11 dicembre 2009

Ma sull’esistenza di Dio la neutralità è impossibile

L’agnosticismo è solo pura teoria. Nella pratica siamo sempre come ci descriveva Pascal: costretti a scegliere, sì o no
di Camillo Ruini
Inizio da una considerazione sull’atteggiamento con il quale accostare la questione di Dio: anzitutto non con la pretesa di un approccio neutrale, puramente 'oggettivo', 'scientifico'. La questione di Dio, infatti, coinvolge inevitabilmente il soggetto che la pone, dato che essa ha a che fare con il senso e la direzione della nostra vita. Perciò anche la risposta all’interrogativo «fa differenza che Dio esista o non esista?» cambia profondamente a seconda che si tratti dei credenti o dei non credenti, sia atei sia agnostici. I credenti autentici rispondono che la differenza non solo esiste ma è grande e radicale – anzi, è la prima e la più grande –, riguardo sia al modo di concepire la realtà sia all’orientamento da dare alla nostra vita: per loro infatti Dio è l’origine, il senso e il fine dell’uomo e dell’universo. I non credenti invece possono differenziarsi nelle loro risposte, a seconda che ritengano la fede in Dio negativa, positiva o irrilevante per la vita dell’uomo e della società, ma propriamente parlando si riferiscono soltanto alla nostra fede in Dio, non alla realtà stessa di Dio, dato che secondo loro Dio non esiste, o comunque non possiamo sapere niente di lui, nemmeno se egli esista. Non vi è dunque spazio per la neutralità: l’orientamento della vita si riverbera per tutti, credenti, atei, agnostici, sulla risposta e ancor prima sul peso che diamo alla domanda riguardo a Dio. Non esiste, a questo riguardo, nemmeno uno spazio di neutralità che possa consistere nel rifugiarsi in una posizione agnostica: l’agnosticismo è infatti teoreticamente argomentabile ma assai meno concretamente vivibile. Nella pratica siamo costretti a scegliere tra due alternative, già individuate da Pascal: o vivere come se Dio non esistesse, oppure vivere come se Dio esistesse e fosse la realtà decisiva della nostra esistenza. Se agiamo secondo la prima alternativa adottiamo di fatto una posizione atea e non soltanto agnostica; se ci decidiamo invece per la seconda alternativa adottiamo una posizione credente: la questione di Dio è dunque ineludibile [...].
Gli approcci umani a Dio sono molteplici.
Anzitutto Dio stesso può prendere, e di fatto ha preso, l’iniziativa di rivolgersi a noi, parlandoci 'dall’esterno' e 'dal di dentro' di noi, nella rivelazione ebraico-cristiana e attraverso la presenza del suo Spirito in noi. In virtù di questa presenza vi sono, come dice il Concilio Vaticano II, vie molteplici, che solo Dio conosce, attraverso le quali egli giunge al cuore perfino di chi non lo riconosce esplicitamente. Questa conoscenza di Dio che viene 'dall’alto', attraverso la rivelazione ebraico-cristiana e l’azione dello Spirito, prima che 'dal basso', cioè dal desiderio di Dio iscritto in noi, dallo stupore davanti al creato e dalla nostra ricerca razionale di Dio, si realizza nel rapporto misterioso delle due libertà, di Dio e nostra. Anche partendo 'dal basso' e riflettendo con la nostra ragione troviamo nella realtà della storia molti spunti per risalire a Dio. Alcuni di essi hanno a che fare con la storia e la fenomenologia delle religioni, cioè con il dato imponente della dimensione religiosa appartenente all’uomo come essere 'simbolico' e perciò presente e diffusa in tutta la vicenda dell’umanità, unitamente al riferimento, più o meno chiaro ed esplicito, a una divinità suprema, seppure spesso 'oziosa'. Non meno significativo, e di indole diversa per un credente in Cristo, è il riferimento specifico al fenomeno religioso ebraico e cristiano, in quanto realtà storicamente conoscibile. Già la nascita del monoteismo ebraico appare un segno forte della presenza di Dio, sebbene la fase di transizione che attraversano attualmente gli studi dell’Antico Testamento renda questo segno non facile, oggi, da inquadrare ed apprezzare criticamente. Più chiaro è il segno costituito dalla vita e in particolare dalla risurrezione di Gesù Cristo: questi eventi pongono quasi inesorabilmente alla ragione umana la questione di Dio e del suo intervento nella storia. Se infatti Cristo è soltanto un uomo, e soprattutto non è risorto, siamo costretti, alla fine, a ridurre a mito la sua vicenda storica o a ricorrere ad altre ipotesi storicamente assai improbabili. Anche nella successiva storia del cristianesimo non mancano i dati che rimandano, almeno in qualche modo, all’interrogativo su Dio: così non soltanto i miracoli e gli altri segni di un intervento speciale di Dio, ma anche le esperienze di Dio che hanno avuto i grandi mistici e in genere molti santi. Il progresso che si è avuto negli ultimi secoli nel pensiero filosofico, dove si è affermato un approccio non solo essenziale, ma esistenziale e storico, è esso stesso un invito a prendere in considerazione, riguardo alla questione dell’esistenza di Dio, anche ciò che è avvenuto e avviene nell’esperienza storica dell’umanità. Rimane tuttavia lo spazio, anzi la necessità di una riflessione razionale su Dio, e anzitutto sulla sua esistenza, che faccia riferimento sia alla struttura generale e alla consistenza della realtà di cui abbiamo esperienza – e quindi al valore della nostra conoscenza –, sia al soggetto umano in quanto tale, nella sua specificità.
P er un cattolico quella della conoscibilità di Dio da parte della ragione umana non è una questione in cui ogni opinione sia ugualmente accettabile, come emerge da una serie di prese di posizione del magistero della Chiesa, dal Concilio Vaticano I fino al Catechismo della Chiesa cattolica. Alla base vi è l’affermazione della Lettera ai Romani: «L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da Dio compiute». In sintesi, per il magistero è possibile una conoscenza di Dio a partire dalle creature (il Catechismo della Chiesa cattolica precisa: a partire dall’universo e a partire dall’uomo); in essa però l’uomo incontra difficoltà tali per cui vi è la necessità morale che Dio stesso si riveli per poter essere conosciuto da tutti, con ferma certezza e senza errori. Secondo l’interpretazione teologica del magistero che oggi è largamente prevalente, la conoscenza puramente naturale di Dio è 'possibile', ma non è detto che sia anche attuale, cioè che si sia mai verificata in alcun soggetto umano: quest’ultima questione non è decidibile da un punto di vista teologico, anzi appare poco sensata, dato che è ben difficile escludere un intervento di Dio che illumini dal di dentro l’intelligenza, muova la volontà, apra il cuore a credere in lui. Ha tuttavia grande importanza la questione della validità che ha o non ha di per sé (ossia a prescindere dagli ostacoli che di fatto le impediscono di svilupparsi) la via razionale a Dio: con questa validità si connette infatti la proponibilità a tutti – e non solo ai credenti dell’una o dell’altra religione – dell’esistenza di Dio, e quindi la possibilità di un discorso pubblico riguardo a Dio, e la stessa apertura universale della missione cristiana. Per questi motivi la Chiesa si pronuncia in una materia che potrebbe apparire puramente 'filosofica'.
«Avvenire» dell'11 dicembre 2009

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