Ai primi posti in classifica un saggio che chiede il rilancio dell'autorità nella scuola e decreta il diritto degli alunni alla disciplina
di Diego Vanzi
Il pedagogista Bueb: «Si è dimenticata l’arte di educare e la causa è che gli adulti non credono più a se stessi e non hanno fiducia nei sistemi attuali. Più coraggio per formare i giovani»
Il popolare quotidiano Bild Zeitung l´ha definito «il più severo maestro della Germania». Scrive e predica virtù che per molti oggi sarebbero retaggio del passato: disciplina, obbedienza, autorità. Ma Bernhard Bueb, classe 1938, pedagogista e teologo cattolico, viene considerato dai più in Germania una sorta di salvatore di un sistema educativo in piena precarietà. Anche per una serie di gravissimi episodi di intolleranza tra alunni e perfino verso i docenti scaturiti in vere e proprie aggressioni fisiche. Tempi maturi quindi per intervenire su tali desolate situazioni. Bueb l'ha fatto con la pubblicazione, subito balzata ai primi posti in classifica, del suo Lob der Disziplin, eine Streitschrift («Lode della disciplina, scritto polemico»). E polemiche sono sorte ma surclassate da elogi e applausi. «Siamo una nazione fortemente rovinata dal nazionalsocialismo - ha detto l'autore al settimanale Der Spiegel -. Le nostre virtù sono state al servizio di un sistema inumano. Il movimento studentesco del '68 ha sì evidenziato questo abuso, ma la contestazione ha finito col rifiutare anche le nostre virtù». I sessantottini tedeschi, rinnegando ogni autorità, hanno combattuto per nuovi ideali educativi. I loro figli dovevano crescere in libertà senza alcuna coercizione autoritaria. Esperimento interessante, ma che ha lasciato molteplici tracce negative su un'intera generazione. Oggi molti genitori sono insicuri, mancano d'orientamento. Bernhard Bueb conosce molto bene i giovani, i loro problemi e la loro necessità di trovare un orientamento. Per oltre 30 anni ha diretto l'elitario collegio Salem sul lago di Costanza. Da due anni è in pensione. Il suo libro «Lode della disciplina» è nato dopo l'uscita di un suo saggio pubblicato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung su «Il diritto dei giovani alla disciplina». Il lungo articolo ha avuto grandissima eco positiva ed è stato per Bueb di sprone per allargare l'argomento in un libro. Prontamente la Bild Zeitung ne ha pubblicato d ei brani per 5 giorni di seguito. Anche qui le reazioni dei lettori hanno superato ogni aspettativa e il quotidiano più venduto in Germania qualificava Bueb a caratteri cubitali in prima pagina come «il più severo maestro in Germania». Ma Bernhard Bueb lo è davvero? «Abbiamo dimenticato l'arte di educare - egli afferma - e la causa è che gli adulti non credono più a se stessi e non hanno fiducia negli attuali sistemi educativi». Bueb chiede «più coraggio nell'educare e formare i giovani». Pensa che gli adulti non debbano più nascondersi e chiede loro di riguadagnare dignità. Ma Bueb pretende anche il rispetto dei giovani di fronte agli adulti e punta sull'autorità. Ma che succede se l'autorità non si fonda né nella persona dell'adulto né nella tradizione? La dobbiamo ugualmente conclamare? Una domanda che Hannah Arendt poneva già nel 1958 nel suo scritto Crisi dell´educazione. «L'autorità - scriveva l'intellettuale ebrea - è stata abbandonata dagli adulti e ciò può significare solo una cosa: che gli adulti si rifiutano di assumere la responsabilità per il mondo in cui hanno fatto nascere i loro figli». Oggi, cinquant'anni dopo, il pensiero della Arendt appare di un'attualità lampante. Si potrebbe ironicamente pensare che oggi da educare sarebbero in primo luogo gli adulti! Com'era da attendersi, il testo di Bueb è stato oggetto di sporadiche ma feroci critiche. «Bueb contrappone la disciplina e l'amore - scrive la Tageszeitung, quotidiano di sinistra - ma disciplina è un concetto morale, amore è un sentimento che rientra nell'ambito della psicologia. I bambini (secondo Bueb, ndr.) oggi vengono trattati con troppo amore e il loro comportamento è giustificato con l'aiuto della psicologia. Se Bueb chiede più disciplina - chiede la Taz - significa che considera il mondo da un'unica prospettiva, quella della morale». Disciplina e amore: per la Taz una dicotomia che Berhard Bueb non accetta. Come non accetta che la disciplina sia il toccasana di tutti i problemi. La vi olenza in certe scuole, ad esempio, non si elimina solo con la disciplina. È un problema di cui la politica deve farsi carico dando ai giovani concrete prospettive future con posti di apprendistato e assegni di studio.
«Avvenire» del 24 marzo 2007
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