Si può scegliere il colore degli occhi
di Monica Ricci Sargentini
Nella clinica per la fecondazione eterologa. Un colloquio, poi l'impianto. I farmaci per la donatrice si portano dall'Italia
L'embrione si ordina su Internet. In cinque minuti. Il tempo di cliccare tre volte sul sito della clinica Eugin, uno degli istituti di Barcellona più frequentati dagli italiani dopo l'approvazione della legge 40 sulla procreazione assistita. «Sono una donna che desidera un figlio ma non ho un compagno». «Soffro di insufficienza ovarica». La diagnosi è in tempo reale. «In base al profilo appena selezionato la clinica Eugin le consiglia: fecondazione in vitro con ovuli della donatrice e seme della banca». La tappa successiva è la compilazione di un modulo con i dati personali. Il preventivo arriva dopo un secondo nella posta elettronica: 5.100 euro se l'aspirante mamma si impegna a portare dall'Italia i farmaci
Una pubblicità per reclutare «donatori»
per la donatrice, magari facendoseli prescrivere dal Servizio sanitario nazionale, altrimenti il costo sale a 6.600 euro, più altri 1.500 per il congelamento degli embrioni in eccesso e il possibile secondo tentativo. All'email sono allegati anche i due moduli per selezionare il donatore e la donatrice: taglia, peso, colore della pelle e degli occhi. La mattina dopo il telefono squilla e una gentilissima voce italiana ti chiede quando vuoi fissare l'appuntamento. Se hai le analisi pronte (emocromo, ecografia pelvica, pap test e prove epatiche) l'attesa è minima. La visita è fissata dopo una settimana alle 16. Costo 300 euro che verranno poi scalati dal preventivo. «Mi raccomando — spiega la segretaria — porti una foto».
La clinica Eugin è nella zona commerciale di Barcellona, al confine con il quartiere Sarrià-Sant Gervasi, dove hanno sede tutti gli altri centri per la fecondazione artificiale. L'arredamento è ipermoderno ma essenziale.
PRIVACY APPROSSIMATIVA - Quando passi la porta sembra di entrare in un acquario. Tutto è in vetro: le pareti, le porte, persino il bancone delle segretarie. La saletta d'attesa è popolata da un'altra donna sola e da una coppia. Sguardi nel vuoto o impegnati nella lettura di un giornale. L'imbarazzo è forte. Il silenzio viene interrotto dall'arrivo di una hostess: «I signori Brambilla? Siete qui per la Fivet con ovodonazione? Mi date le analisi?». Alla faccia della privacy. Gli italiani se ne vanno, un po' mesti. Rimane la signora francese. Sicuramente non giovane. Chissà se anche lei è qui per comprare un embrione. Arriva un'altra hostess. Questa volta francese. E la donna sparisce. La chiamano prima visita ma è un misero colloquio. La dottoressa è una ragazza bruna dagli occhi strabuzzati che ti stringe la mano senza nemmeno dire il suo nome. È spagnola ma è scortata da un'interprete italiana. Fa la solita anamnesi: peso, altezza, precedenti tentativi di fecondazione artificiale. Scorre con distrazione gli esami (alcuni sono falsi). Scuote la testa, aggrotta leggermente le sopracciglia. Poi si pronuncia: «L'insufficienza ovarica non mi sembra dimostrata, se vuole può fare un tentativo con i suoi ovuli (altri 4mila euro ndr). Però l'avviso che dopo i 40 anni le chance di riuscita sono un po' sopra al 10 per cento. Mentre con l'ovodonazione la sua età non ha più importanza e le percentuali di successo salgono al 50%, quasi al 90% dopo quattro tentativi. Pensi — si esalta — che non dovrà nemmeno fare l'amniocentesi perché la donatrice avrà solo 25 anni». Ma poi non ci saranno problemi psicologici? E il patrimonio genetico? «Un figlio è di chi lo partorisce — spiega convinta — quando le crescerà dentro la pancia si dimenticherà di come è nato».
