Una platea che ascolta e dice
di Alessandro Zaccuri
Fino all’altro giorno ci si poteva illudere che quella di Dio fosse davvero una questione privata. Non dei credenti, ma di Dio in persona. Che esista o non esista, ripete la mentalità corrente, è soltanto affar suo. Se c’è, non disturbi. E se non disturba, in fondo, significa che non c’è. È la posizione che Robert Spaemann riassume nell’ormai celebre formula della «diceria immortale»: sarà anche un gossip infondato, questo che riguarda l’Onnipotente, ma resta il fatto che è antico quanto l’uomo, o addirittura quanto il mondo. Come se non bastasse, continua a interessare, a interrogare. A fare il tutto esaurito, persino. Anche oggi, specialmente oggi.
La vera sorpresa dell’evento internazionale che si chiude oggi a Roma, infatti, è proprio questa: si parla di 'Dio oggi', come recita il titolo dell’incontro, e in sala c’è il tutto esaurito. Mille e trecento persone stipate nell’Auditorium Conciliazione, capaci di disperdersi per una breve diaspora pomeridiana (alcuni appuntamenti si svolgono in contemporanea, e anche lì vale la regola del 'solo posti in piedi'), ma subito pronte a ricompattarsi per le tavole rotonde serali. Che si concludono quando l’ora di cena è passata da un pezzo, senza che però la platea abbia neppure accennato a svuotarsi. Non è la prova dell’esistenza di Dio, d’accordo, ma della persistenza di una passione sì. Se ne sono resi conto anche i relatori, tutti ugualmente sorpresi – e perfino ammirati – dall’assiduità di un pubblico nel quale numerosissimi sono i volti giovani. Bloc-notes che spuntano dagli zaini, fogli di appunti che passano di mano in mano, testi degli interventi sottolineati e chiosati in tempo reale. Sul palco si susseguono accademici illustri e critici di vaglia, testimoni eccellenti e intellettuali abituati alla controversia.
Ciascuno di loro, una volta o l’altra, ha sperimentato l’impaccio di parlare davanti ai resti di un gregge disperso e svagato, ma questa volta sta accadendo qualcosa di completamente diverso. In un certo senso, è come se non importasse che le comunicazioni intonino il linguaggio austero della speculazione teologico- filosofica o riscoprano le tracce di Dio nelle varie forme di espressione artistica. Importa la domanda radicale, anzi: l’alternativa inconciliabile che il sottotitolo dell’evento propone. 'Con Lui o senza di Lui cambia tutto', semplicemente. Con buona pace per i garanti della divina privacy. Si ascolta, si sfoglia un volume appena acquistato e intanto il taccuino si riempie di spunti che più tardi andranno ripresi.
Non succede tanto spesso, neppure negli altrimenti famosi festival culturali, che però rappresentano – in modo del tutto coerente – un 'altrimenti', una differente modulazione di un mercato dei contenuti all’interno del quale la tematica religiosa rappresenta un singolo ingrediente, sia pure prelibato. Il quadro dell’evento romano si avvicina piuttosto a quello disegnato dalla ricerca (di cui pure qui si è discusso) che rivela come, in un panorama editoriale pesantemente penalizzato dalla crisi economica, il libro religioso conquisti sempre nuovi lettori, producendo spesso silenziosi e inaspettati best seller. Basterebbe questo pubblico, probabilmente, per dimostrare che la questione Dio non è affatto 'privata', né tanto meno può essere risolta nei termini di una comoda etichettatura confessionale. Non sarebbe male se, tra una professione di laicità e l’altra, anche i nostri intellettuali trovassero il tempo di accorgersene.
La vera sorpresa dell’evento internazionale che si chiude oggi a Roma, infatti, è proprio questa: si parla di 'Dio oggi', come recita il titolo dell’incontro, e in sala c’è il tutto esaurito. Mille e trecento persone stipate nell’Auditorium Conciliazione, capaci di disperdersi per una breve diaspora pomeridiana (alcuni appuntamenti si svolgono in contemporanea, e anche lì vale la regola del 'solo posti in piedi'), ma subito pronte a ricompattarsi per le tavole rotonde serali. Che si concludono quando l’ora di cena è passata da un pezzo, senza che però la platea abbia neppure accennato a svuotarsi. Non è la prova dell’esistenza di Dio, d’accordo, ma della persistenza di una passione sì. Se ne sono resi conto anche i relatori, tutti ugualmente sorpresi – e perfino ammirati – dall’assiduità di un pubblico nel quale numerosissimi sono i volti giovani. Bloc-notes che spuntano dagli zaini, fogli di appunti che passano di mano in mano, testi degli interventi sottolineati e chiosati in tempo reale. Sul palco si susseguono accademici illustri e critici di vaglia, testimoni eccellenti e intellettuali abituati alla controversia.
Ciascuno di loro, una volta o l’altra, ha sperimentato l’impaccio di parlare davanti ai resti di un gregge disperso e svagato, ma questa volta sta accadendo qualcosa di completamente diverso. In un certo senso, è come se non importasse che le comunicazioni intonino il linguaggio austero della speculazione teologico- filosofica o riscoprano le tracce di Dio nelle varie forme di espressione artistica. Importa la domanda radicale, anzi: l’alternativa inconciliabile che il sottotitolo dell’evento propone. 'Con Lui o senza di Lui cambia tutto', semplicemente. Con buona pace per i garanti della divina privacy. Si ascolta, si sfoglia un volume appena acquistato e intanto il taccuino si riempie di spunti che più tardi andranno ripresi.
Non succede tanto spesso, neppure negli altrimenti famosi festival culturali, che però rappresentano – in modo del tutto coerente – un 'altrimenti', una differente modulazione di un mercato dei contenuti all’interno del quale la tematica religiosa rappresenta un singolo ingrediente, sia pure prelibato. Il quadro dell’evento romano si avvicina piuttosto a quello disegnato dalla ricerca (di cui pure qui si è discusso) che rivela come, in un panorama editoriale pesantemente penalizzato dalla crisi economica, il libro religioso conquisti sempre nuovi lettori, producendo spesso silenziosi e inaspettati best seller. Basterebbe questo pubblico, probabilmente, per dimostrare che la questione Dio non è affatto 'privata', né tanto meno può essere risolta nei termini di una comoda etichettatura confessionale. Non sarebbe male se, tra una professione di laicità e l’altra, anche i nostri intellettuali trovassero il tempo di accorgersene.
«Avvenire» del 12 dicembre 2009
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