di Marco Olivetti
Il risultato del referendum che domenica ha introdotto nella Costituzione svizzera un divieto di costruire minareti sul territorio della Confederazione è solo l’ultimo capitolo di una storia – quella della “costituzione religiosa” elvetica – di grande ricchezza e complessità. Il quadro istituzionale è uno dei fattori di tale complessità. Da un lato il sistema federale, basato sulla compresenza nella Confederazione di Cantoni cattolici e protestanti, e, oggi, sulla competenza federale in materia di libertà di religione accanto a quella dei Cantoni per i rapporti fra i pubblici poteri e le confessioni religiose. Ne risulta un assetto nel quale, a livello cantonale, modelli diversi di istituzionalizzazione del fenomeno religioso ( spesso con meccanismi di tipo concordatario), piuttosto simili al diritto ecclesiastico “pattizio” italiano o tedesco, si affiancano a tendenze verso un regime separatista, vicino alla laicità francese, soprattutto nei cantoni francofoni.
D’altro canto, la pratica costante della democrazia diretta, e in particolare del referendum costituzionale, condiziona le soluzioni adottate sia a livello federale che a livello cantonale. Con un referendum di iniziativa popolare, è infatti possibile inserire disposizioni normative nella Costituzione anche contro il parere del Parlamento e del Governo: ed è proprio quanto è avvenuto domenica, con le norme che vietano la costruzione di nuovi minareti. Ma anche questa norma non è una novità assoluta, ed è solo l’ultima di una serie di disposizioni piuttosto originali in materia religiosa. La storia della disciplina costituzionale del fenomeno religioso in Svizzera inizia con il giurisdizionalismo confessionista che caratterizzava (per lo più in senso monoconfessionista) i Cantoni dell’antica Confederazione, fino al 1798. Quell’anno, con la Repubblica Elvetica, creata a seguito dell’invasione napoleonica, fece la sua apparizione la prima norma costituzionale di garanzia della libertà di religione.
Dopo la restaurazione, fu necessario attendere la Costituzione del 1848 – con la quale la Svizzera si trasformò da confederazione di cantoni sovrani in Stato federale in cui sono uniti cantoni autonomi – per ritrovare una garanzia della libertà religiosa, che era peraltro espressamente limitata alle confessioni cristiane. Ciò era la necessaria conseguenza della complessità religiosa della popolazione e della prevalenza dei cattolici e di vari tipi di confessioni protestanti (luterani, calvinisti, eccetera) nei vari Cantoni. Ma la Costituzione del 1848 era anche il prodotto di una guerra civile fra cantoni cattolici e protestanti, vinta da questi ultimi, per cui in essa venne previsto il divieto ai gesuiti di operare sul territorio svizzero. A sua volta, la Costituzione del 1874 da un lato generalizzò la libertà religiosa anche per le confessioni non cristiane, ma dall’altro – intervenendo dopo il Kulturkampf fra la Chiesa di Pio IX e il governo elvetico, culminato nel 1873 nell’espulsione del cardinale Marmillod dalla Svizzera per aver istituito un vicariato generale a Ginevra – conteneva una serie di limitazioni alla li- bertà di organizzazione della Chiesa cattolica: oltre all’interdizione dei gesuiti, venne prevista anche quella dei conventi (sempre cattolici) e fu aggiunta la necessità dell’autorizzazione della Confederazione per la modificazione del territorio delle diocesi.
Solo negli anni Settanta del Novecento ebbe inizio l’abrogazione di queste disposizioni (nel 1973 vennero rimossi sia lo Jesuitenartikel, sia il Klosterartikel), mentre l’articolo sulle diocesi (Bistumartikel) è rimasto anche nella recentissima Costituzione del 1999, da cui è stato eliminato solo nel 2001. Ma oltre a queste disposizioni – frutto dell’ostilità del partito liberale svizzero ai cattolici – ne va ricordata un’altra, che può ben essere ritenuta il precedente diretto della norma anti-minareti. Si tratta della disposizione – introdotta nel 1893 in Costituzione con un referendum e rimastavi per molti decenni – che vietava la macellazione rituale: e in questo caso il bersaglio erano gli ebrei svizzeri (una disposizione analoga, a dire il vero, era presente sino a qualche anno fa anche nella legislazione tedesca).
