16 dicembre 2009

Filosofia, pace fatta tra i due «continenti»?

Gli analitici anglosassoni, più attenti a scienze e linguaggio, e gli europei continentali, dediti a storia e metafisica, sono contrapposti da decenni. Ma ora un convegno a Roma tenta di ricucire
di Andrea Lavazza
Il continentale Poggi: «Grazie ai licei l’Italia è uno dei Paesi filosoficamente più vivaci» L’analitico De Caro: «Ora entrambe le scuole indagano i problemi dell’esistenza»
Si dice che quando se ne parlò la prima volta, qualcuno chiu­se subito la comunicazione. Fare un convegno mettendo insie­me filosofi 'continentali' e 'anali­tici' sembrava un’eresia per la sce­na italiana, compartimentata fra studiosi più orientati alla storia del­la disciplina e ricercatori di stam­po anglosassone. Poi la possibilità di un confronto ravvicinato, con il delinearsi anche di autentiche con­vergenze, è apparsa invece concre­ta e addirittura seducente per le due società filosofiche che lo hanno promosso: la vetusta e 'continen­tale' Società filosofica italiana (Sfi) fondata nel 1906 e la più giovane e battagliera Società italiana di filo­sofia analitica (Sifa). E da domani l’evento si svolgerà a Roma sotto auspici di rinnovata collaborazione. Forse sarà anche un’occasione per mettere a frutto un grande patri­monio che è sicuramente poco va­lorizzato. «Che l’Italia sia uno dei Paesi più 'filosofici' al mondo è for­se un fatto cui non si presta atten­zione. L’insegnamento della filoso­fia presente nei nostri licei rappre­senta un vero unicum mondiale – sottolinea Stefano Poggi, ordinario di Storia della filosofia all’Univer­sità di Firenze e presidente della Sfi –. E anche l’ultima riforma della se­condaria continua a dare ampio spazio alla disciplina, pur se ne pe­nalizza la presenza nel liceo scien­tifico: il che è motivo di notevole perplessità. Per non parlare poi de­gli atenei: nel nostro Paese, ad e­sempio, i cultori della materia so­no ben più numerosi che in Ger­mania. E questa potrebbe suonare come una sorpresa per tanti».
Proprio nella Germania della se­conda metà dell’Ottocento nacque il fenomeno della 'professionaliz­zazione' della filosofia e farne la storia divenne un modo per dare riconoscimento e dignità accade­mica alla disciplina. Quel retaggio pesa ancora in parte sull’Italia. «La Società filosofica italiana di cui so­no presidente – continua Poggi – ha oggi quasi 1.200 iscritti, molti dei quali insegnanti delle superiori. Vo­gliamo fungere un po’ da 'cinghia di trasmissione' per un rinnova­mento e l’aggiornamento. C’è do­manda di filosofia, ma spesso si ve­de all’opera una banalizzazione delle riflessioni. Il congresso sarà un’occasione importante per un ri­lancio ». «I contributi che la migliore filoso­fia analitica offre al dibattito con­temporaneo – fa eco Mario De Ca­ro, docente di Filosofia morale al­l’Università Roma Tre – sono la ri­gorizzazione dell’argomentazione e l’interesse per le nuove questioni che i progressi della scienza pon­gono alla riflessione filosofica. La congiunzione di queste prerogati­ve con la prospettiva tradizional­mente di maggiore respiro della tra­dizione storica continentale può dare nuovo spessore alla discus­sione su temi quali la bioetica, il rapporto tra filosofia e scienza o tra filosofia e religione».
Che la filosofia si 'venda' ancora bene è testimoniato dal fatto che un 'best-seller del pensiero' diffon­de in Italia più o meno le stesse co­pie di un’opera analoga sul merca­to americano, che però è cinque volte più grande. Tuttavia, l’im­pressione è che la nostra accade­mia pecchi un po’ di 'passatismo', con tanta produzione dedicata al­la studio di autori scomparsi e an­che di figure minori. «È un rischio reale – annota Poggi –, il rigore del­la ricostruzione filologica è un’atti­tudine importante, che non deve però \sclerotizzare la ricerca o la chiusura in autoreferenzialità tut­ta italiana. In più d’una università, ad esempio, non ha lo spazio che dovrebbe avere l’insegnamento della logica e della filosofia della scienza. Ma non bisogna genera­lizzare ». Secondo De Caro – che è vicepre­sidente della Sifa –, «oggi in Italia la filosofia sta vivendo un momento piuttosto vitale. Allo studio anti­quario e avulso da ogni interesse teorico di oscuri filosofi del passa­to si va infatti sostituendo l’idea che la filosofia debba tornare a con­frontarsi con le questioni centrali della nostra vita: se esista la libertà, cosa determini la nostra indivi­dualità, quale sia la corretta pro­spettiva morale, cosa possiamo sperare di conoscere. Tutte que­stioni già discusse da una tradizio­ne millenaria (che non si può non conoscere) e che tuttavia ritorna­no con attualità e urgenza».
«D’altra parte – ricorda Poggi – fa­re storia è anche ricordare le in­fluenze che hanno orientato lo svi­luppo della filosofia italiana. O lo hanno bloccato. Una certa salda­tura tra la scuola marxista e i retaggi dell’idealismo cro­ciano congiurò nel secon­do dopoguerra a svalutare l’attenzione verso la scien­za e i filoni più moderni del­la ricerca. Ed un modo a­nalogo di interpretare la propria appartenenza al fi­lone 'continentale' conti­nua ancor oggi a far da fre­no a settori non trascurabi­li della comunità filosofica del no­stro Paese». Anche la filosofia analitica, secon­do De Caro, si trova oggi a un pun­to di svolta: «All’interno di questa tradizione, infatti, si affrontano due diverse impostazioni. Da una par­te ci sono i fautori di una 'tecniciz­zazione' della filosofia: coloro che credono che la filosofia debba ne­cessariamente rifarsi alle modalità d’indagine della logica, della mate­matica o delle scienze. D’altra par­te, altri pensatori aprono l’indagi­ne filosofica ai problemi fonda­mentali dell’esistenza, al dialogo con la filosofia continentale e con la riflessione storica».
« Quello che gli ' storici' possono ancora oggi vantare – conclude Poggi – è un’attenzione ai grandi te­mi della filosofia, agli interrogativi sul senso. E la metafisica non deve essere esclusa dal panorama delle posizioni in gioco, perché la di­mensione della vita non può esse­re ridotta alla prospettiva rigida­mente riduzionistica della scienza. Al di là dei tecnicismi, dobbiamo saper porre le domande in modo chiaro e rigoroso. Questo è il com­pito primo della filosofia, anche og­gi ».
«Avvenire» del 15 dicembre 2009

Nessun commento: