Non basta regolare i flussi: vanno salvati i nostri valori
di Magdi Allam
Diritti. Ancora diritti. Solo diritti. Ma dove sono i doveri? Se si voleva erigere un monumento al buonismo italico ci si è riusciti perfettamente. Il nuovo disegno di legge sull’immigrazione è la summa dei diritti che non vediamo l’ora di concedere, ma non vi è traccia dei doveri che dovremmo richiedere a chi arriva in Italia per migliorare le proprie condizioni di vita. Hai un contratto di lavoro per sei mesi? Ti diamo un permesso di soggiorno per uno o due anni. E quando scade te lo rinnoviamo per due o quattro anni. Sei rimasto disoccupato? Puoi stare tranquillamente in Italia per almeno un anno usufruendo di tutti i diritti dei cittadini. Ma chi paga? Arrivi in modo clandestino violando le leggi del tuo Paese e quelle italiane? No problem. Ti accoglieremo in un centro di accoglienza con comfort certificato dall’Onu, dalle Asl e da tutte le organizzazioni umanitarie. Dopo cinque anni di permanenza potrai decidere le sorti politiche delle nostre città votando e facendoti eleggere, anche se non te ne frega niente dell’interesse degli italiani o se il tuo obiettivo è di consolidare il potere di uno «stato etnico-confessionale-identitario» che prima o poi scatenerà la guerra contro noi tutti. Agli immigrati non chiediamo nulla, tutt’al più ci permettiamo di offrire loro dei corsi di lingua italiana e di conoscenza della Costituzione. Ma si tratta di un optional. Ci vanno ugualmente bene sia chi vi aderisce sia chi li rifiuta. La Carta dei valori, della cittadinanza e dell'integrazione? Stupenda enunciazione dei diritti dell’uomo universalmente riconosciuti. Peccato che non abbiamo il coraggio di chiedere a nessuno di sottoscriverla, in particolar modo all’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) per la quale era stata originariamente concepita. Non ci siamo proprio. Non va bene questo disegno di legge Amato-Ferrero così come era inadeguata la legge Bossi-Fini. Perché entrambe sono concepite come un meccanismo di regolamentazione dei flussi di immigrati, riducendo il ruolo del governo a quello di un’agenzia di collocamento. Tanto vale affidare tale compito a «Italia Lavoro», che lo farebbe probabilmente meglio se la si lasciasse operare autonomamente. Compito del governo dovrebbe essere la definizione di un modello di convivenza sociale, individuando i valori fondamentali e le regole condivise degli italiani che sostanziano una comune identità nazionale, al cui interno tracciare il percorso di integrazione degli immigrati secondo il principio dei diritti e dei doveri da ottemperare in modo obbligatorio, al fine di salvaguardare le nostre certezze e le legittime aspettative altrui. Diversamente ci si comporta da razzisti, non nei confronti degli immigrati, ma nei confronti degli italiani. La classe politica italiana dovrebbe finalmente capire che se vogliamo veramente fare il bene degli immigrati, dobbiamo innanzitutto realizzare il bene degli italiani. Possibile che la politica si riduca a distruggere ciò che ha fatto il precedente governo per mero tornaconto elettorale, invece di costruire valorizzando e migliorando l’esistente nel nome dell’interesse supremo degli italiani? Possibile che anche la sinistra riduca l’immigrato a forza lavoro anziché considerarlo nella sua integralità di persona che, proprio perché non deve essere discriminata, deve essere trattata alla pari dei cittadini, ossia sulla base del principio dei diritti e dei doveri? Diciamola tutta la verità: destra e sinistra sono finite nel vicolo cieco della faziosità partitica e del disinteresse della collettività perché è estremamente arduo in Italia definire il quadro delle certezze valoriali che sostanziano l’identità nazionale. E visto che non possiamo costruire partendo da noi stessi perché non sappiamo chi siamo, in cosa crediamo e il traguardo che dovremmo conseguire, finiamo per riversare le nostre aspettative sugli altri investendo nelle loro certezze. Azzerando tutto il nostro passato, relativizzando tutto il nostro presente, mettendo a repentaglio tutto il nostro futuro.
«Corriere della sera» del 25 aprile 2007
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