Nel suo nuovo libro il dj si improvvisa filosofo: ha risposte per tutti i "perché" dell’esistenza, dal sesso al consumismo
di Alessandro Gnocchi
Lassù, sulla vetta della classifica, c’è un bresciano che ha venduto centomila copie nella prima settimana di vendita. Il romanzo Il tempo che vorrei (Mondadori, pagg. 294, euro 18) di Fabio Volo ha spodestato e lasciato al palo l’americano Dan Brown. Ruspante, poliedrico e simpatico il primo. Indecifrabile, come il suo Simbolo perduto (Mondadori, pagg. 604, euro 24), il secondo (vedi articolo qui a fianco). Ex panettiere il primo. Laureato in storia dell’arte il secondo. Entrambi però perfettamente immersi nel mondo multimediale. Volo è anche deejay, attore e conduttore televisivo. Brown, ex musicista, domina il botteghino con i film tratti dai suoi libri. Entrambi sono da tempo abbonati all’elenco dei bestseller a presa immediata.
Il luogo comune spiega il successo di Volo con la sua indubbia capacità di farsi capire da tutti (scrive come parla e parla come mangia). E certo è vero. Il romanzo, una storia d’amore (fallita) intrecciata alle traversie di una famiglia che ha conosciuto la povertà, funziona e si fa leggere: è un prodotto editoriale di buon livello. Per intenderci, al confronto delle storie sgangherate e per soli adolescenti di Federico Moccia, Volo qui fa la figura di Philip Roth. Ma può darsi che il lettore, specie quello più giovane, sia attirato da un altro aspetto, spesso involontariamente comico, della prosa di Volo. Cioè la tendenza a farcire la narrazione di aforismi, frasi fatte, sentenze sui grandi quesiti della vita. Non c’è aspetto dell’esistenza che lo lasci senza parole o lo colga impreparato. Fabio ha la risposta, anzi: ha le risposte. Tutte quante.
Nell’amore, Volo non teme rivali, fa mangiare la polvere a Moccia e si pone come alter ego di Francesco Alberoni. La qualità di una storia d’amore «non può essere misurata dalla durata. Non conta il quanto, ma il come». A volte succede che «amiamo una persona più per il bene che le abbiamo fatto che per quello che ha fatto a noi». La psicologia ha la sua importanza: «Ci sono donne alle quali è meglio non chiedere nulla perché ti direbbero comunque di no. Perché dicono sì solo a chi non chiede», cioè all’uomo che non deve chiedere mai. Non mancano affondi filosofici: «L’amore è come la morte: non si sa quando ci colpirà» o «L’odio non si può fingere, l’amore sì».
Abbondano anche scene hard e consigli pratici, si va da: «il grande segreto è: tocca come una donna e bacia come un uomo» a «come molte donne, non amava sentire che ero ossessionato dal suo orgasmo». E se qualcuno avesse dubbi su come condurre le operazioni amatorie note come preliminari, ecco un punto di partenza da tenere a mente: «Il cazzo si vede, la patata no».
I romanzi spesso si interrogano sul mistero della condizione umana, e così accade anche nel Tempo che vorrei. «Il senso della vita non lo capivo» sembra ammettere l’autore. Strano infatti Volo recupera alla riga successiva: «Però avevo capito che la vita stessa era l’unica occasione che avevo per scoprirlo». In fondo, «la nostra forza è l’autenticità», e forti di questa convinzione scopriamo che «vivere è l’arte di diventare quello che si è già» (ma non l’aveva già detto Pindaro?). Dobbiamo però ricordare che «bisogna rispettare la dignità altrui e capire che ognuno è abituato alla propria misura». Meglio non curarsi troppo di ciò che dicono di noi perché «chi critica spesso ha paura» e badare piuttosto a non fare agli altri ciò che non vogliamo sia fatto a noi perché «se critichi continuamente gli altri, finisce che crei una grande aspettativa su di te, ti costruisci da solo la tua trappola». Anche i personaggi del libro parlano per aforismi, come Nietzsche, solo che guardano al quotidiano. Ad esempio, la ragazza «molla» il protagonista Lorenzo con questo discorsetto introduttivo: «La vita non è in garanzia. Non è una lavatrice che se si rompe qualcuno te la ripara. Se si rompe, si rompe. Puoi stare fuori dalla vita, costruendoti un mondo di certezze, ma è solo un’illusione». Il capo ufficio invece galvanizza Lorenzo e gli altri dipendenti con motti e consigli (non sempre farina del suo sacco). Cito: «Non sempre premia mostrare le proprie virtù. A volte è meglio nasconderle»; «Spesso i simpatici sono insopportabili»; «L’insoddisfazione crea lavoro»; «Ogni muro è una porta»; «Qualcuno di noi discende dalle scimmie, altre ci si avvicinano crescendo» e così via.
Ma ovviamente c’è molto altro, Volo affronta l’intero scibile. La vera ribellione? «Non c’è niente di più rivoluzionario che fare bene e con qualità quello che si sta facendo». L’individualismo? «Tutti criticano l’ego, ma sono pronti ad applaudire chi si è distinto grazie a quello». La lettura? «Leggere è un’apertura dei sensi verso il mondo, è un vedere e riconoscere cose che ti appartengono e che rischiano di essere non viste. Leggere ci fa riscoprire l’anima delle cose». La famiglia? «Essere figli è più facile. In quanto figli non si può scegliere nulla: non si sceglie il padre, la madre, i fratelli, le sorelle. Mentre in un genitore il fatto di poter scegliere spesso crea ansia, per paura di fare la scelta sbagliata». La società? «Il consumo è il motore della società poiché ne determina i rapporti di forza, i modelli di comportamento, le categorie sociali, ossia lo status sociale». Il conformismo vecchio e soprattutto nuovo? «L’omologazione non è mai stata realizzata nemmeno dalle dittature più feroci, mentre la società dei consumi, senza dichiararlo, ci si è avvicinata molto di più».
