Condanna dell’Unione: è intolleranza. E l’Onu ora valuta la compatibilità con il diritto
di Giorgio Ferrari
L’Europa ha bocciato il referendum svizzero sui minareti, stendendo sulla vicenda un coro di dissenso pressoché unanime, mentre l’Onu stessa si propone di valutarne la legalità e la compatibilità con il diritto internazionale. A pronunciarsi per primo a nome della Ue è stato il ministro degli Esteri svedese Carl Bildt, secondo il quale «il no alla costruzione dei minareti è l’espressione di un pregiudizio e allo stesso modo può essere tradotto come una chiara espressione di paura ed un segnale negativo sotto ogni aspetto. Nor- malmente, la Svezia e gli altri Paesi si avvalgono di urbanisti per prendere tali decisioni Di analogo tenore il parere del Consiglio d’Europa: « Il risultato di questo referendum va contro i valori di tolpolazione ». leranza, dialogo e rispetto per i credo di altri popoli che il Consiglio d’Europa e la sua Assemblea parlamentare hanno sempre sostenuto. Da una parte, questa decisione riflette i timori della popolazione svizzera – e della po- europea nel complesso – per il fondamentalismo islamico. Dall’altra, oltre a non contribuire a eliminare le cause del fondamentalismo, potrebbe incoraggiare sentimenti di esclusione e approfondire le tensioni nelle nostre società», ha dichiarato in una nota il presidente Lluís Maria de Puig.
Un po’ più sfumato il tono della Commissione europea («La Commissione non può intervenire né commentare la decisione di un Paese terzo – dice il portavoce del commissario alla Libertà e Giustizia Jacques Barrot –, ma in generale Bruxelles ritiene che lo Stato sovrano debba rispettare il più possibile la libertà di religione »). L’allusione ai criteri di Copenhagen è trasparente e sottintesa: stabiliti nel 1993 allo scopo di regolamentare l’allargamento alle Repubbliche ex sovietiche, vennero definiti secondo tre direttrici, la principale delle quali è quella politica, che contiene appunto come inderogabile concetto “il rispetto delle minoranze” e la loro tutela, capitolo nel quale ricade la libertà di culto e, per estensione, anche quella di edificare luoghi dedicati al culto. Berna tenta di rassicurare. Ieri il ministro della Giustizia svizzero, signora Evelyne Widmer Schlumpf era a Bruxelles e ha subito cercato di mettere le mani avanti, sostenendo che il voto, pur non « un bel segnale » per il suo Paese, non è contro l’islam, ma semplicemente contro la costruzione di minareti.
« Non ci sono problemi tra musulmani ed europei nell’Unione europea – si sforza di dire il ministro svedese di origine africana Nyamko Sabumi –. I musulmani sono europei». Anche il capo della diplomazia francese, Bernard Kouchner, si è detto «un po’ choccato da un voto che è espressione di intolleranza».
«Non dobbiamo dare la sensazione di stigmatizzare una religione, e cioè l’islam», ha aggiunto il ministro francese dell’Immigrazione Eric Besson. Così pure commenta la massiccia comunità turca in Germania: «Una decisione spiacevole», ha scritto Kenan Kolat, capo della comunità, che ha insistito anche sul fatto che « diritti basilari come quello di culto non dovrebbero essere sottoposti a referendum ».
Ma è caratteristico dell’Europa, ormai allargata a ventisette membri, non avere sempre una voce univoca.
Nel coro di dissenso infatti si staglia a sorpresa (ma neanche poi tanto, a ben vedere) la Danimarca, laddove il Partito del popolo danese (Df) – formazione nazionalista nota per le sue posizioni intransigenti sull’immigrazione – ha preannunciato che intende chiedere un referendum simile a quello organizzato in Svizzera contro la costruzione di nuovi minareti: «È un bene che la popolazione possa esprimersi su certi temi», ha detto la leader del Df Pia Kjaersgard, nonostante attualmente non esistano moschee in Danimarca. Nettamente ostile al referendum invece è il Partito liberale, la principale formazione nella coalizione di centro- destra al governo. Ma al di là dei proclami il fuoco, come s’intuisce, cova sotto la cenere. E non solo in Danimarca.
Un po’ più sfumato il tono della Commissione europea («La Commissione non può intervenire né commentare la decisione di un Paese terzo – dice il portavoce del commissario alla Libertà e Giustizia Jacques Barrot –, ma in generale Bruxelles ritiene che lo Stato sovrano debba rispettare il più possibile la libertà di religione »). L’allusione ai criteri di Copenhagen è trasparente e sottintesa: stabiliti nel 1993 allo scopo di regolamentare l’allargamento alle Repubbliche ex sovietiche, vennero definiti secondo tre direttrici, la principale delle quali è quella politica, che contiene appunto come inderogabile concetto “il rispetto delle minoranze” e la loro tutela, capitolo nel quale ricade la libertà di culto e, per estensione, anche quella di edificare luoghi dedicati al culto. Berna tenta di rassicurare. Ieri il ministro della Giustizia svizzero, signora Evelyne Widmer Schlumpf era a Bruxelles e ha subito cercato di mettere le mani avanti, sostenendo che il voto, pur non « un bel segnale » per il suo Paese, non è contro l’islam, ma semplicemente contro la costruzione di minareti.
« Non ci sono problemi tra musulmani ed europei nell’Unione europea – si sforza di dire il ministro svedese di origine africana Nyamko Sabumi –. I musulmani sono europei». Anche il capo della diplomazia francese, Bernard Kouchner, si è detto «un po’ choccato da un voto che è espressione di intolleranza».
«Non dobbiamo dare la sensazione di stigmatizzare una religione, e cioè l’islam», ha aggiunto il ministro francese dell’Immigrazione Eric Besson. Così pure commenta la massiccia comunità turca in Germania: «Una decisione spiacevole», ha scritto Kenan Kolat, capo della comunità, che ha insistito anche sul fatto che « diritti basilari come quello di culto non dovrebbero essere sottoposti a referendum ».
Ma è caratteristico dell’Europa, ormai allargata a ventisette membri, non avere sempre una voce univoca.
Nel coro di dissenso infatti si staglia a sorpresa (ma neanche poi tanto, a ben vedere) la Danimarca, laddove il Partito del popolo danese (Df) – formazione nazionalista nota per le sue posizioni intransigenti sull’immigrazione – ha preannunciato che intende chiedere un referendum simile a quello organizzato in Svizzera contro la costruzione di nuovi minareti: «È un bene che la popolazione possa esprimersi su certi temi», ha detto la leader del Df Pia Kjaersgard, nonostante attualmente non esistano moschee in Danimarca. Nettamente ostile al referendum invece è il Partito liberale, la principale formazione nella coalizione di centro- destra al governo. Ma al di là dei proclami il fuoco, come s’intuisce, cova sotto la cenere. E non solo in Danimarca.
«Avvenire» del 1 dicembre 2009
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