04 aprile 2007

L’origine del peccato e l’evoluzione del male

Un saggio che parte dalla confessione di Darwin: «Mi sento il cappellano del diavolo»
di Stefano Moriggi
Boncinelli: non esiste il bene senza cognizione del dolore
«Non è dalla polvere che nasce il male», ammoniva la sapienza di Giobbe. Allora da dove? «Nasce dall’uomo e rimane circoscritto al suo mondo», risponde uno scienziato come Edoardo Boncinelli nel suo nuovo libro Il male (Mondadori). Charles Darwin confessava di sentirsi come «un cappellano del Diavolo» nel narrare il «vangelo di crudeltà» che si dispiega in natura. Eppure, ci dice Boncinelli, non si può «rimproverare al leone di sbranare una piccolo antilope». Se lo facessimo, cadremmo vittima di quell’illusione che ci porta a «proiettare» le nostre emozioni e valutazioni sul resto della natura. Solo quando si è capaci di interrogarsi sull’origine dei patimenti - nostri o altrui - la sofferenza diventa male. Boncinelli vede il processo che ha portato alla comparsa degli esseri umani, e quindi la loro stessa storia, come una progressiva emancipazione. Forse una scimmia è più libera di un cane e noi siamo più liberi sia del cane sia della scimmia. Passando dalla schiavitù degli istinti all’emergenza del pensiero razionale e simbolico si conquista lo spazio della libertà in cui possiamo credere il vero o il falso, e agire per il bene o per il male. Non ci pare fuori luogo citare uno dei Cattivi pensieri di Paul Valéry. Si dice usualmente che il pollice opponibile sia «ciò che distingue in modo più netto l’uomo dalla scimmia». Ma noi esseri umani abbiamo forse un’altra bizzarra proprietà, «quella di dividerci da noi stessi... Abbiamo l’anima opponibile». Se Valéry ha indovinato, «allora si spiegherebbero le parole comprendere o afferrare». Infatti, «afferriamo» ovvero «comprendiamo» tanto gli oggetti quanto i concetti - e questi due modi del «prendere» non sono affatto disconnessi tra loro. Le capacità manuali hanno avuto un ruolo decisivo nello sviluppo dell’intelletto umano, grazie a un reciproco scambio tra mani e cervello. Per dirla con Christian de Duve, Nobel per la medicina (1974), «gli ingegneri sono venuti prima dei filosofi». Mano e cervello insieme vogliono dire anche strumento, macchina, tecnica. Al tempo stesso, l’estensione della complessa e sofisticata libertà umana costituisce anche l’apertura alla responsabilità. «Siamo gli animali di gran lunga più liberi, ma proprio per questo dobbiamo in qualche maniera riempire il vuoto lasciato dal depotenziamento degli istinti, tanto sul piano cognitivo quanto su quello comportamentale». A ciò provvede quello scambio di cose e idee che non solo l’economia ma le istituzioni consentono di articolare anche tra gruppi differenti e di generazione in generazione, grazie ai principi della convivenza, alle regole di condotta, alle norme giuridiche, ai valori morali. Questi «puntelli» - come li definisce Boncinelli - riducono il disordine che sarebbe prodotto da una competizione sfrenata, rassicurano chiunque vi si conformi in quanto membro di una comunità, emarginano il trasgressore come un vero e proprio attentatore al benessere collettivo. A questo punto, il male è stato definito: quelle norme, quelle regole vengono assolutizzate in imperativi etici che devono valere in ogni tempo e in ogni luogo, e guai a non tenerne conto; se così accadesse, il male dilagherebbe in tutta la sua potenza corrosiva e disgregante. «Quante volte - constata Boncinelli - abbiamo sentito dire che non ci sono più valori»? Per denotare tutto questo i filosofi usano una parola dalle molteplici sfumature, nichilismo: i valori si scoloriscono, e tutto quello che prima aveva senso e significato sembra svuotarsi. Che cosa c’è, dunque, alla radice del male? Non solo il dolore, ma la cognizione del dolore, sospesa tra natura e cultura, tra biologia ed etica. Ma non sarà l’indifferenza il male peggiore? Una specie animale può soppiantarne un’altra in una data nicchia ecologica: ecco il dettato di una natura che non si cura delle proprie creature. Possiamo limitarci a dire lo stesso se qualcosa di analogo capita con due popolazioni umane? Il nichilismo ci lascerebbe privi di qualunque metro di giudizio per distinguere una situazione dall’altra. Ci ricondurrebbe a sancire la prevalenza del più forte, come pensavano i cosiddetti «darwinisti sociali», contro i quali polemizzavano energicamente lo stesso Darwin e il suo «mastino» Thomas Huxley. Sulla scia di Darwin, Boncinelli prospetta in chiave evolutiva la stessa questione dei criteri morali e dei valori. Sull’evoluzione biologica si è innestata l’evoluzione culturale: norme e valori sono strumenti che ci consentono non solo di sopravvivere, ma di vivere meglio. Non diversamente dagli strumenti costruiti con il pollice opponibile, possiamo continuare a perfezionarli, facendoci carico della responsabilità di tradurre in concrete leggi e istituzioni quella libertà che faticosamente ci stiamo guadagnando. Però, la nostra anima opponibile è ben più ambigua della tecnica, nel senso che può impiegare gli stessi «strumenti» anche per vivere peggio, o per distruggere la vita. Questo, e solo questo, è ciò che chiamiamo male. Una creatura perversa di quella libera immaginazione senza la quale, ovviamente, nemmeno il bene ci sarebbe.

Il libro di Edoardo Boncinelli, «Il male», è da oggi in libreria per Mondadori (pagine 272, 17,50)
«Corriere della sera» del 27 marzo 2007

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