Benedetto XVI durante la visita a una parrocchia della periferia romana riprende un tema della sua teologia
di Luigi Accattoli
Il Papa: segna il fallimento totale di chi chiude il cuore all’amore di Dio
L’inferno «esiste ed è eterno» e può essere inteso come la condizione di quanti «chiudono il cuore» a Dio, realizzando così il «fallimento» della propria esistenza: l’ha detto il Papa teologo parlando ieri in una parrocchia di Roma e usando un linguaggio semplificato, si direbbe da parroco. Ma nella semplicità ha riassunto tutti i punti della sua riflessione di teologo in tale scottante materia, variamente esposta negli anni in saggi e in interviste. Ieri Benedetto XVI era in visita a una parrocchia della periferia Nord di Roma, quella di «Santa Felicita e figli martiri». Ha commentato un episodio chiave del Vangelo di Giovanni, quello dell’adultera che Gesù salva dalla lapidazione dicendo «Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra». Dall’episodio ha tirato questa «indicazione concreta»: a Gesù non interessa «discutere» con gli scribi e i farisei che gli portano l’adultera, ma il suo «obiettivo» è «salvare un’anima» per la via della misericordia. Per questo - ha continuato il Papa - il Signore è venuto sulla terra: «È venuto per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l’inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore». Conclusione: «Anche in questo episodio comprendiamo che il vero nostro nemico è l’attaccamento al peccato, che può condurci al fallimento della nostra esistenza». Tutte le volte che nelle sue opere il teologo Ratzinger tratta dell’inferno sempre osserva che è un «articolo di fede» che la teologia moderna tende a «eliminare» perché «ostico» alla nostra «coscienza odierna». E anche ieri l’ha fatto con l’inciso che oggi di inferno «poco» si parla. Altro elemento ratzingeriano tipico è l’affermazione che l’inferno è destinato a chi «chiude il cuore all’amore» come ha detto ieri, realizzando così un pieno «fallimento dell’esistenza». Nel volume Introduzione al cristianesimo (Queriniana 1969), questi concetti erano così proposti, nel capitolo sulla «discesa agli inferi»: «ultima solitudine», «abisso del nostro estremo abbandono», «soltanto la chiusura in se stessi voluta di proposito è ora l’inferno». In quello stesso volume si chiarisce che l’inferno non è un luogo ma una condizione: «Quello stato spaventoso e sinistro che il teologo chiama inferno». Nel libro intervista Dio e il mondo (San Paolo 2001), il teologo Ratzinger invita a non «risolvere» il «simbolismo biblico» del «mondo superiore e mondo inferiore» in una «visione ingenua» e in un «fisicismo che non aiuta a cogliere l’essenziale». Dunque niente bolgie dantesche e fiamme e ghiacci. Dell’inferno come «grande mare di fuoco» parla anche il «segreto di Fatima», che a suo tempo il cardinale Ratzinger qualificò come «visione privata» esposta in un «linguaggio immaginifico e simbolico» che va «correttamente» interpretato. Liberandolo cioè dal «fisicismo». Sempre in quel volume il teologo Ratzinger esprimeva l’auspicio che i dannati all’inferno non siano numerosi: «Speriamo siano pochi gli uomini la cui vita è stata un fallimento totale e insanabile». L’occasione più recente in cui il cardinale Ratzinger si è occupato dell’inferno è stata la preparazione del «compendio» del Catechismo della Chiesa cattolica (2005), che ha redatto da cardinale e promulgato da papa. In esso c’è la domanda «in che cosa consiste l’inferno», seguita da questa risposta: «Consiste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale. La pena principale dell’inferno sta nella separazione eterna da Dio».
«Corriere della sera» del 26 marzo 2007
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