Besançon indaga sui legami sottili tra il concilio di Nicea e la pittura moderna, mediati dalla «gnosi» di Schopenauer
di Michele Dolz
Alain Besançon, nato nel 1932, ha dedicato le sue migliori capacità di storico allo studio della sovietologia e della Russia. Il saggio L’immagine proibita che ora esce in italiano esula un po’ dal filone principale di ricerca ma è condotto con lo stesso rigore. Pubblicato per la prima volta da Fayard nel 1994 e quindi ormai ben noto agli studiosi italiani, il libro vuol essere una storia della raffigurazione del divino. Non però una storia dei fatti, che apparterrebbe alla storia dell’arte, ma delle idee che hanno prodotto i fatti. E in questo senso rappre- senta un notevole contributo di approfondimento. Ma anche per questo lavoro la scintilla è venuta dalla Russia: «Un seminario sulle avanguardie russe mi aveva lasciato la convinzione che Malevic e Kandinskij, rifiutando la figura come capace di abbracciare l’assoluto, recuperassero senza saperlo l’argomento classico dell’iconoclastia». Non si può non vedere, se appena si fa attenzione alla storia, questo filo rosso che percorre la vita dell’immagine cristiana dalla sua travagliata origine fino all’attuale laicizzazione. Diffidenza e timore si alternano e si mescolano all’eccessiva sacralizzazione dell’oggetto. Questa tensione ha portato, come si sa, a tre grandi esplosioni iconoclaste. La prima, quella dell’VIII secolo con al centro il Concilio di Nicea II (787), che comportò una feroce campagna di distruzione d’immagini ritenute idolatriche. Su argomenti molto simili, la seconda crisi è legata alla nascita del protestantesimo, con altrettanta distruzione d’immagini.
Calvino, il più radicale. E Besançon, perché non si attribuiscano superficialmente queste ondate a un non meglio precisato fanatismo, ricorda la complessità del problema che è alla base: «Quale culto rendere e quale statuto attribuire all’immagine di Cristo, che dopo l’Ascensione si trova ora ad essere, con il suo corpo 'circoscritto' e rappresentabile, Uno della Trinità, misteriosa, inconoscibile e di per se stessa irrapresentabile? ». Si può rispondere che la teologia e la prassi della Chiesa hanno risolto il problema, ma non si può negare che il problema ci sia stato. E che in qualche modo persista. La terza crisi iconoclasta è quella che attraversa la modernità fin dall’epoca dei Lumi. Penso che sia questa la parte più interessante e originale dell’indagine di Besançon.
L’innegabile difficoltà che da tempo la grande arte trova nella raffigurazione del divino – perché di questo si tratta, più che di qualche meno significativa fobia verso l’immagine sacra – non è da addebitare, egli dice, alla progressiva secolarizzazione della società o della cultura, che ha orientato gli artisti verso altri soggetti o li ha resi meno vicini alla fede. La questione è intrinseca. È mutata la visione stessa dell’immagine e l’autocomprensione dell’artista. Il cambiamento si radica nella filosofia di Kant e poi dei grandi idealisti tedeschi. Hegel aveva profetizzato la morte dell’immagine sacra. Eppure, nota l’autore, gli artisti quelle opere non le hanno lette. Loro traduttore e mentore della nuova arte è stato Schopenhauer a partire dal 1870. È impressionante la lista qui riportata di artisti e scrittori che hanno letto e meditato le sue opere. In pittura, l’ambiente del simbolismo. Schopenhauer distingue spudoratamente l’umanità in «uomini ordinari» e «geni». I primi sono incapaci di contemplazione, mentre il genio, dotato d’immaginazione, possiede una visuale infinitamente più ampia. L’artista, naturalmente, è genio, e in quanto tale è investito di una missione profetica e del ruolo messianico di svelare la realtà delle cose. La seconda innovazione di Schopenhauer consiste nell’eliminazione dell’importanza del soggetto nella pittura: il significato reale va oltre ciò che vi è raffigurato. Tutto questo ha per Besançon un’impostazione gnostica, confermata dal pensiero complessivo del filosofo. Ne deriva un cambiamento nella concezione del sacro raffigurato. I simbolisti continuano a dipingere scene bibliche ma insieme a altre appartenenti al sacro di altre religioni, a fusioni sincretiche o a una spiritualità vaga e sfuggente. Una vetta, Gauguin e la sua ricerca del primitivismo in senso gnostico. Sulle spiagge di Tahiti egli leggeva appassionatamente le opere di Joséphin Péladan, anima parigina dei Rosacroce. Sulle stesse orme passeranno tanti altri. I tre fondatori dell’astrattismo, Mondrian, Kandinskij, Malevic, frequentavano Schuré, Madame Blavatsky, Steiner, Uspenkij. Esoterismo. Non che tutto il Novecento sia andato così, ma alla base dei cambiamenti radicali di stile c’è un cambiamento di visione diventato comune, che rende molto difficile – se non impossibile – la raffigurazione del divino come in passato. Si potrà non essere d’accordo, ma solo dopo aver riflettuto sui complessi contenuti di queste pagine.
