Dopo il documentario di Cortellessa sull’industria culturale vittima del mercato si apre la discussione nei blog. E diventa un regolamento di conti molto simile al dibattito interno della sinistra italiana ...
di Alessandro Gnocchi
L’antefatto è il documentario Senza scrittori del critico Andrea Cortellessa presentato lunedì sera a Roma. Tesi: l’editoria si è trasformata in industria di massa sforna-bestseller, il «libro è divenuto il feticcio della nostra società del narcisismo», i lettori sono «malcapitati spinti al consumo più immediato e irriflesso», il «turbocapitalismo» ha assassinato la critica e la società letteraria. Vie di uscita? La «letterarietà», concetto che rimane nel vago, forse ha a che vedere con lo sperimentalismo. E la ricerca di «falle» nel sistema da colmare con intelligenza.
Il fatto invece è il dibattito seguente, ospitato sul blog «Lipperatura» di Loredana Lipperini, giornalista di Repubblica. Ecco quindi la pioggia di messaggi di Cortellessa stesso, Scarpa, Biondillo, Policastro e un paio di Wu Ming (collettivo maoista di autori senza volto accasato presso Einaudi ma anche presso editori «minori», trasparente sulle vendite e disposto a concedere le opere in copyleft; qui intervengono il numero 1 e il numero 4).
Il rapporto dei nostri scrittori, della nostra cultura in generale, verso il libero mercato è difficile, diciamo pure di disprezzo. Per questo, una discussione senza paraocchi avrebbe potuto essere foriera di riflessioni interessanti. Invece si è aperta una lotta grottesca, tutt’ora in corso, a chi è meno compromesso col sistema nonostante tutti i principali intervenuti stiano con entrambi i piedi dentro all’industria da cui vorrebbero prendere le distanze, chi in un modo chi nell’altro.
Il mercato è il male? Basterebbe guardarlo meglio per scoprire che non è così crudele. Quando l’industria editoriale è diventata di massa? E quali sono state le conseguenze? Forse investigando si potrebbe scoprire che la corsa al bestseller contribuisce ad allargare il numero dei lettori e anche degli scrittori pubblicati come si deve. Nel mercato c’è spazio per tutti e le scelte ideologiche troppo nette non sono praticabili. In passato non era così. Perfino Dottor Zivago, prima di diventare un bestseller, fece fatica a trovare la strada per la libreria. E che dire della versione «purgata» di Salamov, o del Fiore del verso russo con allegata introduzione demolitoria? Come mai fino a pochi anni fa Rothbard, Mises, Hayek e per citare un italiano Bruno Leoni erano roba da carbonari mentre oggi ci sono editori (a partire da Liberilibri e Rubbettino) che hanno un catalogo intero fondato su questi autori? Perché per pubblicare l’opera omnia di Nietzsche fu necessario fondare l’Adelphi? Senza tornare indietro, prendiamo il caso del decennio, Gomorra. In un’altra epoca, meno avvezza al marketing, il romanzo-reportage di Saviano sarebbe finito in due milioni di case? E non è un bene che ciò sia avvenuto vista la sua oggettiva importanza?
La discussione in rete parte più o meno da lì: «A cosa serve contrapporre alla “società letteraria” - prigioniera degli automatismi commerciali e mediatici - una fantomatica “letterarietà”? A rimpiangere i bei tempi pre-industria editoriale, quando a leggere erano in pochi ma buoni? Quando c’era qualcuno, una casta di intellettuali più o meno organici, che stabiliva appunto lo statuto di letterarietà?» (Wu Ming 4). Questione ben posta. Che cede quasi subito il passo ai colpi sotto la cintola, fino allo sbracamento totale. Altro che «letterarietà».
