Eva Cantarella interviene nel dibattito aperto da Lucetta Scaraffia
di Eva Cantarella
di Eva Cantarella
La differenza fra i sessi non fonda la nostra cultura
In un articolo pubblicato su questo giornale martedì 20 marzo, Lucetta Scaraffia ricordava che mentre in Italia sembra esistere un solo femminismo, favorevole a ogni svolta del pensiero progressista, negli altri Paesi occidentali i femminismi sono tanti, talvolta profondamente diversi. E su questo (vale a dire sul fatto che i femminismi sono molti) non si può che consentire: c’è il femminismo afro-americano, essenzialista, evolutivo, islamico, liberale, marxista, radicale, separatista, psicoanalitico, socialista, esistenzialista, postmoderno (riprendo l’elenco dal recentissimo libro di due filosofe, Pieranna Garavasco e Nicla Vassallo, Filosofia delle donne, Laterza 2007). Più problematico invece, per quanto mi riguarda, il discorso - che segue - sui femminismi che rifiutano soluzioni progressiste a problemi quali l’aborto, i Pacs, i Dico, la vendita degli ovociti, l’inseminazione eterologa e i diritti delle coppie omosessuali. Con riferimento a questi ultimi diritti, e contro l’ipotesi di concederli, viene citata la filosofa Sylviane Agacinski. Se ho colto esattamente il suo pensiero, Agacinski ritiene che concedere diritti alle coppie omosessuali mal si concilierebbe con il carattere fondante della cultura e della società che ella attribuisce alla polarità eterosessuale: peccato che ipotesi come questa siano ignote nel nostro Paese, dice Lucetta Scaraffia; conoscerle e discuterle permetterebbe di sfuggire «al pensiero unico che stende su questi temi un velo di conformismo». Riesce molto difficile, in verità, condividere questa valutazione: se un pensiero unico su questi temi esiste, nel nostro Paese, è proprio quello che dà per scontato il carattere fondante di cultura e società della polarità eterosessuale. Nel dibattito in corso in Italia non mi è mai capitato di leggere che la divisione biologica in due soli sessi è poco giustificata sotto il profilo empirico, perché non rende conto degli esseri umani intersexed, ovvero sotto il profilo teorico, perché non rende conto dei soggetti «eccentrici» (vedi Teresa De Lauretis, Eccentrics Subjects, 1990). Eppure ci sono femminismi che sostengono queste tesi: un’ottima ricognizione del problema si può trovare, ancora una volta, in «La filosofia delle donne». Ma quel che più mi sorprende è che vi siano femminismi che sembrano aver dimenticato la lezione della storia: più in particolare, della storia ateniese. Il rapporto interpersonale più importante, in quella cultura (anche ai fini riproduttivi: vedremo poi in che senso), non era quello tra un uomo e una donna. Era quello tra due persone di sesso maschile. Quando tra due uomini esisteva una differenza di età che consentiva all’adulto di insegnare al più giovane le virtù civiche, questo rapporto, ad Atene, era considerato lo strumento più importante e più nobile di riproduzione del corpo cittadino. A ricordarlo, nel Simposio di Platone, è una donna, la sacerdotessa Diotima: Amore, dice Diotima, garantisce l’immortalità attraverso la riproduzione. Ma la riproduzione non è solo quella biologica: infatti «quelli che sono fecondi nel corpo si rivolgono di preferenza alle donne, e in questo modo realizzano il loro amore, credendo, a loro avviso, di raggiungere, mediante la procreazione dei figli, l’immortalità, il ricordo e la felicità per tutto il tempo futuro. Quelli invece che sono fecondi nell’anima... si rivolgono a quelle cose che è proprio dell’anima concepire e partorire... la saggezza e ogni altra virtù, cioè quelle cose di cui sono produttori i poeti e quanti tra gli artigiani vengono chiamati inventori. E la grande e la più bella forma di saggezza è quella che riguarda gli ordinamenti delle città e delle case, il cui nome è temperanza e giustizia». Generare saggezza dunque, è importante quanto se non di più che generare corpi (la sola generazione affidata alle donne). Come dicevo, dire che ad Atene la polarità eterosessuale era fondante della natura e della società sarebbe quantomeno azzardato. A evitare il rischio di un pensiero unico, ancora una volta possono esserci di aiuto i greci.
«Corriere della sera» del 22 marzo 2007
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