03 luglio 2010

Croce, segno che parla a tutti

Pubblichiamo ampi stralci del discorso pronunciato mercoledì dal giurista ebreo alla Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo
di Joseph Weiler
Weiler: no a un muro denudato del crocifisso per mandato statale
La Camera della seconda sezione della Corte ha anche formulato un principio di 'neutralità': Il dovere dello Stato di neutralità e imparzialità è incompatibile con ogni genere di potere per parte sua di valutare la le­gittimità di convinzioni re­ligiose o dei modi d’espri­mere quelle convinzioni (paragrafo 47 della senten­za emessa il 3 novembre contro l’esposizione della croce nelle scuole italia­ne, ndr).
Da una tale premessa la conclusione è inevitabile: la presenza di un crocifisso sul muro di una classe è stata ovviamente ritenuta e­spressione di una valuta­zione della legittimità di un convincimento religioso - il Cristianesimo - e quindi una violazione della Convenzione europea dei dirit­ti dell’uomo. Questa formulazione della 'neutralità' è ba­sata su due errori concettuali che sono fata­li per le conclusioni. Primo, nel sistema previsto dalla Convenzio­ne tutti gli Stati membri devono garantire a­gli individui la libertà di religione, ma anche la libertà dalla religione. Questo obbligo rap­presenta un assetto costituzionale comune dell’Europa. È, tuttavia, controbilanciato da grande libertà quando si tratta del ruolo del­la religione o dell’eredità religiosa nell’iden­tità collettiva della nazione e nella simbolo­gia dello Stato. Così, ci sono Stati membri in cui la laïcité è parte della definizione dello Stato, come la Francia, e nei quali, infatti, non ci può esse­re un simbolo religioso approvato e sponso­rizzato dallo Stato in uno spazio pubblico. La religione è un affare privato.
Ma nessuno Stato ha l’obbligo ai sensi della Convenzione di sposare la laïcité. Così, ap­pena dall’altra parte della Manica, c’è l’In­ghilterra nella quale c’è una Chiesa di Stato, il cui Capo di Stato è anche Capo della Chiesa ...
In Europa c’è una straordinaria varietà di re­lazioni tra Stato e Chiesa. Più della metà del­la popolazione dell’Europa vive in Stati che non potrebbero essere descritti come laïque.
Inevitabilmente nell’educazione pubblica, lo Stato e i suoi simboli hanno un loro posto. Molti di questi, comunque, hanno un’origi­ne religiosa o esprimono un’identità religio­sa attuale. In Europa, la croce è l’esempio più visibile, apparendo su innumerevoli bandiere, cime di montagne, edifici, ecc. Sa­rebbe sbagliato sostenere, come alcuni hanno fatto, che la croce è solo o meramente un simbolo nazionale. Ma è egualmente sbagliato soste­nere, come alcuni hanno fat­to, che ha solo un significato religioso. È tutte e due le co­se, data la storia che è parte integrante della identità na­zionale di molti Stati europei [Ci sono studiosi che sosten­gono che anche le 12 stelle del Consiglio d’Europa hanno proprio que­sta dualità!] Consideriamo una fotografia della regina d’Inghilterra appesa in una classe. Come la croce, quella immagine ha un significato du­plice. È l’immagine del Capo di Stato. Ed è anche l’immagine del Capo titolare della Chiesa d’Inghilterra. È quasi come il Papa, che è Capo di Stato e capo di una chiesa. Sa­rebbe accettabile che qualcuno richiedesse che la foto della regina non stia appesa nelle scuole per il fatto che non è compatibile con le sue convinzioni religiose e il suo diritto di educazione, perché cattolico, ebreo o mu­sulmano? O con la sua convinzione filosofi­ca, perché ateo? Potrebbero la Costituzione irlandese, o quella tedesca non stare appese in una classe o non venire lette in classe, da­to che nei loro preamboli troviamo un riferi­mento, nella prima, alla Santa Trinità e al Si­gnore Gesù Cristo, e, nella seconda, a Dio?
Questa situazione europea costituisce una e­norme lezione di pluralismo e tolleranza. Tut­ti i bambini in Europa, atei o credenti, cri­stiani, mussulmani ed ebrei, imparano co­me parte della loro eredità europea che l’Eu­ropa garantisce loro, da una parte, il diritto di praticare una religione liberamente - entro i limiti del rispetto dei diritti degli altri e del­l’ordine pubblico - e dall’altra il diritto di non credere affatto. Allo stesso tempo, come par­te di questo pluralismo e di questa tolleran­za, l’Europa accetta e rispetta una Francia e una Inghilterra, una Svezia e una Danimarca, una Grecia e una Italia, ognuna delle qua­li ha modi molto differenti di riconoscere sim­boli religiosi approvati pubblicamente da par­te dello Stato e presenti negli spazi pubblici. In molti di questi Stati non­laïque, ampi settori della po­polazione, forse persino la maggioranza, non sono più credenti. Ma il coinvolgi­mento continuo di simboli religiosi nello spazio pubbli­co, e da parte dello Stato, è accettato dalla popolazione laica ancora come parte del­la identità nazionale, e come atto di tolleranza verso i pro­pri connazionali. Potrebbe anche essere che, un giorno, la popolazione britannica, e­sercitando la propria sovra­nità costituzionale, voglia li­berarsi della Chiesa d’Inghil­terra, come fecero gli svedesi. Ma questo è compito loro, non di questa egregia Corte, e certamente la Convenzione non è mai stata intrepretata in modo da forzarli a farlo ...
