Dietro le divisioni politiche fra i leader
di Piero Ostellino
Dice il Papa: «Ogni giorno, attraverso i giornali, la televisione, la radio, il male viene raccontato, ripetuto, amplificato ». Ma se è la notizia che crea l’evento (non viceversa); se le percezioni prevalgono sui fatti; se gli stereotipi semplicistici e sentimentalmente colorati su avversari e alleati offuscano la vera natura dei rapporti, il mondo si polarizza e la politica si militarizza. Questa è l’Italia della «guerra civile » fra centrodestra e centrosinistra, del «conflitto» fra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi nella maggioranza, della «distanza» fra Pier Luigi Bersani e Antonio Di Pietro nell’opposizione.
Per sostenere che Fini ha «una certa idea della destra» opposta a quella di Berlusconi, sarebbe necessario accertare se quello che dice sia un pensiero organico o non siano invece giudizi contingenti, per quanto fuori linea, su singoli eventi. Per sostenere che Berlusconi ha «una certa idea della destra», diversa da Fini, sarebbe necessario accertare se ne abbia (almeno) una. Forse, una «certa idea della destra» non l’hanno né l’uno né l’altro. Un discorso analogo si può fare per Bersani e Di Pietro e sull’idea che entrambi hanno sul ruolo dell’opposizione. E altrettanto si può dire della «guerra civile» fra centrodestra e centrosinistra, privi entrambi di «una certa idea dell’Italia», ma ugualmente bisognosi di legittimazione etico-politica, non fosse che per contrapposizione.
Che Fini sopporti male come Berlusconi governa il Pdl è un fatto. Lo vorrebbe una «monarchia costituzionale » mentre ha la sensazione, e non la nasconde, che sia una «monarchia assoluta ». Come lui la pensano altri nel Pdl. Ma non lo dicono o lo dicono flebilmente. Berlusconi, del resto, sembra avere una singolare difficoltà ad ascoltare persino chi gli è vicino, figuriamoci gli avversari; dopo pochi istanti, attacca lui e all’interlocutore non resta spesso che «prendere o lasciare». Nel mondo delle aziende, da cui viene il premier, può essere utile o addirittura necessario che «il titolare» abbia — con l’ultima parola — anche la prima. In politica, non sempre lo è. Che Bersani sopporti male come Di Pietro interpreta il ruolo dell’opposizione, è un altro fatto. Egli — che ha militato nel Pci, che aveva una ben definita, ancorché discutibile, cultura politica, laddove Di Pietro non ne ha alcuna — vorrebbe che l’opposizione facesse politica, mentre il suo compagno di strada fa solo cagnara.
Ma in tutti questi esempi, ci troviamo, a ben vedere, sul terreno della psicanalisi. Se, invece, ci si addentra su quello della politica si scopre che le differenze sono minori. La percezione che, dentro e fuori il Pdl, si accredita della fronda di Fini offusca il fatto che egli appoggia ciò che più conta per Berlusconi: le iniziative parlamentari in materia di giustizia per metterlo al riparo dei suoi processi. La percezione che, dentro e fuori il Pd, si ha di Bersani, rispetto a Di Pietro, offusca il fatto che Pd e Idv raccolgono ancora consensi sull’onda di Tangentopoli e che il Pd non manifesta alcuna intenzione di rivedere il proprio pensiero su Mani pulite. Il severo giudizio del Papa sui media insomma è giusto. Per conoscere il mondo, occorre chiedersi «come è», non come «ci immaginiamo che sia». E se incominciassimo proprio noi giornalisti?
Per sostenere che Fini ha «una certa idea della destra» opposta a quella di Berlusconi, sarebbe necessario accertare se quello che dice sia un pensiero organico o non siano invece giudizi contingenti, per quanto fuori linea, su singoli eventi. Per sostenere che Berlusconi ha «una certa idea della destra», diversa da Fini, sarebbe necessario accertare se ne abbia (almeno) una. Forse, una «certa idea della destra» non l’hanno né l’uno né l’altro. Un discorso analogo si può fare per Bersani e Di Pietro e sull’idea che entrambi hanno sul ruolo dell’opposizione. E altrettanto si può dire della «guerra civile» fra centrodestra e centrosinistra, privi entrambi di «una certa idea dell’Italia», ma ugualmente bisognosi di legittimazione etico-politica, non fosse che per contrapposizione.
Che Fini sopporti male come Berlusconi governa il Pdl è un fatto. Lo vorrebbe una «monarchia costituzionale » mentre ha la sensazione, e non la nasconde, che sia una «monarchia assoluta ». Come lui la pensano altri nel Pdl. Ma non lo dicono o lo dicono flebilmente. Berlusconi, del resto, sembra avere una singolare difficoltà ad ascoltare persino chi gli è vicino, figuriamoci gli avversari; dopo pochi istanti, attacca lui e all’interlocutore non resta spesso che «prendere o lasciare». Nel mondo delle aziende, da cui viene il premier, può essere utile o addirittura necessario che «il titolare» abbia — con l’ultima parola — anche la prima. In politica, non sempre lo è. Che Bersani sopporti male come Di Pietro interpreta il ruolo dell’opposizione, è un altro fatto. Egli — che ha militato nel Pci, che aveva una ben definita, ancorché discutibile, cultura politica, laddove Di Pietro non ne ha alcuna — vorrebbe che l’opposizione facesse politica, mentre il suo compagno di strada fa solo cagnara.
Ma in tutti questi esempi, ci troviamo, a ben vedere, sul terreno della psicanalisi. Se, invece, ci si addentra su quello della politica si scopre che le differenze sono minori. La percezione che, dentro e fuori il Pdl, si accredita della fronda di Fini offusca il fatto che egli appoggia ciò che più conta per Berlusconi: le iniziative parlamentari in materia di giustizia per metterlo al riparo dei suoi processi. La percezione che, dentro e fuori il Pd, si ha di Bersani, rispetto a Di Pietro, offusca il fatto che Pd e Idv raccolgono ancora consensi sull’onda di Tangentopoli e che il Pd non manifesta alcuna intenzione di rivedere il proprio pensiero su Mani pulite. Il severo giudizio del Papa sui media insomma è giusto. Per conoscere il mondo, occorre chiedersi «come è», non come «ci immaginiamo che sia». E se incominciassimo proprio noi giornalisti?
«Il Corriere della sera» dell'11 dicembre 2009
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