05 luglio 2010

«La tenuta del giornale è la scelta di esistere per Rifondazione comunista»

Intervista a Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc-SE
di Checchino Antonini
Di chi è e a che cosa serve un quotidiano di partito. E più precisamente un giornale comunista come Liberazione. La questione, dopo anni di latenza, è esplosa nel punto di intersezione di più crisi: quella globale, quelle della sinistra e della carta stampata. Per la prima volta un segretario di Rifondazione comunista si fa carico esplicitamente di quelle domande ponendole sia al partito, che ha tenuto un'importante riunione della direzione nazionale sul tema, e al corpo dei lettori del giornale. «Siamo dentro a una progressiva privatizzazione degli spazi della comunicazione - spiega Paolo Ferrero - perché ci sono stati anni in cui i talk show sembrava fossero, con tutti i limiti, uno spazio pubblico. Ti ricordi la "terza camera", il Porta a porta di Vespa?».

La catastrofe elettorale della sinistra e la crisi - utilizzata per riscrivere i rapporti di forza, la legge bavaglio serve a questo come l'accordo su Pomigliano - hanno segnato un brusco cambio di quadro.
E' evidente che oramai ci sono unicamente talk show orientati e giornali di frazione, della borghesia ma non solo. L'idea di informazione è sparita, anche i maggiori giornali sono fabbricati come volantini. E in tutto questo la sinistra anticapitalista non è prevista anzi è prevista la sua uccisione. Non è solo un problema di visibilità della forza politica ma dei temi.

Un esempio.
Eccolo: ieri il parlamento tedesco ha approvato una legge che impedisce la vendita allo scoperto dei titoli, una misura che avrebbe reso complicate operazioni di speculazione al ribasso come in Grecia. Ma il mio comunicato non è stato ripreso da nessuno e non c'è nemmeno la notizia. Chi controlla l'informazione vuole espungere l'anticapitalismo dal dibattito politico, esiste un maccartismo strutturale in questo senso, perché è così evidente che il capitalismo non funziona e il dibattito in corso misura solo l'impotenza della politica. Vengono fatte fuori le voci che dicono che il re è nudo.

Ecco che si pone la questione della necessità di Liberazione...
In questo senso Liberazione è decisiva come punto di vista anticapitalista, produttore e connettore di una soggettività antagonista, la Federazione della sinistra, su piano sociale, culturale e politico. Non è solo un quotidiano di partito, ma in quanto tale e in quanto portatore di questa lettura della crisi si rivolge a una platea più ampia di quella del partito che lo edita. Il giornale è necessario e va consolidato, vanno fatti gli abbonamenti, serve a impostare un nostro discorso piuttosto che a fare una critica di sinistra a discorsi impostati da altri. Insomma, serve se determina un'agenda autonoma da quella imposta da altri.

Una volta si usava dire che un libro fosse una stanza mentre un giornale era una piazza. Che dovesse funzionare da intellettuale collettivo. Non credi che oggi, anche alla luce dell'integrazione con i nuovi media elettronici, il giornale di carta possa essere il luogo dove la piazza e la rete si incontrano?
Ovviamente c'è da sviluppare internet, come pure la nostra rivista "Su la testa". Ma la carta, nell'oscuramento scelto e voluto di Rifondazione, svolge un ruolo fondamentale. Ci sono testate che hanno la consegna di non parlare di noi.

Fuori i nomi.
Non si può, però ti faccio un altro esempio: la mia compagna ha avuto una denuncia perché ha bloccato uno sfratto. Le è stato detto: "Se vuoi raccontiamo la tua storia ma se fai la conferenza stampa come Rifondazione, il caposervizio ha proibito di scriverne". In questo senso la tenuta di Liberazione è la scelta di esistere come Rifondazione. Oggi le due vicende coincidono perché il giornale è l'unico terreno nazionale di visibilità, altrimenti saremmo ridotti come i Testimoni di Geova che, pur essendo parecchi, non esistono come fatto nell'immaginario collettivo. Rischiamo di trasformarci in una subcultura.

Però tu stesso hai ammesso in direzione che troppe volte gli impegni sul rilancio del giornale non hanno avuto un seguito concreto.
Su questo c'è una decisione soggettiva nostra che deve funzionare a tutti i livelli. Tutte le volte che Liberazione va a una manifestazione se ne vendono tranquillamente centinaia di copie...

Però c'è una difficoltà a immaginare la diffusione del giornale come un pezzo dell'iniziativa politica. Mettiamo i piedi nel piatto: perché questa difficoltà (reciproca) di rapporto tra "noi" e "voi"?
Un po' perché Sansonetti ha fatto di tutto per non far sentire Liberazione il giornale delle compagne e dei compagni che facevano Rifondazione; un po' perché le batoste si pagano e un poi perché c'è un pezzo del gruppo dirigente che ha interiorizzato la sconfitta e non capisce che dentro la crisi s'è riaperta totalmente la partita: qualcuno ha la testa girata indietro e non vede che la crisi ha riaperto totalmente la partita. Vedi quello che è venuto fuori a Pomigliano.

E dal giornale cosa ti aspetti?
Dai lavoratori mi aspetterei la voglia di non fare un giornale normale, un entusiasmo e una curiosità nella costruzione di questo progetto politico che in fondo è l'uscita dal capitalismo in crisi e in questo vedrei una forte attenzione alle esperienze sociali e a cosa fa il partito nei territori. Vorrei che Liberazione guardasse dove gli altri non guardano e che sapesse costruire una narrazione. Non dovrà essere il bollettino di partito ma puntare sulla demistificazione delle dinamiche del capitale e sul racconto della costruzione della soggettività. Spesso i nostri compagni fanno delle ottime cose nei territori ma non trovano spazi per socializzarle. Liberazione deve cogliere le insorgenze di soggettività antagonista e farle dialogare.

Dunque si parte davvero con le campagne decise in direzione. Quando?
Il prossimo Cpn, il 17 e 18 luglio, segnerà anche la partenza della campagna abbonamenti. Da allora in avanti sarà decisiva la mobilitazione di tutti.
«Liberazione» del 5 luglio 2010

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