Così parlò Fabio Zarathustra.
Il luogo comune spiega il successo di Volo con la sua indubbia capacità di farsi capire da tutti (scrive come parla e parla come mangia). E certo è vero. Il romanzo, una storia d’amore (fallita) intrecciata alle traversie di una famiglia che ha conosciuto la povertà, funziona e si fa leggere: è un prodotto editoriale di buon livello. Per intenderci, al confronto delle storie sgangherate e per soli adolescenti di Federico Moccia, Volo qui fa la figura di Philip Roth. Ma può darsi che il lettore, specie quello più giovane, sia attirato da un altro aspetto, spesso involontariamente comico, della prosa di Volo. Cioè la tendenza a farcire la narrazione di aforismi, frasi fatte, sentenze sui grandi quesiti della vita. Non c’è aspetto dell’esistenza che lo lasci senza parole o lo colga impreparato. Fabio ha la risposta, anzi: ha le risposte. Tutte quante.
Nell’amore, Volo non teme rivali, fa mangiare la polvere a Moccia e si pone come alter ego di Francesco Alberoni. La qualità di una storia d’amore «non può essere misurata dalla durata. Non conta il quanto, ma il come». A volte succede che «amiamo una persona più per il bene che le abbiamo fatto che per quello che ha fatto a noi». La psicologia ha la sua importanza: «Ci sono donne alle quali è meglio non chiedere nulla perché ti direbbero comunque di no. Perché dicono sì solo a chi non chiede», cioè all’uomo che non deve chiedere mai. Non mancano affondi filosofici: «L’amore è come la morte: non si sa quando ci colpirà» o «L’odio non si può fingere, l’amore sì».
Abbondano anche scene hard e consigli pratici, si va da: «il grande segreto è: tocca come una donna e bacia come un uomo» a «come molte donne, non amava sentire che ero ossessionato dal suo orgasmo». E se qualcuno avesse dubbi su come condurre le operazioni amatorie note come preliminari, ecco un punto di partenza da tenere a mente: «Il cazzo si vede, la patata no».
I romanzi spesso si interrogano sul mistero della condizione umana, e così accade anche nel Tempo che vorrei. «Il senso della vita non lo capivo» sembra ammettere l’autore. Strano infatti Volo recupera alla riga successiva: «Però avevo capito che la vita stessa era l’unica occasione che avevo per scoprirlo». In fondo, «la nostra forza è l’autenticità», e forti di questa convinzione scopriamo che «vivere è l’arte di diventare quello che si è già» (ma non l’aveva già detto Pindaro?). Dobbiamo però ricordare che «bisogna rispettare la dignità altrui e capire che ognuno è abituato alla propria misura». Meglio non curarsi troppo di ciò che dicono di noi perché «chi critica spesso ha paura» e badare piuttosto a non fare agli altri ciò che non vogliamo sia fatto a noi perché «se critichi continuamente gli altri, finisce che crei una grande aspettativa su di te, ti costruisci da solo la tua trappola». Anche i personaggi del libro parlano per aforismi, come Nietzsche, solo che guardano al quotidiano. Ad esempio, la ragazza «molla» il protagonista Lorenzo con questo discorsetto introduttivo: «La vita non è in garanzia. Non è una lavatrice che se si rompe qualcuno te la ripara. Se si rompe, si rompe. Puoi stare fuori dalla vita, costruendoti un mondo di certezze, ma è solo un’illusione». Il capo ufficio invece galvanizza Lorenzo e gli altri dipendenti con motti e consigli (non sempre farina del suo sacco). Cito: «Non sempre premia mostrare le proprie virtù. A volte è meglio nasconderle»; «Spesso i simpatici sono insopportabili»; «L’insoddisfazione crea lavoro»; «Ogni muro è una porta»; «Qualcuno di noi discende dalle scimmie, altre ci si avvicinano crescendo» e così via.
Ma ovviamente c’è molto altro, Volo affronta l’intero scibile. La vera ribellione? «Non c’è niente di più rivoluzionario che fare bene e con qualità quello che si sta facendo». L’individualismo? «Tutti criticano l’ego, ma sono pronti ad applaudire chi si è distinto grazie a quello». La lettura? «Leggere è un’apertura dei sensi verso il mondo, è un vedere e riconoscere cose che ti appartengono e che rischiano di essere non viste. Leggere ci fa riscoprire l’anima delle cose». La famiglia? «Essere figli è più facile. In quanto figli non si può scegliere nulla: non si sceglie il padre, la madre, i fratelli, le sorelle. Mentre in un genitore il fatto di poter scegliere spesso crea ansia, per paura di fare la scelta sbagliata». La società? «Il consumo è il motore della società poiché ne determina i rapporti di forza, i modelli di comportamento, le categorie sociali, ossia lo status sociale». Il conformismo vecchio e soprattutto nuovo? «L’omologazione non è mai stata realizzata nemmeno dalle dittature più feroci, mentre la società dei consumi, senza dichiararlo, ci si è avvicinata molto di più».
Così parlò Fabio Zarathustra.
«Il Giornale» del 9 dicembre 2009
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