Dal negazionismo sulla Shoah al recente caso Toaff, quale libertà d'espressione per gli storici? Se ne parla a Teramo
di Antonio Giuliano
Angelo D’Orsi: «Nel caso di Ahmadinejad l’estremismo arriva all’invenzione. Ma politica e mass media monopolizzano il dibattito, emarginando gli studiosi». Domenico Losurdo: «Non è il tribunale il luogo in cui accertare la verità storica». Alessandro Barbero: «Su "Pasque di sangue" troppa timidezza degli storici. È un bene invece che si parli di più delle foibe»
Poche storie. Tra crimini negati, genocidi taciuti, libri messi al bando, oggi gli storici hanno il loro bel da fare. Perché «historia testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae est» (La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita) diceva Cicerone nel suo De oratore. Ma forse il filosofo latino si illudeva. Di quale storia parlava? Di certo non quella divulgata da qualche manuale scolastico piegato a fini ideologici e tanto meno a quella raccontata dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad… Cicerone pensava probabilmente a un ramo nobile del sapere, affidato a studiosi competenti e scrupolosi. Oggi, però, è ancora ascoltata la voce degli storici di professione? Che cosa pensano costoro delle recenti tesi negazioniste sulla Shoah o del caso Toaff? Come li spiegano in relazione al diritto della libertà di ricerca e di opinione? Se ne discute oggi a Teramo nel convegno organizzato dall'ateneo abruzzese su "La storia imbavagliata", cui intervengono fra gli altri Adolfo Pepe, Angelo D'Orsi, Alessandro Barbero, Enrico Fasana, Domenico Losurdo, Claudio Moffa, Emanuela Irace. L'evento, che si conclude domani, ha per oggetto di studio particolare il Medio Oriente e l'Olocausto.
«Bisogna distinguere innanzitutto tra un uso pubblico e un abuso politico della storia - afferma Angelo D'Orsi, docente di Storia delle dottrine politiche all'Università di Torino - Anche se c'è il rischio di banalizzazioni, la storia esca dai luoghi deputati, l'università o i centri di ricerca: è un diritto di tutti conoscerla. Negli ultimi anni però gli storici sono stati espulsi dal dibattito pubblico e rimpiazzati da politici o giornalisti. La storia viene sempre più usata come un grande supermercato in cui prendere solo ciò che fa comodo. Nel caso di Ahmadinejad l'estremismo e l'abuso politico arrivano all'invenzione...». Sulle contromisure D'Orsi è netto: «Non credo che la risposta ai negazionisti sia la via giudiziaria. Sebbene vi sia questa tendenza in Europa, ritengo che vadano affrontati in ambito scientifico». Concorda Domenico Losurdo, docente di Storia della filosofia ad Urbino: «Pur criticando nettamente le posizioni di uno storico negazionista della Shoah come David Irving, condanno la prigione che gli è stata imposta. Non è il tribunale il luogo in cui si accerta la verità storica». Secondo Losurdo la prospettiva è più ampia: «Io parlerei di negazionismi. Accanto all'infamia dei tentativi di negare l'orrore della soluzione finale, non dimentichiamo quelli negli Stati Uniti sulla decimazione dei pellerossa o sulla schiavitù dei neri. Oppure in Europa la tragica vicenda degli Armeni, agli inizi del Novecento, forse il primo esempio di genocidio». Quanto al negazionismo di Amhadinejhad: «Il suo e quello di altri personaggi del mondo arabo è un tentativo infelice e maldestro di richiamare l'attenzione sulla situazione palestinese. Stiamo però attenti - aggiunge Losurdo - a non passare dal giusto risarcimento morale che chiedono le vittime, gli ebrei o gli armeni, ad una politica della colpa. Penso in passato all'Unione Sovietica che aveva subito i crimini del nazismo, ma accusava di anti-sovietismo quelli che criticavano l'invasione cecoslovacca. Il credito che aveva acquisito come vittima cercava di usarlo per giustificare politiche da condannare: vale oggi per tutti i paesi del mondo, compreso Israele».
Ha fatto molto discutere in questi mesi Pasque di sangue, il libro dello storico Ariel Toaff, poi ritirato dal mercato per le accese reazioni. Alessandro Barbero, docente di Storia medievale presso l'Università del Piemonte Orientale a Vercelli, taglia corto: «Il libro di Toaff, giudicato con criteri scientifici, è sbagliato perché non riesce a dimostrare la sua tesi. Mi spaventano però quanti hanno detto che Toaff è un furfante e su quest'argomento non bisognava discutere. Ma gli storici professionisti, anche criticandolo, non si sono espressi così». Rimane un libro ritirato dal co mmercio in un paese libero... «È davvero un brutto episodio anche se è stato Toaff a deciderlo. Credo possa essere un caso di "storia imbavagliata" se pur molto diverso rispetto alle condanne per i negazionisti. Intravedo un rischio: che presto sia il legislatore a decidere se un libro di storia debba essere pubblicato». Barbero però ammette: «Penso ci sia stata troppa timidezza di noi storici su Toaff, anche per la difficoltà di difendere un libro che non funziona per il metodo non per il tema. E poi perché sul mondo ebraico siamo giustamente molto sensibili». E sul futuro: «I mass media non amplifichino posizioni provocatorie e palesemente assurde come sull'Olocausto. Poi non so, oggi, quanta attenzione ci sia alla storia nelle scuole: permane una dipendenza dalla politica. Anche se è un bene che si parli di più delle foibe ad esempio».
