di Giuseppe O. Longo
Negli ultimi decenni la tecnologia digitale ha reso la comunicazione sempre più rapida, agevole ed economica, provocando un’alluvione di messaggi scambiati. Secondo alcuni si tratta di una benefica esaltazione di possibilità e di creatività, secondo altri il surriscaldamento comunicativo produce una crescente omologazione e un degrado espressivo dovuto alla frammentazione della sintassi e al depauperamento del lessico. Qualche giorno fa sul « Times » di Londra Ben Macintyre è giunto a sostenere che la proliferazione dei media e il corrispondente calo della nostra capacità di concentrazione stanno uccidendo la tradizione narrativa. Certo è che i nuovi strumenti ( cellulari, televisione, videogiochi e web) partoriscono di continuo piccole e grandi novità tecnologiche che a loro volta fomentano sintassi e semantiche nuove e pulviscolari, al limite dell’evanescente. La comunicazione mediata dalla tecnologia è ormai fattore preponderante nella formazione identitaria, culturale e affettiva dei giovani e giovanissimi della ' generazione digitale' e in più, ponendo l’individuo al centro di un inebriante processo partecipativo, fanno una seria concorrenza alla scuola tradizionale. Dietro tutto ciò sta il bisogno insopprimibile dell’uomo di narrare e di narrarsi, bisogno che oggi si presenta in forme nuove, che affiancano immagini, suoni e colori al veicolo classico della parola. La narrazione acquista così una multimedialità sconosciuta alla tradizione occidentale, basata sull’espressione verbale, orale prima e scritta poi. Le piattaforme più frequentate, YouTube, Facebook o Twitter, sono il luogo di un banchetto narrativo in cui si accendono frammenti verbali o iconici, spesso diaristici e autoreferenziali, lanciati a chi voglia ascoltare e ripresi da chi voglia rispondere. La rapidità e la vastità dei contatti si accompagnano a una volatilità effimera, a una prevalenza del contenuto ( spesso irrilevante) sulla forma, a un’ansiosa superficialità alimentata anche dall’urgenza percepita di dare risposte immediate, in un crescendo di inviti e di sollecitazioni pressanti.
Questo vorticare di messaggi coniuga sbrigatività, eccitazione e superficialità, che spesso impediscono di approfondire i rapporti e alimentano una concezione collezionistica dell’amicizia.
La nostra storia è un susseguirsi di narrazioni, miti, edifici teologici e filosofici, teorie scientifiche e formalizzazioni matematiche: tutto per giustificare l’esistenza del mondo e di noi nel mondo. Ciò è confluito in una poderosa struttura mnemonica, dinamica e diacronica, che costituisce la base per i nostri progetti sul futuro. Ma oggi questo edificio si appiattisce su un presente indifferenziato e ci si può chiedere quali storie, quali miti delle origini, quali parabole potrebbero raccontarsi i « nati digitali » per giustificare a sé stessi la propria esistenza e per anticipare il proprio futuro. I blog, le chat, i forum, le reti sociali e così via sono i semi primordiali di un nuovo tipo di narrazione fondativa, oppure semplicemente uno sconclusionato e casuale rumore di fondo che sta sommergendo ogni residuo di coerenza e di razionalità?
Questo vorticare di messaggi coniuga sbrigatività, eccitazione e superficialità, che spesso impediscono di approfondire i rapporti e alimentano una concezione collezionistica dell’amicizia.
La nostra storia è un susseguirsi di narrazioni, miti, edifici teologici e filosofici, teorie scientifiche e formalizzazioni matematiche: tutto per giustificare l’esistenza del mondo e di noi nel mondo. Ciò è confluito in una poderosa struttura mnemonica, dinamica e diacronica, che costituisce la base per i nostri progetti sul futuro. Ma oggi questo edificio si appiattisce su un presente indifferenziato e ci si può chiedere quali storie, quali miti delle origini, quali parabole potrebbero raccontarsi i « nati digitali » per giustificare a sé stessi la propria esistenza e per anticipare il proprio futuro. I blog, le chat, i forum, le reti sociali e così via sono i semi primordiali di un nuovo tipo di narrazione fondativa, oppure semplicemente uno sconclusionato e casuale rumore di fondo che sta sommergendo ogni residuo di coerenza e di razionalità?
«Avvenire» del 1 dicembre 2009
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