Si affaccia una generazione che non ha paura di pensare poetando e privilegia un fresco «noi» all’abusato «io» dei loro predecessori. Rumina i modelli – ormai classici – del Novecento italiano e anglosassone, ma reinventandoli attraverso forme e contenuti contemporanei
di Davide Rondoni
La giovinezza della poesia italiana mi ha sorpreso in queste voci. Sono di poeti considerabili giovani, nel campo della cosiddetta letteratura. Ma dal punto di vista della poesia hanno mille, o cento o zero anni. Non ne hanno nessuno, sono il futuro. Quanti anni ha una poesia che ci colpisce adesso, mentre la leggiamo? Da che sapienza di secoli, e da che libertà senza tempo? L'età dell'universo, e l'età dell'attimo futuro, al cui segreto quelle parole ci rivolgono. Questi poeti sono molto diversi tra loro, come diversi sono stati i padri e i nonni di questo strano circo, forte e meraviglioso, della poesia italiana. Si differenziavano, si "combattevano", si stimavano. Erano come i bambini - che si litigano per essere il "più amico" di uno di loro. Ciascuno tendendo ad essere il più intimo della poesia. Insopportabili per tante cose, e però magnifici nella loro offerta d'arte. Montale, Ungaretti, Saba, e prima Rebora, Campana, e giù, per questa nazionale grandiosa, Betocchi, Luzi, Caproni, Sereni, Bertolucci, Bigongiari… E ora, dopo quelli che come me ci han provato, ci stan provando a tenere il passo, a guardare tra le teste di quelli davanti, a dare una voce nel bosco, eccone altri. Più freschi nella loro titubanza, nel loro stesso errore, con l'aria addosso di tutti i ragazzi o giovani uomini e donne di questi anni, con l'aria tremenda e struggente di questa Italia che cambia, e della sua lingua che sfigurandosi esibisce ancora e quasi con più violenza i suoi tesori, gli argenti, le tinte tenui, i precipizi musaici… In molti casi sembrano loro stessi i primi a stupirsi, quasi a non crederci di poter essere - nei frastuoni e ronzii che li circondano - voci della poesia. Di essere luoghi dove accade e vale qualcosa di significativo non solo per se stessi, e per il breve perimetro della individualità così come la intende l'epoca attuale: piccola gabbia di opinioni e reazioni. La poesia sfonda tale minimo serraglio. Lo riapre al rapporto con l'infinito e alla tensione comune al significato del vivere. Molti sono i sondaggi tentati in questi anni. Tutti provvisori, inevitabilmente. Ne hanno nei loro cataloghi editori grandi e piccoli, da Mondadori al Saggiatore, da Fara a varie riviste. Qualcuno addirittura si è lamentato di una esagerata, quasi morbosa o forse furbesca attenzione ai "giovani" come categoria socio-editoriale da sfruttare. Ma io dico: mai troppa è l'attenzione a chi intraprende una via strana e difficile come quella dell'arte. Ma che sia dura e generosa attenzione, ed esigente. Molti nomi si possono affastellare, di coloro che sono già ben più che una promessa. Teneteli a mente, nel loro disordine sparso e caos alfabetico: Mencarelli, Toma, Leardini, Italiano, Brullo, Ponso, Fossati, Rivali, Mancinelli, Serragnoli, Ferri, Sanchini, Bertozzi, Grutt… E ovunque se ne segnalano, radunandosi intorno a riviste, a maestri e amici. Indice di ricchezza, che solo i parrucconi o gli specialisti del piagnisteo non vedono. Non importa se la grande stampa o la grande editoria si accorgerà di loro. I giornali sono tutti bravi a inseguire il risaputo, il "nome". E come ricicciano politica così fan con la poesia e l'arte. Ma ogni tanto s'apre una finestra. E ne viene aria, vento. Ecco dunque una brevissima rassegna. Che non esaurisce il grande ventaglio di voci, ma si ferma su alcune della cui forza non dubito. Gli sviluppi, le sorti vedremo.
«Avvenire» del 25 marzo 2007
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