Di Francesco D'Agostino
È giusto che un cittadino adulto, capace di intendere e di volere, compiutamente informato, possa redigere, eventualmente con l'aiuto del suo medico di fiducia, dichiarazioni anticipate di trattamento, indicando in anticipo a quali trattamenti medici vorrebbe essere sottoposto e quali altri trattamenti vorrebbe invece rifiutare, nell'ipotesi di una perdita irreversibile di capacità, per traumi, malattie terminali invalidanti o senescenza estremamente avanzata? È giusto o no che un cittadino possa esplicitamente rifiutare l'accanimento terapeutico e indicare in anticipo il nome di un fiduciario (coniuge, figlio, parente, medico curante, amico), abilitato a concordare con i medici la terapia ottimale a suo favore?
Certo che è giusto. Ad alcune condizioni però: a) che la decisione di redigere o no dichiarazioni anticipate sia e resti una libera scelta del cittadino, che mai e poi mai dovrebbe divenire destinatario di un dovere legale di redigerle; b) che le dichiarazioni anticipate contengano richieste lecite e legali, quali quelle che un paziente capace di intendere e di volere potrebbe comunque legittimamente rivolgere al proprio medico curante (ad es. la preferenza per una terapia farmacologica anziché chirurgica, per una degenza domiciliare anziché ospedaliera, ecc.) e mai richieste illegali (quali ad es. l'eutanasia, il suicidio assistito o la commercializzazione post mortem di organi a fini di trapianto); c) che il fiduciario sia abilitato a rivolgere al medico solo richieste lecite, ovviamente nel pieno rispetto delle dichiarazioni del paziente e nel suo miglior interesse; e d) che il medico, destinatario delle dichiarazioni anticipate, pur avendo il dovere di tenerle in adeguata e seria considerazione, non venga mai dalla legge vincolato alla loro osservanza (esattamente come il medico di un paziente "competente" non può mai trasformarsi in un esecutore cieco e passivo delle richieste di questo).
Sulle posizioni che ho appena sintetizzato, trascura ndo parecchi utili dettagli, si è attestato, già da parecchi anni, il Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb), approvando all'unanimità il 18 dicembre 2003 un documento intitolato appunto Dichiarazioni anticipate di trattamento: un documento importante, perché il consenso unanime da esso riscosso aveva alle spalle mesi di discussioni dure e serrate. Su di un solo punto il Cnb, in una successiva postilla al documento, si è espresso non all'unanimità, ma a maggioranza: sul fatto cioè che non è possibile far rientrare nel legittimo rifiuto che un paziente possa esprimere nei confronti di una terapia anche il rifiuto dell'alimentazione e dell'idratazione. Se per alcuni membri del Cnb alimentazione e idratazione sarebbero da assimilare a atti medici, il cui rifiuto - anche anticipato - da parte del soggetto interessato sarebbe lecito, per la maggioranza esse sarebbero invece da considerare forme premediche di sostentamento vitale, dotate di un altissimo valore etico e simbolico e la cui sospensione realizzerebbe di fatto una forma, particolarmente insidiosa, perché indiretta, di eutanasia.
A suo tempo, il Cnb trasmise al Parlamento il suo documento, che avrebbe meritato attenzione, se non altro per la funzione istituzionale posseduta dal Comitato stesso. Perché questo? Forse perché il testo del Comitato era esplicito e inequivocabile nel tenere a distanza incolmabile la logica del testamento biologico e quella dell'eutanasia? In molti dei disegni di legge attualmente in discussione presso la commissione Sanità del Senato una simile distanza incolmabile non è infatti percepibile. Non credo che sia un caso se nell'importante convegno sul testamento biologico promosso dallo stesso senatore Marino pochi giorni fa al Senato non solo non si è assunto il documento del Cnb come punto di partenza per la discussione, ma non gli è stata data alcuna particolare evidenza.
È quanto basta per giustificare le apprensioni non solo del Segretario della Cei monsignor Betori, ma soprat tutto di tutti quei medici e di tutti quei cittadini che percepiscono come un dibattito mascherato, finalizzato a legalizzare l'eutanasia, quello che da settimane si svolge in Parlamento sul testamento biologico.
Certo che è giusto. Ad alcune condizioni però: a) che la decisione di redigere o no dichiarazioni anticipate sia e resti una libera scelta del cittadino, che mai e poi mai dovrebbe divenire destinatario di un dovere legale di redigerle; b) che le dichiarazioni anticipate contengano richieste lecite e legali, quali quelle che un paziente capace di intendere e di volere potrebbe comunque legittimamente rivolgere al proprio medico curante (ad es. la preferenza per una terapia farmacologica anziché chirurgica, per una degenza domiciliare anziché ospedaliera, ecc.) e mai richieste illegali (quali ad es. l'eutanasia, il suicidio assistito o la commercializzazione post mortem di organi a fini di trapianto); c) che il fiduciario sia abilitato a rivolgere al medico solo richieste lecite, ovviamente nel pieno rispetto delle dichiarazioni del paziente e nel suo miglior interesse; e d) che il medico, destinatario delle dichiarazioni anticipate, pur avendo il dovere di tenerle in adeguata e seria considerazione, non venga mai dalla legge vincolato alla loro osservanza (esattamente come il medico di un paziente "competente" non può mai trasformarsi in un esecutore cieco e passivo delle richieste di questo).
Sulle posizioni che ho appena sintetizzato, trascura ndo parecchi utili dettagli, si è attestato, già da parecchi anni, il Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb), approvando all'unanimità il 18 dicembre 2003 un documento intitolato appunto Dichiarazioni anticipate di trattamento: un documento importante, perché il consenso unanime da esso riscosso aveva alle spalle mesi di discussioni dure e serrate. Su di un solo punto il Cnb, in una successiva postilla al documento, si è espresso non all'unanimità, ma a maggioranza: sul fatto cioè che non è possibile far rientrare nel legittimo rifiuto che un paziente possa esprimere nei confronti di una terapia anche il rifiuto dell'alimentazione e dell'idratazione. Se per alcuni membri del Cnb alimentazione e idratazione sarebbero da assimilare a atti medici, il cui rifiuto - anche anticipato - da parte del soggetto interessato sarebbe lecito, per la maggioranza esse sarebbero invece da considerare forme premediche di sostentamento vitale, dotate di un altissimo valore etico e simbolico e la cui sospensione realizzerebbe di fatto una forma, particolarmente insidiosa, perché indiretta, di eutanasia.
A suo tempo, il Cnb trasmise al Parlamento il suo documento, che avrebbe meritato attenzione, se non altro per la funzione istituzionale posseduta dal Comitato stesso. Perché questo? Forse perché il testo del Comitato era esplicito e inequivocabile nel tenere a distanza incolmabile la logica del testamento biologico e quella dell'eutanasia? In molti dei disegni di legge attualmente in discussione presso la commissione Sanità del Senato una simile distanza incolmabile non è infatti percepibile. Non credo che sia un caso se nell'importante convegno sul testamento biologico promosso dallo stesso senatore Marino pochi giorni fa al Senato non solo non si è assunto il documento del Cnb come punto di partenza per la discussione, ma non gli è stata data alcuna particolare evidenza.
È quanto basta per giustificare le apprensioni non solo del Segretario della Cei monsignor Betori, ma soprat tutto di tutti quei medici e di tutti quei cittadini che percepiscono come un dibattito mascherato, finalizzato a legalizzare l'eutanasia, quello che da settimane si svolge in Parlamento sul testamento biologico.
«Avvenire» del 6 aprile 2007
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