Pensate, sono quelle che ricorrono meno all’aborto terapeutico
di Giuliano Ferrara
di Giuliano Ferrara
Nel suo paginone domenicale su Repubblica, Concita De Gregorio spiega che nessuno può giudicare la scelta della donna che decide per un aborto terapeutico. Quella scelta, spiega con dovizia di esempi, è dettata dall’amore e dalla sofferenza, non certo da un inesistente conformismo della perfezione che si traduce in eugenetica. Nessuno, davvero, può dare la croce addosso a chi arriva a decidere una cosa così terribile anche al prezzo, come racconta la Serena intervistata da Repubblica, “di soffrire noi, di restare sempre col dubbio che una speranza invece ci fosse. Di risparmiare lei, però”, anche se risparmiare la bambina che Serena aspettava è significato farla nascere per farla morire. Questo, infatti, né più né meno, è un aborto terapeutico, e chissà se a Serena l’avevano spiegato. Nessuno aveva comunque spiegato alla mamma di Tommaso, il piccolo sopravvissuto a un aborto alla ventiduesima settimana all’ospedale di Careggi e morto dopo sei giorni, che a quel punto della gravidanza è possibile che un bambino possa farcela. Concita racconta da par suo la sofferenza, i dubbi, le lacrime. E poi, buttata là come la chiave di tutto, l’illuminazione fondamentale: “Il sud fatalista e povero tiene i figli malati e probabilmente destinati comunque a morire, il nord ricco e colto molto meno. Come se l’aborto terapeutico fosse davvero un privilegio di chi può permetterselo”. Ci siamo: chi sono le donne che non usano i “privilegi” messi a disposizione dalla medicina? Che magari decidono di accogliere un figlio malformato? Che rischiano di dover lottare per anni con il proprio bambino contro la malattia? Poveracce e illetterate, non c’è dubbio. “E’ la cultura cattolica”, sentenzia il professor Marcelletti, che con la De Gregorio commenta quella disdicevole propensione, al sud, a pensare sempre “di dover portare la croce”. Consigliamo allora a entrambi di indagare, viste le spiccate attitudini sociologiche, sul perché le svedesi, donne notoriamente non colte, cattoliche e sudiste, decidono sempre più di far nascere i loro bambini Down.
«Il Foglio» del 3 aprile 2007
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