Pronti, via: Scurati e Scarpa, protagonisti dello Strega 2009 con annessa polemica, «ripudiano la società letteraria dal predellino» e quindi «sono comici» (Valter Binaghi). Risponde Scarpa, che rivendica di essersi «messo in gioco», e spara ad alzo zero sulle redazioni culturali «reazionarie» (Repubblica in primis) che delegittimano gli scrittori. Conclusione: «D’altro canto, non si tratta che di un conflitto di poteri; basta esserne consapevoli e si sta sereni. È chiaro che i giornalisti e i critici (e gli intellettuali che hanno accesso ai mezzi di comunicazione, scrivendo sui giornali o girando documentari) hanno tutto l’interesse a mantenere saldamente in mano la gestione dell’opinione pubblica e la diffusione del discorso pubblico, perciò non possono che lavorare a irridere, ridicolizzare, delegittimare». Stessa linea, pare di capire, per Gianni Biondillo: «In quanto a me io son stufo di fare l’outsider. Fosse per me vorrei essere ampliamente insider e guadagnare una pacca di soldi, che c’ho l’affitto da pagare». Irrompe Cortellessa che gli risponde così: «Infatti outsider proprio non sei. Attento a non iscriverti d’ufficio - invece - nell’ominosa categoria dei chiagneffotti...». Poi il critico se la prende con Wu Ming 1: «Io sono inchiodato al fatto che viviamo in una situazione di mercato iperliberista e turbocapitalista, che abbatte ogni ostacolo sul suo cammino, senza uno straccio di pensiero critico a contrastarlo. Tu invece, a differenza di me, sei libero di volare senza chiodi, alato e liberista, nel 2010 come nel 2011 e in tutti i futuri radiosi e le magnifiche sorti e progressive del Mercato Ottimo Sovrano». Tradotto: sei un venduto che accampa scuse, come il concedere in copyleft le proprie opere, per rifarsi la verginità. Wu Ming 1 afferma di provare «ribrezzo» per Cortellessa. E qui scatta la controreplica col massimo insulto possibile: «Non ho bisogno di metafore alate per dipingerti come un fascista, mi basta sentirti parlare». Olè. Il maoista numero uno si scatena: «Povera vittima. Ti senti già sulla soglia di Bergen Belsen. Un martire del libero pensiero. È proprio questa candidatura abusiva al ruolo di vittima a suscitare ribrezzo. (...) Fai il ganassa, Leonida alle Termopili della critica, gridi che ti vogliono chiudere il becco etc. Ok, tieniti pure questo ruolo, quello del macilento deportato. Orribile: ti si vedono tutte le costole!».
Sembra il dibattito interno alla sinistra italiana degli ultimi quindici anni: incapace di spalancare le finestre e prendere una boccata d’aria. Ecco perché «la società letteraria» è in declino: scimmiotta la cattiva politica.
Il fatto invece è il dibattito seguente, ospitato sul blog «Lipperatura» di Loredana Lipperini, giornalista di Repubblica. Ecco quindi la pioggia di messaggi di Cortellessa stesso, Scarpa, Biondillo, Policastro e un paio di Wu Ming (collettivo maoista di autori senza volto accasato presso Einaudi ma anche presso editori «minori», trasparente sulle vendite e disposto a concedere le opere in copyleft; qui intervengono il numero 1 e il numero 4).
Il rapporto dei nostri scrittori, della nostra cultura in generale, verso il libero mercato è difficile, diciamo pure di disprezzo. Per questo, una discussione senza paraocchi avrebbe potuto essere foriera di riflessioni interessanti. Invece si è aperta una lotta grottesca, tutt’ora in corso, a chi è meno compromesso col sistema nonostante tutti i principali intervenuti stiano con entrambi i piedi dentro all’industria da cui vorrebbero prendere le distanze, chi in un modo chi nell’altro.
Il mercato è il male? Basterebbe guardarlo meglio per scoprire che non è così crudele. Quando l’industria editoriale è diventata di massa? E quali sono state le conseguenze? Forse investigando si potrebbe scoprire che la corsa al bestseller contribuisce ad allargare il numero dei lettori e anche degli scrittori pubblicati come si deve. Nel mercato c’è spazio per tutti e le scelte ideologiche troppo nette non sono praticabili. In passato non era così. Perfino Dottor Zivago, prima di diventare un bestseller, fece fatica a trovare la strada per la libreria. E che dire della versione «purgata» di Salamov, o del Fiore del verso russo con allegata introduzione demolitoria? Come mai fino a pochi anni fa Rothbard, Mises, Hayek e per citare un italiano Bruno Leoni erano roba da carbonari mentre oggi ci sono editori (a partire da Liberilibri e Rubbettino) che hanno un catalogo intero fondato su questi autori? Perché per pubblicare l’opera omnia di Nietzsche fu necessario fondare l’Adelphi? Senza tornare indietro, prendiamo il caso del decennio, Gomorra. In un’altra epoca, meno avvezza al marketing, il romanzo-reportage di Saviano sarebbe finito in due milioni di case? E non è un bene che ciò sia avvenuto vista la sua oggettiva importanza?
