Franc Pregelj ha citato in tribunale chi lo ha definito così. Ma ha perso
di Luigi Ferrarella
Può lo storico più del giudice? Può chiamare «boia di Gorizia» lo sloveno che una sentenza italiana ha prosciolto proprio dall’accusa di essere stato il «boia di Gorizia» di 800 italiani gettati nelle foibe nel 1945? Sì, se «l’esercizio del diritto di critica storica e storico-politica» scrimina dalla diffamazione (pur in presenza di un esito assolutorio) non «apodittiche illazioni», ma «fatti storici verificati con scrupolo» di cui «sono lecite interpretazioni e valutazioni storiche». Franc Pregelj, segretario del partito comunista sloveno e rappresentante del comitato di liberazione jugoslavo in contatto con l’italiano CLN, aveva querelato per diffamazione lo storico Marco Pirina, fondatore del centro studi «Silentes Loquimur» di Pordenone, che in un’intervista al settimanale Oggi, il 29 gennaio 2003 lo aveva indicato come «boia di Gorizia» alla conclusione delle indagini della Procura militare di Padova: qui, infatti, i pm Block e Dini il 12 novembre 2002 lo avevano indagato per sequestro e omicidio di 202 civili e 635 militari italiani, fucilati o gettati vivi nelle foibe nel breve periodo di occupazione jugoslava della zona goriziana dal primo maggio al 15 giugno 1945. Pregelj era ricorso in Cassazione sulla competenza territoriale, ottenendone lo spostamento a Gorizia, dove però il fascicolo era stato ulteriormente girato a Bologna per questioni di procedura. E, in effetti, i magistrati di Bologna nel 2005 lo avevano infine archiviato. Dunque lo storico intervistato e i giornalisti intervistatori hanno diffamato il prosciolto Pregelj? No, scrive ora il giudice milanese Andrea Ghinetti, trasformatosi un poco in «storico» sulla scorta dell’istruttoria alimentata dall’avvocato difensore Roberta Guaineri. Perché proprio dagli atti dell’inchiesta archiviata risulta che, se non c’è prova che Pregelj fosse consapevole del programma di eliminazione al quale andavano incontro gli italiani prelevati a Gorizia, «è tuttavia pacifico che egli fu il maggiore protagonista a Gorizia dei rastrellamenti di cittadini che venivano poi condotti in luoghi di prigionia jugoslavi»: un ruolo di «prelevatore e temporaneo gestore-interrogante di coloro che "sequestrava" per consegnare all’esercito jugoslavo, non anche di determinatore della loro sorte». Il giudice ritiene dunque che il fatto che l’imputato di diffamazione (cioè lo storico) «non sia certo "ideologicamente neutrale" sulla vicenda dell’occupazione slava e degli eccidi compiuti in quel tempo, non vale a revocare in dubbio la oggettiva sostenibilità della sua tesi storica sul ruolo di Pregelj nell’ambito dell’esercizio del diritto di critica storica e storico-politica»: sicché «le sue affermazioni non appaiono gratuite figlie di apodittiche illazioni, ma lecite interpretazioni e valutazioni storiche», in quanto «basate su fatti storici verificati anche dall’autorità giudiziaria», con la conseguenza che «il fatto, di innegabile interesse pubblico, è oggettivamente scriminato». Certo, resta l’uso di quell’espressione forte, «boia di Gorizia». Ma poiché «sul piano storico e morale non è illegittimo concludere per un giudizio di verosimile responsabilità di Pregelj», il giudice considera che «l’elasticità del requisito della continenza consenta di coprire il pur infamante epiteto utilizzato».
«Corriere della sera» del 18 marzo 2007
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