Calvino, il più radicale. E Besançon, perché non si attribuiscano superficialmente queste ondate a un non meglio precisato fanatismo, ricorda la complessità del problema che è alla base: «Quale culto rendere e quale statuto attribuire all’immagine di Cristo, che dopo l’Ascensione si trova ora ad essere, con il suo corpo 'circoscritto' e rappresentabile, Uno della Trinità, misteriosa, inconoscibile e di per se stessa irrapresentabile? ». Si può rispondere che la teologia e la prassi della Chiesa hanno risolto il problema, ma non si può negare che il problema ci sia stato. E che in qualche modo persista. La terza crisi iconoclasta è quella che attraversa la modernità fin dall’epoca dei Lumi. Penso che sia questa la parte più interessante e originale dell’indagine di Besançon.
L’innegabile difficoltà che da tempo la grande arte trova nella raffigurazione del divino – perché di questo si tratta, più che di qualche meno significativa fobia verso l’immagine sacra – non è da addebitare, egli dice, alla progressiva secolarizzazione della società o della cultura, che ha orientato gli artisti verso altri soggetti o li ha resi meno vicini alla fede. La questione è intrinseca. È mutata la visione stessa dell’immagine e l’autocomprensione dell’artista. Il cambiamento si radica nella filosofia di Kant e poi dei grandi idealisti tedeschi. Hegel aveva profetizzato la morte dell’immagine sacra. Eppure, nota l’autore, gli artisti quelle opere non le hanno lette. Loro traduttore e mentore della nuova arte è stato Schopenhauer a partire dal 1870. È impressionante la lista qui riportata di artisti e scrittori che hanno letto e meditato le sue opere. In pittura, l’ambiente del simbolismo. Schopenhauer distingue spudoratamente l’umanità in «uomini ordinari» e «geni». I primi sono incapaci di contemplazione, mentre il genio, dotato d’immaginazione, possiede una visuale infinitamente più ampia. L’artista, naturalmente, è genio, e in quanto tale è investito di una missione profetica e del ruolo messianico di svelare la realtà delle cose. La seconda innovazione di Schopenhauer consiste nell’eliminazione dell’importanza del soggetto nella pittura: il significato reale va oltre ciò che vi è raffigurato. Tutto questo ha per Besançon un’impostazione gnostica, confermata dal pensiero complessivo del filosofo. Ne deriva un cambiamento nella concezione del sacro raffigurato. I simbolisti continuano a dipingere scene bibliche ma insieme a altre appartenenti al sacro di altre religioni, a fusioni sincretiche o a una spiritualità vaga e sfuggente. Una vetta, Gauguin e la sua ricerca del primitivismo in senso gnostico. Sulle spiagge di Tahiti egli leggeva appassionatamente le opere di Joséphin Péladan, anima parigina dei Rosacroce. Sulle stesse orme passeranno tanti altri. I tre fondatori dell’astrattismo, Mondrian, Kandinskij, Malevic, frequentavano Schuré, Madame Blavatsky, Steiner, Uspenkij. Esoterismo. Non che tutto il Novecento sia andato così, ma alla base dei cambiamenti radicali di stile c’è un cambiamento di visione diventato comune, che rende molto difficile – se non impossibile – la raffigurazione del divino come in passato. Si potrà non essere d’accordo, ma solo dopo aver riflettuto sui complessi contenuti di queste pagine.
Alain Besançon, L'immagine proibita, Marietti 1820, pp. 440, € 40,00.
«Avvenire» del 5 dicembre 2009
«Avvenire» del 5 dicembre 2009
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