La discussione in rete parte più o meno da lì: «A cosa serve contrapporre alla “società letteraria” - prigioniera degli automatismi commerciali e mediatici - una fantomatica “letterarietà”? A rimpiangere i bei tempi pre-industria editoriale, quando a leggere erano in pochi ma buoni? Quando c’era qualcuno, una casta di intellettuali più o meno organici, che stabiliva appunto lo statuto di letterarietà?» (Wu Ming 4). Questione ben posta. Che cede quasi subito il passo ai colpi sotto la cintola, fino allo sbracamento totale. Altro che «letterarietà».
Pronti, via: Scurati e Scarpa, protagonisti dello Strega 2009 con annessa polemica, «ripudiano la società letteraria dal predellino» e quindi «sono comici» (Valter Binaghi). Risponde Scarpa, che rivendica di essersi «messo in gioco», e spara ad alzo zero sulle redazioni culturali «reazionarie» (Repubblica in primis) che delegittimano gli scrittori. Conclusione: «D’altro canto, non si tratta che di un conflitto di poteri; basta esserne consapevoli e si sta sereni. È chiaro che i giornalisti e i critici (e gli intellettuali che hanno accesso ai mezzi di comunicazione, scrivendo sui giornali o girando documentari) hanno tutto l’interesse a mantenere saldamente in mano la gestione dell’opinione pubblica e la diffusione del discorso pubblico, perciò non possono che lavorare a irridere, ridicolizzare, delegittimare». Stessa linea, pare di capire, per Gianni Biondillo: «In quanto a me io son stufo di fare l’outsider. Fosse per me vorrei essere ampliamente insider e guadagnare una pacca di soldi, che c’ho l’affitto da pagare». Irrompe Cortellessa che gli risponde così: «Infatti outsider proprio non sei. Attento a non iscriverti d’ufficio - invece - nell’ominosa categoria dei chiagneffotti...». Poi il critico se la prende con Wu Ming 1: «Io sono inchiodato al fatto che viviamo in una situazione di mercato iperliberista e turbocapitalista, che abbatte ogni ostacolo sul suo cammino, senza uno straccio di pensiero critico a contrastarlo. Tu invece, a differenza di me, sei libero di volare senza chiodi, alato e liberista, nel 2010 come nel 2011 e in tutti i futuri radiosi e le magnifiche sorti e progressive del Mercato Ottimo Sovrano». Tradotto: sei un venduto che accampa scuse, come il concedere in copyleft le proprie opere, per rifarsi la verginità. Wu Ming 1 afferma di provare «ribrezzo» per Cortellessa. E qui scatta la controreplica col massimo insulto possibile: «Non ho bisogno di metafore alate per dipingerti come un fascista, mi basta sentirti parlare». Olè. Il maoista numero uno si scatena: «Povera vittima. Ti senti già sulla soglia di Bergen Belsen. Un martire del libero pensiero. È proprio questa candidatura abusiva al ruolo di vittima a suscitare ribrezzo. (...) Fai il ganassa, Leonida alle Termopili della critica, gridi che ti vogliono chiudere il becco etc. Ok, tieniti pure questo ruolo, quello del macilento deportato. Orribile: ti si vedono tutte le costole!».
Sembra il dibattito interno alla sinistra italiana degli ultimi quindici anni: incapace di spalancare le finestre e prendere una boccata d’aria. Ecco perché «la società letteraria» è in declino: scimmiotta la cattiva politica.
«Il Giornale» del 1 luglio 2010
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