L'integralismo talebano mostra la sua cifra estrema
di Marina Corradi
Una inimicizia radicale che nessun tavolo in un bel palazzo di Roma o Bruxelles potrebbe colmare
Mentre passano drammaticamente le ore dell'ultimatum dei talebani per gli ostaggi francesi, l'inviato del Corriere da Kabul racconta una storia delle campagne dell'Afghanistan. Un musicista ambulante girava per i paesi con il tradizionale tamburo afghano, il dohl, e un bambino di dodici anni. Dopo avere suonato a una festa di nozze è stato lapidato dai talebani, sotto gli occhi del figlio: perché qualsiasi musica che non sia una nenia del Corano deve essere proibita. La notizia è di quelle su cui non basta fermarsi con sgomento, per poi voltare pagina. Ci si ammazza, nel mondo, ogni giorno per mille ragioni. Ma questa morte data a colpi di pietre a un uomo perché aveva allietato un banchetto nuziale porta in sé un orrore diverso. Si uccide per odio o per difesa, per gelosie, per rancore. Ma l'essere condannato a morte per aver rallegrato i convitati di una festa di nozze, è qualcosa di oltre. Giustiziato, per avere fatto qualcosa di assolutamente innocente e di estremamente umano - cantare, far ballare a un matrimonio. Nella cultura ancora tribale che governa le zone rurali dell'Afghanistan, immobili nel tempo, suonare il dohl è come, da noi, lanciare il riso agli sposi. Il rito collettivo della gioia comune davanti alla vita che ricomincia. Semplicemente il dare voce a quella umana felicità, è intollerabile per l'integralismo talebano. Proibita la musica, come si vuol proibire di insegnare nelle scuole. I maestri vengono minacciati, picchiati o uccisi. Soprattutto se le alunne sono femmine: è inammissibile che le donne imparino a leggere. Questa è la legge degli uomini che contendono il dominio dell'Afghanistan alle forze dell'Occidente, e nutrono le fila del terrorismo internazionale. Di quelli che sequestrano ostaggi e li sgozzano come agnelli davanti alle telecamere - nell'ultimo filmato a brandire il coltello è bambino - boia che non ha più di dodici anni. Con questi uomini, secondo alcuni, si dovrebbe comunque sedersi attorno a un tavolo, e trattare la pace. "La pace si fa con i nemici", dicono a chi resta sbalordito. Vero, eppure c'è, anche nell'inimicizia che da sempre arma gli eserciti, un limite, oltre il quale è impossibile pensare di potersi incontrare. Questo limite consiste nel non condividere, circa la vita umana, nemmeno i più fondamentali principi. Si può sedere a un tavolo con l'Eta o con l'Ira, che pure sono gruppi terroristi colpevoli di atrocità. Ma quale incontro è immaginabile se è la stessa legge del nemico, che va contro l'uomo? Sarebbe stato possibile "trattare" una pace con un Terzo Reich che affermava e praticava lo sterminio degli ebrei? C'è una linea invalicabile oltre la quale il dialogo non può essere - a meno di diventare, di quel radicale avversario, tacitamente conniventi. Il giovane suonatore di dohl uscito con suo figlio da una festa è stato finito a pietrate. Non è casuale l'odio per la musica, segno, ovunque, di gioia e di vita, né che tra tante musiche la più intollerabile, da punire con la lapidazione, sia quella di un banchetto di nozze. Nella "piccola" storia di un musicista ambulante massacrato l'integralismo talebano rivela la sua autentica cifra: odio alla felicità semplice, come alle scuole dove si impara a leggere - odio all'uomo. Una inimicizia radicale che nessun tavolo in un bel palazzo di Roma o Bruxelles basta a colmare. Tavoli immaginari, che dicono solo di una ostinata resistenza a vedere chi sia il nemico, che l'Occidente ha davanti.
«Avvenire» del 22 aprile 2007
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