PROBLEMI PSICOLOGICI - Già, i geni non contano. Vallo a raccontare a Katrina Clark, nata in America da madre single, che a 17 anni si è messa a cercare il padre biologico per mare e per terra finché non ha ricevuto per email la sua fotografia: «Quando l'ho vista mi è preso un colpo — ha raccontato —, sul computer c'era la mia stessa faccia che mi guardava. E così in un secondo avevo trovato il pezzo mancante del puzzle. Il puzzle di chi sono io». O alla signora straniera che ha tempestato di telefonate il dottor Ramina, andrologo in un altro centro della città, il Cefer: «La donna aveva avuto un figlio con la spermodonazione — spiega Ramina — e qualche anno dopo il marito era morto, così voleva far conoscere il papà biologico al bambino. Ovviamente le ho detto di no». Di casi così è piena la cronaca. Tanto che in Gran Bretagna hanno tolto l'anonimato per i donatori di sperma. Risultato: c'è carenza di seme e gli inglesi volano in Spagna. «Allora cosa ne dice? — chiede la dottoressa impaziente —. Ora le faccio vedere una presentazione con le due tecniche, così avrà le idee più chiare».
IL MENU - Segue una rigorosa enunciazione di tutto quello che accadrà da un punto di vista medico con tanto di foto dell'ovulo fecondato e dell'embrione ai suoi albori. «Ha ancora dubbi? Se sceglie la stimolazione si dovrà far controllare in Italia e venire qui al momento del pick up dei suoi ovuli, altrimenti seguirà la terapia che le invieremo per preparare l'endometrio a ricevere l'embrione, la chiameremo due giorni prima quando la donatrice sarà pronta». Ma chi eseguirà i controlli in Italia? «Ci sono alcuni centri italiani che sono in contatto con noi, ma sarà lei poi a doverci mandare gli esami via fax. Ecco una lista di quelli di Milano». Gli istituti sono quattro, su alcuni c'è scritto anche il nome di un medico di riferimento ma la legge italiana dice che «chiunque realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni è punito con la reclusione da tre mesi a due anni». Per questo molti dottori aiutano le loro pazienti di soppiatto. Alcuni si spingono fino a prescrivere i farmaci da portare all'estero, anche quelli per le donatrici ma il rischio è alto. «Lei ci provi, comunque» consigliano in clinica. E le donatrici? «Su questo non deve preoccuparsi — dice la dottoressa con un sorriso —, sono tutte ragazze sane che sottoponiamo ad analisi e visita completa. La donazione è un atto altruistico, diamo solo 900 euro come rimborso spese. Ovviamente ci prenderemo cura di selezionare una persona con le sue caratteristiche fisiche. Lei non ha propriamente un aspetto spagnolo ma noi abbiamo giovani di tutte le nazionalità. Sono loro a trovarci su Internet. Dal momento in cui lei deciderà, l'attesa sarà di tre mesi. Per il donatore, invece, non c'è problema. Ci dica che aspetto vuole che abbia». Tre mesi per trovare una ragazza sono tanti. In altri centri si parla di 4 settimane. Ma c'è chi ha dovuto aspettare anche un anno. Con la crescita della domanda, infatti, gli istituti hanno difficoltà a trovare giovani pronte a donare gli ovuli. Si dice che molte vengano reclutate nei Paesi dell'Est. Oppure che si usi una donatrice per due riceventi, diminuendo così le possibilità di riuscita dell'intervento perché la qualità degli ovuli scade.
