C’è una nuova schiavitù nei Paesi più avanzati
Di Dacia Maraini
Dobbiamo rivedere i nostri concetti: la compravendita di corpi è dilagante e brutale
Chi sono i nuovi abolizionisti? «Coloro che non accettano che un individuo possa diventare proprietà di un altro». Questa la definizione di David Batstone, che ha appena pubblicato un libro chiamato Not For Sale («Non in vendita»). I Paesi industrializzati sono convinti che la schiavitù sia stata abolita in Europa con l’accordo di Vienna del 1815, e negli Stati Uniti con la Costituzione del 1865. E invece oggi scopriamo che il traffico di persone sta proliferando proprio nei Paesi avanzati e democratici. Batstone fa l’esempio di un ristorante indiano sotto casa che usava frequentare con i figli. «Erano tutte persone simpatiche e gentili, dal padrone alle cameriere». Poi un giorno una delle ragazze rimane intossicata dal gas di una stufa. E il padrone, anziché portarla all’ospedale, l’avvolge rantolante, in un tappeto e la caccia nel bagagliaio della sua auto. Qualcuno però vede la scena e chiama la polizia. Arrivano i soccorsi ma intanto la ragazza è morta. Il proprietario viene fermato e si scopre che in casa tiene centinaia di documenti falsi. L’uomo dirigeva un enorme traffico di schiavi: cameriere spesso minorenni che lavoravano in stato di reclusione, 12 ore al giorno, senza stipendio, sotto la minaccia di rivalersi sulla famiglia di origine nel caso scappassero. L’uomo viene messo in prigione, ma quanti altri ristoranti, alberghi e locali notturni ci sono nelle nostre città dietro cui si nasconde l’uso del traffico di persone? Si calcola che solo negli Stati Uniti ci siano 300.000 minorenni, cittadini americani, di cui l’80% di sesso femminile, che vivono in condizione di schiavitù. E, secondo una ricerca dell’Fbi, il giro d’affari arriva a 9.500 miliardi di dollari all’anno. Il paradosso: la schiavitù non è invisibile per quanto clandestina. Gli schiavi agiscono sotto gli occhi di tutti. Abituati a ritenere che nelle lontane fabbriche orientali ci possano essere bambini sfruttati, non riusciamo a credere che bravi cittadini americani o italiani si dedichino sistematicamente al traffico di esseri umani. Eppure è così. La schiavitù, cacciata dalla porta, rientra dalla finestra, e spesso in modo subdolo e perfettamente integrato alle abitudini del capitale internazionale. Per questo la parola abolizionismo acquista oggi un nuovo e inquietante significato. Per questo sono nate organizzazioni come «Free the slaves» o «Save the children», o anche il coraggioso «Progetto Polaris» (dalla stella polare che gli schiavi seguivano quando scappavano per ritrovare la strada verso il nord), fondato da Dereck Ellerman e Katherine Chon nel 2002. I due studenti americani hanno cominciato usando le loro case e oggi dispongono di uffici sparsi in tutti gli Stati Uniti. Polaris agisce sia sul piano delle organizzazioni di base, sia in accordo con le istituzioni, fondando case di accoglienza, rifugi. Lavora anche sul significato di parole come «vergogna»: molte vittime si vergognano di ciò che sono state costrette a fare e ciò comporta sensi di colpa e paura di denunciare i profittatori. Parole come «globalizzazione delle merci» che spesso vuol dire libertà per il commercio di corpi umani. Da sola, in tre anni, l’organizzazione ha salvato 160 vittime dalla tratta degli schiavi. A questo punto è chiaro che dobbiamo rivedere il nostro concetto di schiavitù, e cominciare a pensare che si è ripresentata, per vie diverse, una forma dilagante e brutale di compravendita di corpi, che sempre più nutre e irrobustisce il sistema economico e sociale in cui viviamo. Nuove schiavitù richiedono nuove forme di abolizionismo. Di queste informazioni ringrazio Mei Mei Ellerman, membro attivo della Polaris, che conduce negli Stati Uniti e nel mondo una battaglia senza confini.
«Corriere della sera» del 10 aprile 2007
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