Quando la politica si riduce a lotta, come tra signorie cinquecentesche
di Davide Rondoni
Ma a chi serve questo scontro permanente? Lo chiamano scontro istituzionale, lo chiamano scontro politico.
E lo è. Ma la maggior parte degli italiani, sono sicuro, non lo capisce. Vede ombre confuse e inquietanti agitarsi. Sente parole importanti volare come stracci, mischiate, spappolate: giustizia, mafia, istituzioni, Italia… E sa che, comunque, non ne viene niente di buono per loro.
L’Italia è sempre stata terra di Signori in lotta. Di potenti armati l’uno contro l’altro. Fa parte della nostra storia. E gli italiani, anche quando non si chiamavano tali, assistevano a questi scontri di 'Signori' in lotta. Assistevano e li mandavano a quel paese, magari con il sorriso amaro sulle labbra. Molta letteratura popolare è così. E pure Dante non scherza. Questi 'Signori' hanno legittime ragioni, forse, da un lato e dall’altro.
Hanno una parte di verità, da una parte e dall’altra. E anche, bisogna dirlo, una certa fame di potere, da una parte e dall’altra. Ma il fatto è che allora, quando i pre-italiani vedevano i Signori in lotta tra loro, non c’era la democrazia. Che dovrebbe essere il governo del popolo.
E allora chiedo ancora, cercando di dar voce a quel che gli italiani non dicono, magari parandosi dietro al cinismo teatrante che li distingue: ma a chi serve questo scontro continuo? Non serve ai poveri cristi, ai tanti poveri cristi che si attendono dalla politica, dai 'Signori' un po’ di attenzione ai problemi. Ai poveri cristi questo scontro di sicuro non serve. E non serve ai giovani che di certo non sono invogliati a entrare in un’arena così stravolta e confusa. I poveri cristi e i giovani (nomi e sinonimi – credo – delle categorie più deboli del nostro Paese) non ne vogliono certo sapere di questa arena incomprensibile e confusa. Si voltano da un’altra parte, e questo non è un bene per la democrazia. Lo dimostrano le analisi dei dati di ascolto delle cosiddette piazze politiche in tv. Non si desidera, ovviamente, la politica come forbito colloquio tra educande, e tutti hanno ben chiaro che quando c’è troppo silenzio vuol dire che c’è qualcosa che somiglia al totalitarismo. Non interessa nemmeno troppo, qui, star a vedere chi ha iniziato lo scontro. Ogni parte in causa ha responsabilità a cui non si può sottrarre. Al momento di votare la gente, come prevede la democrazia, darà un segno e un giudizio. Ma nella vita sociale non conta solo il voto. Non conta solo il momento in cui la democrazia si esprime. Conta pure il momento in cui si rafforza o si indebolisce. E lo scontro permanente può forse essere la condizione normale in una situazione cinquecentesca caratterizzata da Signorie in lotta, ma non è la condizione ideale per la crescita di una democrazia matura. I poveri cristi e i giovani sono condannati a un Cinquecento politico? Senza nemmeno la fortuna o l’onore di un Cinquecento culturale nel nostro Paese? La politica intesa solo come realizzazione di un disegno di potere (per quanto lo si presuma giusto, efficace o addirittura morale) porta inevitabilmente allo scontro continuo. La politica è, invece, mediazione. Politica e vita istituzionale condotte senza senso della mediazione, fanno vittime i poveri cristi e i giovani, le parti più delicate del corpo sociale. A loro lo scontro fa male, più che a tutti gli altri. Una ferita sorda, a cui spesso non hanno nemmeno la forza di opporsi. Che non subiscono gridando, ma con il silenzio cupo della rassegnazione delusa. Un’ira sorda. Che si manifesta lontano dalla scena della politica. E allora quel grido mancato lo lancio io, con il mio niente di voce: fate le vostre lotte, ma fatele politicamente, cioè costruttivamente. Ogni scontro distruttivo, oggi non è solo contro la democrazia e le sue istituzioni. È contro i più deboli.