ESCLUSIVA - «No, non è così — interviene la dottoressa —, la donatrice sarà solo per lei, certo se poi produrrà veramente tanti tanti ovuli allora la divideremo con un'altra. Perché sarebbe uno spreco capisce? Saremmo costretti a congelare troppi embrioni e il tasso di successo diminuirebbe, si tratta di embrioni che hanno subito un bello stress». La visita è finita. La dottoressa stringe la mano alla paziente e la congeda: «Allora noi abbiamo le sue analisi e i suoi dati, quando ha deciso ci chiama o ci scrive un'email e noi le mandiamo la terapia. Non c'è bisogno che torni prima, ci rivediamo direttamente per l'impianto. In bocca al lupo». Uscendo la paziente ha un brivido. Non le hanno chiesto la fotografia. Ma allora la donatrice come la sceglieranno?
Una pubblicità per reclutare «donatori»
per la donatrice, magari facendoseli prescrivere dal Servizio sanitario nazionale, altrimenti il costo sale a 6.600 euro, più altri 1.500 per il congelamento degli embrioni in eccesso e il possibile secondo tentativo. All'email sono allegati anche i due moduli per selezionare il donatore e la donatrice: taglia, peso, colore della pelle e degli occhi. La mattina dopo il telefono squilla e una gentilissima voce italiana ti chiede quando vuoi fissare l'appuntamento. Se hai le analisi pronte (emocromo, ecografia pelvica, pap test e prove epatiche) l'attesa è minima. La visita è fissata dopo una settimana alle 16. Costo 300 euro che verranno poi scalati dal preventivo. «Mi raccomando — spiega la segretaria — porti una foto».
La clinica Eugin è nella zona commerciale di Barcellona, al confine con il quartiere Sarrià-Sant Gervasi, dove hanno sede tutti gli altri centri per la fecondazione artificiale. L'arredamento è ipermoderno ma essenziale.
PRIVACY APPROSSIMATIVA - Quando passi la porta sembra di entrare in un acquario. Tutto è in vetro: le pareti, le porte, persino il bancone delle segretarie. La saletta d'attesa è popolata da un'altra donna sola e da una coppia. Sguardi nel vuoto o impegnati nella lettura di un giornale. L'imbarazzo è forte. Il silenzio viene interrotto dall'arrivo di una hostess: «I signori Brambilla? Siete qui per la Fivet con ovodonazione? Mi date le analisi?». Alla faccia della privacy. Gli italiani se ne vanno, un po' mesti. Rimane la signora francese. Sicuramente non giovane. Chissà se anche lei è qui per comprare un embrione. Arriva un'altra hostess. Questa volta francese. E la donna sparisce. La chiamano prima visita ma è un misero colloquio. La dottoressa è una ragazza bruna dagli occhi strabuzzati che ti stringe la mano senza nemmeno dire il suo nome. È spagnola ma è scortata da un'interprete italiana. Fa la solita anamnesi: peso, altezza, precedenti tentativi di fecondazione artificiale. Scorre con distrazione gli esami (alcuni sono falsi). Scuote la testa, aggrotta leggermente le sopracciglia. Poi si pronuncia: «L'insufficienza ovarica non mi sembra dimostrata, se vuole può fare un tentativo con i suoi ovuli (altri 4mila euro ndr). Però l'avviso che dopo i 40 anni le chance di riuscita sono un po' sopra al 10 per cento. Mentre con l'ovodonazione la sua età non ha più importanza e le percentuali di successo salgono al 50%, quasi al 90% dopo quattro tentativi. Pensi — si esalta — che non dovrà nemmeno fare l'amniocentesi perché la donatrice avrà solo 25 anni». Ma poi non ci saranno problemi psicologici? E il patrimonio genetico? «Un figlio è di chi lo partorisce — spiega convinta — quando le crescerà dentro la pancia si dimenticherà di come è nato».
