La malinconia scaturita da disturbi psichici ha prodotto una pittura visionaria che ha affascinato tra gli altri Paul Klee e André Breton
di Giorgio Bedoni
Un campo aperto e dai confini mobili: così si configura, ad un primo sguardo, l'espressione artistica che nasce dal disagio e dalla sofferenza psichica, luogo assai frequentato dalla riflessione psichiatrica e dalle sperimentazioni delle avanguardie artistiche del Novecento. Un argomento, questo, che si presta a una serie di considerazioni di carattere storico, culturale e terapeutico: si tratta infatti, di un' arte necessaria che investe le sfere più intime e segrete. Un' arte, quella dei malati, che nelle sue declinazioni malinconiche sfugge a rigide descrizioni psichiatriche, connotandosi invece come testimonianza di naufragi individuali e, talvolta, di tragedie collettive, come avevano compreso già negli anni Venti psichiatri di lingua tedesca come Hans Prinzhorn e Walter Morgenthaler. Opere, dunque, che nascono dalla perdita e dal trauma, malinconiche eppure temperate da una velata ironia, come nei casi esemplari del veronese Carlo Zinelli e dello svizzero Adolf Wölfli, autori in cui la sensibilità visiva assume tinte visionarie dando vita a mondi autenticamente «altri». Una rapida incursione in questo ambito disciplinare ci permette di incontrare parole chiave, umori e coincidenze che già individuano una storia: stupore e fascinazione, come nelle parole di fine Ottocento dello psichiatra francese Emile Tardieu, ma anche il pregiudizio di inizio secolo che anticipa gli orrori dell' «arte degenerata», Entartete Kunst e del nazismo, cui non sfuggono le creazioni artistiche provenienti dagli asili manicomiali. Queste opere susciteranno sin dai primi del Novecento l' interesse di intellettuali e artisti: di Breton e di Eluard, di Ernst e di Rilke, di Paul Klee e, nel secondo dopoguerra, di Jean Dubuffet e della nascente Compagnie de l'Art Brut. I questo repertorio Breton scorgerà in azione i principi dell'«automatismo psichico». Gli ingredienti c'erano tutti e in grande abbondanza, tali da soddisfare ogni aspirante surrealista: sogno e discordanza, gioco e deriva poetica, quel gioco valorizzato attraverso la pratica collettiva del cadavre exquis, del cadavere eccellente, che genialmente rimetteva in campo le energie e gli umori, ma anche le nostalgie dell'esperienza infantile. Già nel 1912 Paul Klee, in occasione della prima mostra del movimento artistico Der Blaue Reiter alla Galleria Tannhauser di Monaco, aveva pubblicato un articolo sulla rivista Die Alpen individuando nelle culture «altre», nei disegni dei bambini e in quelli dei malati mentali le sorgenti della creatività. In quel famoso scritto Klee accosta forme d'espressione ritenute generalmente marginali, o quanto meno inusuali, all'arte nelle sue fonti originarie e individua nell' esperienza onirica e nello sguardo infantile i presupposti per orientare, come lui stesso scrive, «una riforma». Per certi versi Klee in quel lucido saggio individua in queste forme di espressione una natura irriducibile ai processi sociali di normalizzazione. Ma anche la richiesta da parte di questi artisti di un dialogo con la realtà che si manifesta attraverso la rappresentazione ossessiva dei loro mondi più segreti.
«Corriere della sera» del 22 marzo 2007
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