E lo è. Ma la maggior parte degli italiani, sono sicuro, non lo capisce. Vede ombre confuse e inquietanti agitarsi. Sente parole importanti volare come stracci, mischiate, spappolate: giustizia, mafia, istituzioni, Italia… E sa che, comunque, non ne viene niente di buono per loro.
L’Italia è sempre stata terra di Signori in lotta. Di potenti armati l’uno contro l’altro. Fa parte della nostra storia. E gli italiani, anche quando non si chiamavano tali, assistevano a questi scontri di 'Signori' in lotta. Assistevano e li mandavano a quel paese, magari con il sorriso amaro sulle labbra. Molta letteratura popolare è così. E pure Dante non scherza. Questi 'Signori' hanno legittime ragioni, forse, da un lato e dall’altro.
Hanno una parte di verità, da una parte e dall’altra. E anche, bisogna dirlo, una certa fame di potere, da una parte e dall’altra. Ma il fatto è che allora, quando i pre-italiani vedevano i Signori in lotta tra loro, non c’era la democrazia. Che dovrebbe essere il governo del popolo.
E allora chiedo ancora, cercando di dar voce a quel che gli italiani non dicono, magari parandosi dietro al cinismo teatrante che li distingue: ma a chi serve questo scontro continuo? Non serve ai poveri cristi, ai tanti poveri cristi che si attendono dalla politica, dai 'Signori' un po’ di attenzione ai problemi. Ai poveri cristi questo scontro di sicuro non serve. E non serve ai giovani che di certo non sono invogliati a entrare in un’arena così stravolta e confusa. I poveri cristi e i giovani (nomi e sinonimi – credo – delle categorie più deboli del nostro Paese) non ne vogliono certo sapere di questa arena incomprensibile e confusa. Si voltano da un’altra parte, e questo non è un bene per la democrazia. Lo dimostrano le analisi dei dati di ascolto delle cosiddette piazze politiche in tv. Non si desidera, ovviamente, la politica come forbito colloquio tra educande, e tutti hanno ben chiaro che quando c’è troppo silenzio vuol dire che c’è qualcosa che somiglia al totalitarismo. Non interessa nemmeno troppo, qui, star a vedere chi ha iniziato lo scontro. Ogni parte in causa ha responsabilità a cui non si può sottrarre. Al momento di votare la gente, come prevede la democrazia, darà un segno e un giudizio. Ma nella vita sociale non conta solo il voto. Non conta solo il momento in cui la democrazia si esprime. Conta pure il momento in cui si rafforza o si indebolisce. E lo scontro permanente può forse essere la condizione normale in una situazione cinquecentesca caratterizzata da Signorie in lotta, ma non è la condizione ideale per la crescita di una democrazia matura. I poveri cristi e i giovani sono condannati a un Cinquecento politico? Senza nemmeno la fortuna o l’onore di un Cinquecento culturale nel nostro Paese? La politica intesa solo come realizzazione di un disegno di potere (per quanto lo si presuma giusto, efficace o addirittura morale) porta inevitabilmente allo scontro continuo. La politica è, invece, mediazione. Politica e vita istituzionale condotte senza senso della mediazione, fanno vittime i poveri cristi e i giovani, le parti più delicate del corpo sociale. A loro lo scontro fa male, più che a tutti gli altri. Una ferita sorda, a cui spesso non hanno nemmeno la forza di opporsi. Che non subiscono gridando, ma con il silenzio cupo della rassegnazione delusa. Un’ira sorda. Che si manifesta lontano dalla scena della politica. E allora quel grido mancato lo lancio io, con il mio niente di voce: fate le vostre lotte, ma fatele politicamente, cioè costruttivamente. Ogni scontro distruttivo, oggi non è solo contro la democrazia e le sue istituzioni. È contro i più deboli.
«Avvenire» del 12 dicembre 2009
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