PROBLEMI PSICOLOGICI - Già, i geni non contano. Vallo a raccontare a Katrina Clark, nata in America da madre single, che a 17 anni si è messa a cercare il padre biologico per mare e per terra finché non ha ricevuto per email la sua fotografia: «Quando l'ho vista mi è preso un colpo — ha raccontato —, sul computer c'era la mia stessa faccia che mi guardava. E così in un secondo avevo trovato il pezzo mancante del puzzle. Il puzzle di chi sono io». O alla signora straniera che ha tempestato di telefonate il dottor Ramina, andrologo in un altro centro della città, il Cefer: «La donna aveva avuto un figlio con la spermodonazione — spiega Ramina — e qualche anno dopo il marito era morto, così voleva far conoscere il papà biologico al bambino. Ovviamente le ho detto di no». Di casi così è piena la cronaca. Tanto che in Gran Bretagna hanno tolto l'anonimato per i donatori di sperma. Risultato: c'è carenza di seme e gli inglesi volano in Spagna. «Allora cosa ne dice? — chiede la dottoressa impaziente —. Ora le faccio vedere una presentazione con le due tecniche, così avrà le idee più chiare».
IL MENU - Segue una rigorosa enunciazione di tutto quello che accadrà da un punto di vista medico con tanto di foto dell'ovulo fecondato e dell'embrione ai suoi albori. «Ha ancora dubbi? Se sceglie la stimolazione si dovrà far controllare in Italia e venire qui al momento del pick up dei suoi ovuli, altrimenti seguirà la terapia che le invieremo per preparare l'endometrio a ricevere l'embrione, la chiameremo due giorni prima quando la donatrice sarà pronta». Ma chi eseguirà i controlli in Italia? «Ci sono alcuni centri italiani che sono in contatto con noi, ma sarà lei poi a doverci mandare gli esami via fax. Ecco una lista di quelli di Milano». Gli istituti sono quattro, su alcuni c'è scritto anche il nome di un medico di riferimento ma la legge italiana dice che «chiunque realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni è punito con la reclusione da tre mesi a due anni». Per questo molti dottori aiutano le loro pazienti di soppiatto. Alcuni si spingono fino a prescrivere i farmaci da portare all'estero, anche quelli per le donatrici ma il rischio è alto. «Lei ci provi, comunque» consigliano in clinica. E le donatrici? «Su questo non deve preoccuparsi — dice la dottoressa con un sorriso —, sono tutte ragazze sane che sottoponiamo ad analisi e visita completa. La donazione è un atto altruistico, diamo solo 900 euro come rimborso spese. Ovviamente ci prenderemo cura di selezionare una persona con le sue caratteristiche fisiche. Lei non ha propriamente un aspetto spagnolo ma noi abbiamo giovani di tutte le nazionalità. Sono loro a trovarci su Internet. Dal momento in cui lei deciderà, l'attesa sarà di tre mesi. Per il donatore, invece, non c'è problema. Ci dica che aspetto vuole che abbia». Tre mesi per trovare una ragazza sono tanti. In altri centri si parla di 4 settimane. Ma c'è chi ha dovuto aspettare anche un anno. Con la crescita della domanda, infatti, gli istituti hanno difficoltà a trovare giovani pronte a donare gli ovuli. Si dice che molte vengano reclutate nei Paesi dell'Est. Oppure che si usi una donatrice per due riceventi, diminuendo così le possibilità di riuscita dell'intervento perché la qualità degli ovuli scade.
ESCLUSIVA - «No, non è così — interviene la dottoressa —, la donatrice sarà solo per lei, certo se poi produrrà veramente tanti tanti ovuli allora la divideremo con un'altra. Perché sarebbe uno spreco capisce? Saremmo costretti a congelare troppi embrioni e il tasso di successo diminuirebbe, si tratta di embrioni che hanno subito un bello stress». La visita è finita. La dottoressa stringe la mano alla paziente e la congeda: «Allora noi abbiamo le sue analisi e i suoi dati, quando ha deciso ci chiama o ci scrive un'email e noi le mandiamo la terapia. Non c'è bisogno che torni prima, ci rivediamo direttamente per l'impianto. In bocca al lupo». Uscendo la paziente ha un brivido. Non le hanno chiesto la fotografia. Ma allora la donatrice come la sceglieranno?
«Corriere della sera» del 7 aprile 2007
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