Galli della Loggia: «Occidente temprato dai cristiani»
di Andrea Galli
A Ernesto Galli della Loggia, docente di storia contemporanea ed editorialista del Corriere della Sera, un convegno su 'Dio oggi' sembra un’occasione felice per uscire, almeno per una volta, dai battibecchi laico-cattolici su ingerenza vaticana, legge 40, Concordato, eccetera. E per fermarsi a riflettere sull’impatto che il Dio cristiano ha avuto sullo sviluppo politico dell’Occidente.
Professore, da contemporaneista cosa la colpisce ripensando alla rivoluzione cristiana?
«Mi colpisce l’impatto che hanno avuto le due polarità della fede cristiana: la fede nell’incarnazione di Dio e nel compimento escatologico, nella fine dei tempi. Questo ha generato una dialettica potente: da una parte, appunto, l’attesa del Regno, dall’altra la necessità di incarnare certi valori e di trasformare la realtà, di cristianizzare il mondo. Una dialettica che ha cambiato tutto. Così come il concetto di persona ha segnato in profondità la genesi e la maturazione della politica in Occidente. Poi c’è stata la capacità dei cristiani delle origini di affrontare sfide di portata enorme».
Quali intende?
«Penso alla capacità di misurarsi con una costruzione politico-statale come l’Impero romano, sostenuto da un elemento fortissimo che era il diritto. Impero romano da cui i cristiani sono stati prima perseguitati e poi in qualche modo portati al suo interno – a partire, tra l’altro, dalle donne: non va dimenticato che le donne delle classi alte, le matrone romane sono state le prime, nelle élite di allora, a essere conquistate dal messaggio cristiano. Sant’Elena, la madre di Costantino, ne è la raffigura- zione simbolica. Il cristianesimo si è insomma confrontato con il politicamente altro. Anche l’islam, per esempio, ha creato nuove realtà statali, ma lo ha fatto con una grande invasione militare, che ha travolto una parte dell’Africa fino alla Spagna: più che confrontarsi con il politicamente altro, lo ha spazzato via. Poi va ricordata la conversione straordinaria dei barbari, delle popolazioni germaniche: un’opera unica ancor più perché avvenuta quando i cristiani erano privi di forza politico statale. Con il sacco di Roma di Alarico, agli inizi del V secolo, l’Impero romano era pressoché finito: non esisteva più l’apparato burocratico, militare, niente. La forza politicomilitare era tutta dalla parte dei barbari».
Pensa che il messaggio cristiano possa ripetere tali 'successi' anche nei confronti del mondo laico-liberale: una nuova e altrettanto efficace penetrazione della fede nell’Europa scristianizzata?
«Beh, direi che è impossibile paragonare le due situazioni. L’assonanza tra allora e oggi è del tutto estrinseca. Anche perché se il cristianesimo dei primi secoli è riuscito a realizzare tanto per esempio nei confronti dei barbari – ripeto, senza forza politico-militare alla spalle – è perché accanto al vigore spirituale aveva una carta da giocare: il grandissimo prestigio della tradizione romana, che la Chiesa era l’unica a incarnare. Il cristianesimo parlava in latino, la gerarchia cristiana e la ritualità riprendevano molte cose dell’Impero romano, assieme a elementi orientali, e questo faceva una grandissima impressione sulle popolazioni barbare. Oggi la situazione è come ribaltata: semmai il prestigio culturale è tutto dall’altra parte».
Professore, da contemporaneista cosa la colpisce ripensando alla rivoluzione cristiana?
«Mi colpisce l’impatto che hanno avuto le due polarità della fede cristiana: la fede nell’incarnazione di Dio e nel compimento escatologico, nella fine dei tempi. Questo ha generato una dialettica potente: da una parte, appunto, l’attesa del Regno, dall’altra la necessità di incarnare certi valori e di trasformare la realtà, di cristianizzare il mondo. Una dialettica che ha cambiato tutto. Così come il concetto di persona ha segnato in profondità la genesi e la maturazione della politica in Occidente. Poi c’è stata la capacità dei cristiani delle origini di affrontare sfide di portata enorme».
Quali intende?
«Penso alla capacità di misurarsi con una costruzione politico-statale come l’Impero romano, sostenuto da un elemento fortissimo che era il diritto. Impero romano da cui i cristiani sono stati prima perseguitati e poi in qualche modo portati al suo interno – a partire, tra l’altro, dalle donne: non va dimenticato che le donne delle classi alte, le matrone romane sono state le prime, nelle élite di allora, a essere conquistate dal messaggio cristiano. Sant’Elena, la madre di Costantino, ne è la raffigura- zione simbolica. Il cristianesimo si è insomma confrontato con il politicamente altro. Anche l’islam, per esempio, ha creato nuove realtà statali, ma lo ha fatto con una grande invasione militare, che ha travolto una parte dell’Africa fino alla Spagna: più che confrontarsi con il politicamente altro, lo ha spazzato via. Poi va ricordata la conversione straordinaria dei barbari, delle popolazioni germaniche: un’opera unica ancor più perché avvenuta quando i cristiani erano privi di forza politico statale. Con il sacco di Roma di Alarico, agli inizi del V secolo, l’Impero romano era pressoché finito: non esisteva più l’apparato burocratico, militare, niente. La forza politicomilitare era tutta dalla parte dei barbari».
Pensa che il messaggio cristiano possa ripetere tali 'successi' anche nei confronti del mondo laico-liberale: una nuova e altrettanto efficace penetrazione della fede nell’Europa scristianizzata?
«Beh, direi che è impossibile paragonare le due situazioni. L’assonanza tra allora e oggi è del tutto estrinseca. Anche perché se il cristianesimo dei primi secoli è riuscito a realizzare tanto per esempio nei confronti dei barbari – ripeto, senza forza politico-militare alla spalle – è perché accanto al vigore spirituale aveva una carta da giocare: il grandissimo prestigio della tradizione romana, che la Chiesa era l’unica a incarnare. Il cristianesimo parlava in latino, la gerarchia cristiana e la ritualità riprendevano molte cose dell’Impero romano, assieme a elementi orientali, e questo faceva una grandissima impressione sulle popolazioni barbare. Oggi la situazione è come ribaltata: semmai il prestigio culturale è tutto dall’altra parte».
«Avvenire» del 12 dicembre 2009
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