponenti del Pd). Siamo però di fronte a uno stato di eccezione, come hanno giustamente osservato molti commentatori dopo il discorso di Berlusconi a Bonn, che mette in gioco natura dello Stato democratico ed equilibrio dei poteri costituzionali, e che tende a imprimere una curvatura plebiscitaria e personalistica alle nostre istituzioni.
I migliori strateghi delle nostre sconfitte ci hanno spiegato in questi anni che l'antiberlusconismo è controproducente, fa il gioco dell'avversario, ne aumenta i consensi. Per la verità una campagna elettorale condotta senza neppure nominare Berlusconi, nel 2008, ha dato un esito disastroso e ci ha consegnato alla situazione che stiamo vivendo.
Ma credo ci sia un equivoco di fondo in questa diatriba, che rende molta parte dell'opposizione succube della logica berlusconiana. In primo luogo, va detto che la personalizzazione della politica è nell'essenza stessa del berlusconismo e del suo modo di porsi in rapporto con il paese, e prescinde da atteggiamenti e volontà degli oppositori; allo stesso modo, è intrinseco a questa politica dividere in due il paese, favorita da quella catastrofe repubblicana che è stata l'introduzione del maggioritario.
C'è troppo clima di odio, si dice: è vero. Ma questo clima è stato introdotto nel 1994, del tutto a freddo, e senza che la situazione lo giustificasse. Silvio Berlusconi si è inventato un anticomunismo postumo fuori della storia, ma efficacissimo e motivante per il popolo a cui si rivolge. Ho ascoltato su RaiNews 24 il suo discorso integrale, prima dell'incidente di Milano. È stato un puro distillato di odio verso la sinistra e ciò che a suo avviso rappresenterebbe: uno stato di polizia tributaria, che vuole vietare i compensi in denaro e rendere tracciabile il percorso dei pagamenti.
Qui si coglie, ancora una volta, il senso ultimo della proposta politica di Berlusconi, l'ammiccamento all'unico orizzonte dell'esistenza comprensibile dai suoi elettori, disposti a sacrificare tutto in cambio di sicurezza e condoni.
«Perché mi odiano tanto?». Questa è una bella domanda a cui, pur non provando alcun odio ma solo commiserazione per il personaggio, si può provare a rispondere: sarà forse perché non gli è mai passato neppure per la testa di governare a nome di tutti gli italiani, anche di quelli che non lo hanno votato, anche di quelli che sono in dissenso radicale rispetto al suo mondo? Tutti i Presidenti del Consiglio nella storia repubblicana assumevano questa veste istituzionale. Lui ha passato il tempo a curare i suoi affari e ad insultare gli oppositori.
Ma lasciamo parole come «odio» e «amore» alla carta per avvolgere cioccolatini.
Sta emergendo una destra civile, che scommette sul patriottismo repubblicano. Se riuscisse a liberarsi di questo rottame ingombrante si potrebbe discutere in maniera costruttiva e nell'interesse del paese. Appoggiare Badoglio? Sì.
«Il Manifesto» del 22 dicembre 2009
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