Relativamente consolidato, da oltre un secolo, pare invece il nucleo centrale della libertà religiosa in Svizzera. Ma i profili esterni di tale libertà, attinenti soprattutto alla sua dimensione istituzionale, sono non da oggi oggetto di dibattiti ed evoluzioni. Comunque si giudichi il referendum, sarebbe forse bene che i critici musulmani di esso adottassero una prospettiva sufficientemente articolata, che tenga conto che nel solo Stato laico del mondo islamico, la Turchia, la visibilità degli edifici di culto non cristiani è sottoposta a regole molto rigorose, che escludono, ad esempio, l’esposizione del crocifisso all’esterno di tali luoghi.
D’altro canto, la pratica costante della democrazia diretta, e in particolare del referendum costituzionale, condiziona le soluzioni adottate sia a livello federale che a livello cantonale. Con un referendum di iniziativa popolare, è infatti possibile inserire disposizioni normative nella Costituzione anche contro il parere del Parlamento e del Governo: ed è proprio quanto è avvenuto domenica, con le norme che vietano la costruzione di nuovi minareti. Ma anche questa norma non è una novità assoluta, ed è solo l’ultima di una serie di disposizioni piuttosto originali in materia religiosa. La storia della disciplina costituzionale del fenomeno religioso in Svizzera inizia con il giurisdizionalismo confessionista che caratterizzava (per lo più in senso monoconfessionista) i Cantoni dell’antica Confederazione, fino al 1798. Quell’anno, con la Repubblica Elvetica, creata a seguito dell’invasione napoleonica, fece la sua apparizione la prima norma costituzionale di garanzia della libertà di religione.
Dopo la restaurazione, fu necessario attendere la Costituzione del 1848 – con la quale la Svizzera si trasformò da confederazione di cantoni sovrani in Stato federale in cui sono uniti cantoni autonomi – per ritrovare una garanzia della libertà religiosa, che era peraltro espressamente limitata alle confessioni cristiane. Ciò era la necessaria conseguenza della complessità religiosa della popolazione e della prevalenza dei cattolici e di vari tipi di confessioni protestanti (luterani, calvinisti, eccetera) nei vari Cantoni. Ma la Costituzione del 1848 era anche il prodotto di una guerra civile fra cantoni cattolici e protestanti, vinta da questi ultimi, per cui in essa venne previsto il divieto ai gesuiti di operare sul territorio svizzero. A sua volta, la Costituzione del 1874 da un lato generalizzò la libertà religiosa anche per le confessioni non cristiane, ma dall’altro – intervenendo dopo il Kulturkampf fra la Chiesa di Pio IX e il governo elvetico, culminato nel 1873 nell’espulsione del cardinale Marmillod dalla Svizzera per aver istituito un vicariato generale a Ginevra – conteneva una serie di limitazioni alla li- bertà di organizzazione della Chiesa cattolica: oltre all’interdizione dei gesuiti, venne prevista anche quella dei conventi (sempre cattolici) e fu aggiunta la necessità dell’autorizzazione della Confederazione per la modificazione del territorio delle diocesi.
Solo negli anni Settanta del Novecento ebbe inizio l’abrogazione di queste disposizioni (nel 1973 vennero rimossi sia lo Jesuitenartikel, sia il Klosterartikel), mentre l’articolo sulle diocesi (Bistumartikel) è rimasto anche nella recentissima Costituzione del 1999, da cui è stato eliminato solo nel 2001. Ma oltre a queste disposizioni – frutto dell’ostilità del partito liberale svizzero ai cattolici – ne va ricordata un’altra, che può ben essere ritenuta il precedente diretto della norma anti-minareti. Si tratta della disposizione – introdotta nel 1893 in Costituzione con un referendum e rimastavi per molti decenni – che vietava la macellazione rituale: e in questo caso il bersaglio erano gli ebrei svizzeri (una disposizione analoga, a dire il vero, era presente sino a qualche anno fa anche nella legislazione tedesca).
Relativamente consolidato, da oltre un secolo, pare invece il nucleo centrale della libertà religiosa in Svizzera. Ma i profili esterni di tale libertà, attinenti soprattutto alla sua dimensione istituzionale, sono non da oggi oggetto di dibattiti ed evoluzioni. Comunque si giudichi il referendum, sarebbe forse bene che i critici musulmani di esso adottassero una prospettiva sufficientemente articolata, che tenga conto che nel solo Stato laico del mondo islamico, la Turchia, la visibilità degli edifici di culto non cristiani è sottoposta a regole molto rigorose, che escludono, ad esempio, l’esposizione del crocifisso all’esterno di tali luoghi.
«Avvenire» del 1 dicembre 2009
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