La posizione adottata dalla Camera non è un’espressione del pluralismo proprio del si­stema della Convenzione, ma è una espres­sione dei valori dello Stato laïque. Estender­la all’intero sistema della Convenzione vor­rebbe dire, con grande rispetto, l’america­nizzazione dell’Europa ... L’Europa della Convenzione rappresenta un equilibrio unico tra libertà individuale di e dalla religione, e libertà collettiva di definire lo Stato e la Nazione usando simboli religio­si, o persino avendo una Chiesa ufficiale. Noi ci fidiamo delle nostre istituzioni democratiche costituzionali per definire gli spazi pub­blici e i sistemi educativi collettivi. Noi ripo­niamo fiducia nelle nostre corti, inclusa que­sta augusta Corte, per difendere le libertà in­dividuali. È un equilibrio che ha servito be­ne l’Europa negli ultimi 60 anni.
È anche un equilibrio che può agire come u­na guida per il resto del mondo, dato che di­mostra ai Paesi che credono che la demo­crazia implichi la perdita della propria iden­tità religiosa, che non è così. La decisione del­la Camera ha rovesciato quest’equilibrio u­nico e rischia di appiattire il nostro panora­ma costituzionale privandoci di questo su­periore assetto di diversità costituzionale. Questa egregia Corte dovrebbe recuperare questo equilibrio.
Passo ora al secondo errore concettuale del­la Camera – la confusione, pragmatica e con­cettuale tra laicismo, laïcité e neutralità ...
La laïcité non è una categoria vuota che si­gnifica assenza di fede. In tanti la considera­no un ampio punto di vista che sostiene, in­ter alia, la convinzione politica che la reli­gione ha un posto legittimo solo nella sfera privata, e che non può esserci alcun legame tra autorità pubblica e religione. Per esempio, solo scuole 'laiche' saranno finanziate dal­lo Stato. Le scuole religiose devono essere pri­vate e non godere di aiuto pubblico. È una posizione politica, rispettabile, ma certa­mente non 'neutrale'.
I non-laïque, benché rispettino in toto la li­bertà di e dalla religione, abbracciano anche alcune forme di religione pubblica. La laïcité vuole uno spazio pubblico denudato, un mu­ro in classe privo di ogni simbolo religioso. È giuridicamente disonesto adottare una posi­zione politica che divide la nostra società, e pretendere che in qualche modo sia neutra­le.
Il laicismo non favorisce un muro privo di tutti i simboli di uno Stato. L’anatema è solo per i sim­boli religiosi.
Ancora più allarmante sa­rebbe una situazione in cui i crocifissi, che stavano sem­pre là, improvvisamente ve­nissero rimossi.
Non fate quest’errore. Un muro denudato per man­dato statale, come in Fran­cia, può far pensare agli a­lunni che lo Stato sta pren­dendo un atteggiamento anti religioso. Noi abbiamo fiducia nei programmi sco­lastici della Repubblica fran­cese, che insegnino ai bam­bini la tolleranza e il pluralismo, ed allonta­nino tale pensiero. C’è sempre un’interazio­ne tra quello che c’è sul muro, e come esso è discusso e insegnato in classe. Allo stesso mo­do, un crocefisso sul muro potrebbe essere percepito come coercitivo. Ancora, dipende dal programma svolto in classe di contestualizzare e insegnare al bambino nella clas­se Italiana la tolleranza e il pluralismo.
È chiaro che date le diversità dell’Europa su questo punto non ci può essere una soluzio­ne che vada bene per ogni Stato mebro, per ogni classe e per ogni situazione. Si deve te­nere conto della realtà politica, sociale, loca­le, della sua demografia, della sua storia e del­la sensibilità e della suscettibilità dei genito­ri. Ci possono essere delle circostanze partico­lari in cui la soluzione adottata dallo Stato potrebbe essere considerata coercitiva e o­stile, ma l’onere della prova spetta all’indivi­duo, e il livello della prova deve essere estre­mamente alto, prima che questa Corte deci­da di intervenire in nome della Convenzione nelle scelte educative fatte da uno Stato. U­na regola per tutti, come ha deciso la secon­da Camera, priva di un contesto storico, po­litico, demografico e culturale non è sola­mente sconsigliabile, ma mina il pluralismo, la diversità e la tolleranza stessi che la Con­venzione intende salvaguardare e che è la ca­ratteristica dell’Europa.

«Molti dei simboli statali hanno un’origine religiosa o esprimono un’identità religiosa. La croce è visibile su innumerevoli bandiere» «La laicità non è una categoria vuota, che significa assenza di fede. È disonesto adottare una posizione politica che divide la nostra società e pretendere che sia neutrale»

«Avvenire» del 3 luglio 2010

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