12 dicembre 2009

Credenti e non nell’intreccio della storia

Galli della Loggia: «Occidente temprato dai cristiani»
di Andrea Galli
A Ernesto Galli della Loggia, docente di storia contempora­nea ed editorialista del Cor­riere della Sera, un conve­gno su 'Dio oggi' sembra un’occasione felice per u­scire, almeno per una volta, dai battibecchi laico-catto­lici su ingerenza vaticana, legge 40, Concordato, ecce­tera. E per fermarsi a riflet­tere sull’impatto che il Dio cristiano ha avuto sullo svi­luppo politico dell’Occi­dente.
Professore, da contempo­raneista cosa la colpisce ri­pensando alla rivoluzione cristiana?
«Mi colpisce l’impatto che hanno avuto le due polarità della fede cristiana: la fede nell’incarnazione di Dio e nel compimento escatolo­gico, nella fine dei tempi. Questo ha generato una dialettica potente: da una parte, appunto, l’attesa del Regno, dall’altra la necessità di incarnare certi valori e di trasformare la realtà, di cri­stianizzare il mondo. Una dialettica che ha cambiato tutto. Così come il concetto di persona ha segnato in profondità la genesi e la ma­turazione della politica in Occidente. Poi c’è stata la capacità dei cristiani delle origini di affrontare sfide di portata enorme».
Quali intende?
«Penso alla capacità di mi­surarsi con una costruzio­ne politico-statale come l’Impero romano, sostenu­to da un elemento fortissi­mo che era il diritto. Impe­ro romano da cui i cristiani sono stati prima persegui­tati e poi in qualche modo portati al suo interno – a partire, tra l’altro, dalle don­ne: non va dimenticato che le donne delle classi alte, le matrone romane sono sta­te le prime, nelle élite di al­lora, a essere conquistate dal messaggio cristiano. Sant’Elena, la madre di Co­stantino, ne è la raffigura- zione simbolica. Il cristia­nesimo si è insomma con­frontato con il politicamen­te altro. Anche l’islam, per esempio, ha creato nuove realtà statali, ma lo ha fatto con una grande invasione militare, che ha travolto u­na parte dell’Africa fino al­la Spagna: più che confron­tarsi con il politicamente al­tro, lo ha spazzato via. Poi va ricordata la conversione straordinaria dei barbari, delle popolazioni germani­che: un’opera unica ancor più perché avvenuta quan­do i cristiani erano privi di forza politico statale. Con il sacco di Roma di Alarico, a­gli inizi del V secolo, l’Impe­ro romano era pressoché fi­nito: non esisteva più l’ap­parato burocratico, milita­re, niente. La forza politico­militare era tutta dalla par­te dei barbari».
Pensa che il messaggio cri­stiano possa ripetere tali 'successi' anche nei con­fronti del mondo laico-li­berale: una nuova e altret­tanto efficace penetrazio­ne della fede nell’Europa scristianizzata?
«Beh, direi che è impossibi­le paragonare le due situa­zioni. L’assonanza tra allora e oggi è del tutto estrinseca. Anche perché se il cristia­nesimo dei primi secoli è riuscito a realizzare tanto per esempio nei confronti dei barbari – ripeto, senza forza politico-militare alla spalle – è perché accanto al vigore spirituale aveva una carta da giocare: il grandis­simo prestigio della tradi­zione romana, che la Chie­sa era l’unica a incarnare. Il cristianesimo parlava in la­tino, la gerarchia cristiana e la ritualità riprendevano molte cose dell’Impero ro­mano, assieme a elementi orientali, e questo faceva u­na grandissima impressio­ne sulle popolazioni barba­re. Oggi la situazione è come ribaltata: semmai il presti­gio culturale è tutto dall’al­tra parte».
«Avvenire» del 12 dicembre 2009

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