A Milano nel 2008 le biblioteche hanno «diserbato» ottantamila volumi del mezzo milione che custodiscono: «Pulizia necessaria», spiegano concordi gli operatori. Ma a Napoli non hanno ancora quantificato i tagli, e a Palermo non si butta niente perché non entra niente...
di Antonio Giuliano
In francese si chiama brutalmente désherbage, da désherber, cioè letteralmente diserbare, togliere le erbacce. È quel procedimento per cui le biblioteche, luoghi per eccellenza della raccolta, sradicano una gramigna molto particolare: i libri. Tutti i volumi ritenuti non all’altezza vengono 'scartati', espulsi dal proprio 'podere' culturale. E in Francia non vanno certo per il sottile: nel 2008 solo nelle 58 biblioteche municipali parigine sono stati mandati al macero 300 mila libri. Appena 23 mila i testi che invece hanno evitato l’esecuzione capitale finendo in donazioni. A Parigi in biblioteca un cd che per tre mesi non è richiesto in prestito viene distrutto. Altro che Indice dei libri proibiti. Certo, parliamo probabilmente di volumi non paragonabili a quelli andati in fumo nella leggendaria biblioteca di Alessandria d’Egitto. Ma anche la situazione del nostro Paese fa riflettere. A Milano nel 2008 le 23 biblioteche comunali, che detengono un patrimonio di 480 mila volumi, hanno scartato complessivamente circa 79 mila libri. I volumi in 'uscita' superano quelli in 'entrata': sono stati infatti acquistati 36 mila testi cartacei e 23 mila multimediali (cd, dvd, ecc.). «Ma è un’operazione necessaria – spiega Federico Pasotti del sistema bibliotecario comunale milanese –. Ci sono libri vecchi e non aggiornati, o rovinati. Molti poi vengono donati a parrocchie o carceri. Piuttosto preoccupano gli iscritti alle biblioteche sono appena il 6% su circa 1 milione e 200 mila residenti milanesi. Stiamo facendo di tutto per promuovere la lettura, sia nelle scuole che nei rioni senza biblioteche grazie al bibliobus, che dal 1984 trasporta circa mille volumi al giorno». A Torino le 17 biblioteche civiche custodiscono più di 1 milione 400 mila documenti con 920 mila prestiti annui (più di un prestito a residente). Nel 2008 gli acquisti sono stati circa 79 mila. Da circa sei-sette anni i volumi 'scartati' sono stati 'congelati' in un magazzino: sono oltre 60 mila. «Una parte di essi – precisa Cecilia Cognigni del sistema bibliotecario torinese – andrà sicuramente al macero, perché sono molto deteriorati. Però gli altri abbiamo intenzione di metterli a disposizione del pubblico, o rivenderli come avviene nel mondo anglosassone». A Napoli invece non vengono ancora quantificati i libri eliminati. L’assessore del comune partenopeo Diego Guida assicura: «Stiamo procedendo a un rilancio e a un nuovo regolamento». Se poi a Palermo 'non si butta niente' è anche perché manca il ricambio: «L’anno scorso – chiarisce Filippo Guttuso direttore del settore bibliotecario palermitano – per le nostre sei biblioteche comunali (che custodiscono 500 mila libri) abbiamo acquistato 18 volumi in tutto. Del resto avevamo a disposizione solo 378 euro di fondi per l’acquisto. Anche se abbiamo avuto circa tremila volumi donati». Sui libri 'potati' Mauro Guerrini, presidente nazionale dell’Associazione italiana biblioteche (Aib), minimizza: «È un normale processo archivistico, il problema se mai è quello di mettere a disposizione dei libri aggiornati e in buono stato. In Italia più che in altri Paesi si tende a conservare e il taglio non riguarda certo libri importanti. Lo scarto è un’attività naturale, fisiologica. Come il mangiare per gli essere viventi: quello che non serve viene espulso». Per il presidente dell’Aib la vera questione è un’altra: «Oggi la professione del bibliotecario è poco considerata. Manca un adeguato riconoscimento per intellettuali che operano in un settore così delicato. I concorsi per bibliotecario non vengono più banditi da anni. Il personale qualificato fa fatica a inserirsi: anche dopo master e dottorati di ricerca i professionisti continuano a svolgere lavori precari». Lo sviluppo delle nuove tecnologie potrebbe addirittura prefigurare scenari in cui i volumi cartacei siano rimpiazzati dai meno ingombranti lettori digitali. Ma secondo Giuliano Vigini , direttore dell’Editrice Bibliografica ed esperto di editoria, «digitalizzazione e nuovi formati multimediali non elimineranno il problema di una cernita del patrimonio. Bisogna sempre riorganizzare lo spazio negli scaffali per eliminare i costi del mantenimento e favorire nuove acquisizioni: non dimentichiamo che oltre a comprare, le biblioteche ricevono molte donazioni dalle case editrici e dai privati. In genere – spiega Vigini – quando si fa lo svecchiamento delle raccolte si tiene conto del numero di anni trascorso dalla pubblicazione dell’opera, che varia a secondo della materia del libro, ma che di solito non supera i dieci. Viene poi considerato il tempo che passa dall’ultima consultazione o prestito. E infine viene valutata la concomitanza di diversi fattori negativi tradotti con l’acronimo 'Smusi': quando cioè il testo è ritenuto Scorretto nelle informazioni, Mediocre, Usato, Superato o Inappropriato (non rientra nel contesto della biblioteca)».
Una griglia che inevitabilmente rischia di essere soggettiva: «Dipende molto dalla sensibilità e dalle capacità del bibliotecario – ammette Vigini –. Non si possono tagliare delle opere solo perché non vengono consultate. Anche perché pure nelle 12 mila biblioteche italiane solo il 20% del patrimonio viene richiesto dall’80% degli utenti. Un libro magari non viene consultato perché è per addetto ai lavori, ma non è che vale meno. Così come può essere pericoloso mandare al macero un libro solo perché è vecchio: se avessimo per esempio eliminato i libri scolastici dell’800 non saremmo in grado di ripercorrere la storia dell’educazione. Eppure oggi nelle nostre biblioteche ci sono pochi libri scolastici e i libri per ragazzi sono scomparsi. I bravi bibliotecari conoscono bene la storia e il valore del proprio patrimonio. Soprattutto le biblioteche locali sono in possesso di testimonianze uniche sul proprio territorio. Prima di sfoltire è fondamentale avere sempre avere gli occhi ben aperti».
Una griglia che inevitabilmente rischia di essere soggettiva: «Dipende molto dalla sensibilità e dalle capacità del bibliotecario – ammette Vigini –. Non si possono tagliare delle opere solo perché non vengono consultate. Anche perché pure nelle 12 mila biblioteche italiane solo il 20% del patrimonio viene richiesto dall’80% degli utenti. Un libro magari non viene consultato perché è per addetto ai lavori, ma non è che vale meno. Così come può essere pericoloso mandare al macero un libro solo perché è vecchio: se avessimo per esempio eliminato i libri scolastici dell’800 non saremmo in grado di ripercorrere la storia dell’educazione. Eppure oggi nelle nostre biblioteche ci sono pochi libri scolastici e i libri per ragazzi sono scomparsi. I bravi bibliotecari conoscono bene la storia e il valore del proprio patrimonio. Soprattutto le biblioteche locali sono in possesso di testimonianze uniche sul proprio territorio. Prima di sfoltire è fondamentale avere sempre avere gli occhi ben aperti».
«Avvenire» del 13 dicembre 2009
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