Il gigante asiatico si arricchisce. Ma nega ai più diritti e benefici della modernità
di Fabio Cavalera
Quando si spengono i neon, ci si accapiglia nell’immondizia
Al mattino molto presto e il sabato e la domenica ancora di più, quando la luna sta per scomparire, Pechino recupera un po’della sua antica atmosfera pigra e magica, altrimenti soffocata dallo sballo della modernità irrazionale e lussuriosa. Nei piazzali dello Stadio dei Lavoratori, gli ammaestratori di fringuelli ciondolano lenti e chiacchierano a bassa voce, ciascuno con il proprio amico che trattengono, legato con un sottile guinzaglio. Il Frosone Testa Nera di Cina, l’Eophona migratoria, piccolino e pingue, con eleganti piume grigio scuro e un vivacissimo becco giallo ciangotta aggrappato a un bastoncino di bambù. Lo si compera per una manciata di yuan al mercato degli uccelli e dei grilli vicino al Ponte dell’Anatra. A due passi è Sanlitun, la strada delle lucciole d’Oriente, le Lady Bar che risucchiano clienti. Giurano: «Siamo libere dall’Aids». E s’imbucano al tavolo, bevono, trattano, infine si prestano e riemergono per il giro successivo; il terzo, il quarto. Avanti. I neon delle insegne si spengono, i locali s’addormentano e i mendicanti - papà e mamma, con i bambini in braccio, che elemosinano il giorno, la sera, la notte: «Money, money» - si accapigliano per arraffare nell’immondizia bottiglie vuote, cartoni e plastiche. È la cavalleria degli indigenti che poi galoppa sui miseri carretti arrugginiti verso le discariche dove aspetterà la ricompensa di una monetina. Attorno sferragliano e rumoreggiano i camion che trasportano i detriti delle vecchie case scaraventate giù; la speculazione progetta quartieri modello con i negozi di lusso, il fitness, le piscine, i saloni di bellezza e la privacy dei neoricchi blindata da guardie private. Le follie del buio sfumano. Il quartiere di Sanlitun e dello Stadio dei Lavoratori - quello dove una volta i borghesi della destra subivano umilianti processi davanti a masse inferocite - è il controverso teatro della vita cinese. Allegro. Triste. Dolce. Drammatico. Affascinante. Irritante. L’alba. Superate le cancellate dell’Arena c’è una striscia di cemento esterna alle tribune, nascosta da una fila di gelsi che la separa dalle grandi vie asfissiate dagli odori del traffico nauseante. Il palcoscenico di mille personaggi e di mille storie. (...) Ecco la Cina. Ruvida, simpatica, austera, peccaminosa, corrotta e laboriosa. La Cina è un mondo di esasperazioni, di ingiustizie e disuguaglianze. Di bugie e illusioni. Un mondo di anime che si agitano, mobilitano, soffrono. Perché non guardare la realtà per quella che è? La pigrizia intellettuale presenta troppe banalità e luoghi comuni: la Cina miracolosa, la Cina ricca e potente, la Cina che ci umilia. Quanti aggettivi convenzionali. I numeri ingannano. Le immagini pure. La Cina va nello spazio e presto pianterà la sua nobile bandiera sulla luna. La Cina è il terzo mercato del lusso dopo gli Stati Uniti e il Giappone. La Cina sarà entro un paio d’anni la terza potenza economica al mondo e supererà la Germania perché il suo prodotto interno lordo cresce fra il 10 e l’11 per cento. La Cina ha nei forzieri della Banca centrale una quantità di dollari - mille miliardi di dollari - coi quali tiene sotto scacco gli Stati Uniti e se dovesse smettere di investire nel debito pubblico americano sconvolgerebbe l’economia internazionale. La Cina è dinamica: è il secondo mercato dell’automobile e di Internet, il primo dei computer, dei telefonini e degli orologi, ha i grattacieli e le migliori griffe della moda. Compera le Ferrari, le Mercedes, le Bmw, le Porsche. Le company accumulano profitti immensi. Le banche si quotano in Borsa. La Cina ha una politica estera pacifica ma strategicamente aggressiva e coinvolgente, specie verso gli sceicchi del petrolio e gli zar del gas. La Cina avrà nel 2008 le Olimpiadi e in vetrina esporrà i gioielli del suo benessere. Che sono tanti. Tutto ciò è vero. Ma il resto? Dietro c’è l’altra Cina. Anzi le altre Cine. Quella umile degli aquiloni, del mah-jong, del tai-chi, del Frosone Testa Nera, il fringuello. Quella poverissima delle elemosine, dell’indifferenza e dell’egoismo, dei cantieri dove i migranti sfruttati come bestie lavorano di giorno e di notte. Quella dei monumenti distrutti. Quella delle campagne e delle rivolte, della burocrazia asfissiante, della prepotenza - tu non passi, tu non superi, tu non attraversi, tu non sali perché io sono più forte e più veloce - e della violenza quotidiana nelle strade. Quella dell’Aids taciuto, dell’aria irrespirabile, dei fiumi morti, del mare inquinato. Quella che opprime il dissenso, non parla di diritti umani e si contrae offesa se si chiede conto del Tibet o delle minoranze musulmane. Quella che non riconosce la libertà di culto alla comunità dei cattolici. Quella dei 150 milioni di contadini che si arrangiano con meno di un dollaro al giorno, che è la soglia della sopravvivenza indicata dalla Banca Mondiale, e dei settecento milioni di cinesi delle aree rurali che non arrivano a racimolare un reddito di 350 euro all’anno. È vero che in quarant’anni il Dragone ha compiuto passi stupefacenti. Ma la strada che un miliardo e trecento milioni di sudditi dell’impero ha davanti per garantirsi un’esistenza mediamente accettabile è lunghissima. La Cina o ammalia o allarma. Nel giudicarla pecchiamo, comunque, di superficialità. Siamo condizionati dai numeri che illustrano una fredda e parziale verità. Ci sono tante Cine, meno miracolose. Più difficili da scrutare, da comprendere e da vedere. Sono mimetizzate. C’è la Cina falsa, imbandita con le cifre - temute però fallaci - che raccontano ciò che piace al Dio-Partito: la ricchezza, il progresso, il quieto vivere. Non esiste più un monarca unico da adorare, il Figlio del Cielo o il Grande Timoniere. Il Principe oggi è il collettivo, è l’organizzazione rappresentata da tutti suoi capi, al centro e nelle periferie. Il Dio-Partito, appunto. Che occupa lo Stato e monopolizza la società. E per il Dio-Partito la Cina da vendere - come un prodotto a scatola chiusa - è danarosa, abbondante, tollerante. Lo sarà. Perché cammina in fretta. Però non è tutto. E c’è una Cina vera. Che è, sì, il libero mercato e la ricerca del benessere. Ma anche e soprattutto un popolo affascinante e orgoglioso ma tuttora chiuso, inibito, condizionato dai tabù morali, etici e politici. Il popolo della gente comune che - quando si spoglia della sua diffidenza - descrive la Cina per ciò che realmente è: la Patria degli Eccessi. Nel bene e nel male.
Si tratta di un brano del libro di Fabio Cavalera, «Il manager dei bagni pubblici (e altre storie di vita cinesi)», Bompiani, (pagine 216, 12)
«Corriere della sera» del 4 aprile 2007
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