D'Orsi è più autocritico: «Come diceva Marc Bloch, la storia va difesa dai nemici esterni, i mestieranti, ma anche da quelli interni, gli storici pressappochisti. Il dovere di uno storico è lavorare per la verità: anche se si trovano documenti che non collimano con le proprie idee. Oggi gli storici sono poco considerati, ma mi preoccupa di più che non si percepisca la storia come un elemento essenziale per cementare la comunità».
«Bisogna distinguere innanzitutto tra un uso pubblico e un abuso politico della storia - afferma Angelo D'Orsi, docente di Storia delle dottrine politiche all'Università di Torino - Anche se c'è il rischio di banalizzazioni, la storia esca dai luoghi deputati, l'università o i centri di ricerca: è un diritto di tutti conoscerla. Negli ultimi anni però gli storici sono stati espulsi dal dibattito pubblico e rimpiazzati da politici o giornalisti. La storia viene sempre più usata come un grande supermercato in cui prendere solo ciò che fa comodo. Nel caso di Ahmadinejad l'estremismo e l'abuso politico arrivano all'invenzione...». Sulle contromisure D'Orsi è netto: «Non credo che la risposta ai negazionisti sia la via giudiziaria. Sebbene vi sia questa tendenza in Europa, ritengo che vadano affrontati in ambito scientifico». Concorda Domenico Losurdo, docente di Storia della filosofia ad Urbino: «Pur criticando nettamente le posizioni di uno storico negazionista della Shoah come David Irving, condanno la prigione che gli è stata imposta. Non è il tribunale il luogo in cui si accerta la verità storica». Secondo Losurdo la prospettiva è più ampia: «Io parlerei di negazionismi. Accanto all'infamia dei tentativi di negare l'orrore della soluzione finale, non dimentichiamo quelli negli Stati Uniti sulla decimazione dei pellerossa o sulla schiavitù dei neri. Oppure in Europa la tragica vicenda degli Armeni, agli inizi del Novecento, forse il primo esempio di genocidio». Quanto al negazionismo di Amhadinejhad: «Il suo e quello di altri personaggi del mondo arabo è un tentativo infelice e maldestro di richiamare l'attenzione sulla situazione palestinese. Stiamo però attenti - aggiunge Losurdo - a non passare dal giusto risarcimento morale che chiedono le vittime, gli ebrei o gli armeni, ad una politica della colpa. Penso in passato all'Unione Sovietica che aveva subito i crimini del nazismo, ma accusava di anti-sovietismo quelli che criticavano l'invasione cecoslovacca. Il credito che aveva acquisito come vittima cercava di usarlo per giustificare politiche da condannare: vale oggi per tutti i paesi del mondo, compreso Israele».
Ha fatto molto discutere in questi mesi Pasque di sangue, il libro dello storico Ariel Toaff, poi ritirato dal mercato per le accese reazioni. Alessandro Barbero, docente di Storia medievale presso l'Università del Piemonte Orientale a Vercelli, taglia corto: «Il libro di Toaff, giudicato con criteri scientifici, è sbagliato perché non riesce a dimostrare la sua tesi. Mi spaventano però quanti hanno detto che Toaff è un furfante e su quest'argomento non bisognava discutere. Ma gli storici professionisti, anche criticandolo, non si sono espressi così». Rimane un libro ritirato dal co mmercio in un paese libero... «È davvero un brutto episodio anche se è stato Toaff a deciderlo. Credo possa essere un caso di "storia imbavagliata" se pur molto diverso rispetto alle condanne per i negazionisti. Intravedo un rischio: che presto sia il legislatore a decidere se un libro di storia debba essere pubblicato». Barbero però ammette: «Penso ci sia stata troppa timidezza di noi storici su Toaff, anche per la difficoltà di difendere un libro che non funziona per il metodo non per il tema. E poi perché sul mondo ebraico siamo giustamente molto sensibili». E sul futuro: «I mass media non amplifichino posizioni provocatorie e palesemente assurde come sull'Olocausto. Poi non so, oggi, quanta attenzione ci sia alla storia nelle scuole: permane una dipendenza dalla politica. Anche se è un bene che si parli di più delle foibe ad esempio».
D'Orsi è più autocritico: «Come diceva Marc Bloch, la storia va difesa dai nemici esterni, i mestieranti, ma anche da quelli interni, gli storici pressappochisti. Il dovere di uno storico è lavorare per la verità: anche se si trovano documenti che non collimano con le proprie idee. Oggi gli storici sono poco considerati, ma mi preoccupa di più che non si percepisca la storia come un elemento essenziale per cementare la comunità».
«Avvenire» del 18 aprile 2007
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