04 aprile 2007

Rousseau e Sartre, i veri teorici del totalitarismo

Nel nuovo libro Francesco Alberoni studia i rapporti di potere tra leader e masse
di Francesco Alberoni
Liberali, anarchici, marxisti o islamisti: il meccanismo che porta al terrore
Prima di diventare celebre con saggi sulla fenomenologia dei sentimenti, come «Innamoramento e amore» del 1979, «L’amicizia» del 1984 e «L’erotismo» del 1986, Francesco Alberoni aveva svolto studi sulle istituzioni e sui movimenti collettivi, come «Statu nascenti» (1968) e «Movimento e istituzione» (1977). Con il suo nuovo libro, «Leader e masse» (Rizzoli, pagine 164, 15, da oggi in libreria), Alberoni riprende quel filone e, con una scrittura chiara e accessibile a tutti, punta ad evidenziare alcune delle dinamiche che attualmente regolano il difficile rapporto tra leader e popolo.
«Nella storia e nella tradizione popolare - scrive Francesco Alberoni nel suo nuovo libro - i movimenti collettivi politici e religiosi, le rivolte, le rivoluzioni sono ricordati col nome di un capo che trascina le masse». Proprio molti di questi capi hanno finito poi per trascinare le masse verso gli assolutismi: da Marx e Lenin, a Mussolini e Hitler a Stalin, Mao e Fidel Castro. Qui di di seguito anticipiamo due capitoli del libro che evidenziano (in particolare) i rapporti tra leader, popolo e costruzione di tirannia e democrazia: «La strada che allontana dalla democrazia» e «La strada che conduce alla democrazia». Altri capitoli del libro sono stati dedicati da Alberoni alla esplicitazione delle caratteristiche del capo carismatico, al complesso rapporto tra movimenti rivoluzionari e guerre, alle campagne elettorali e alle strutture dei Paesi emergenti, come l’India e la Cina. Una parte di «Leader e masse» è anche dedicata all’analisi tra il relativismo culturale dell’Europa e i fondamentalismi moderni, in particolare a quello legato al mondo islamico. D iamo una grande importanza al pensiero di Jean-Jacques Rousseau come causa dell’incapacità della rivoluzione francese di generare istituzioni democratiche. Per capirlo partiamo da come definisce il contratto sociale: «Quella formazione per la quale ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisca che a se stesso e resti libero come prima». Ma l’unica formazione sociale i cui membri hanno questa esperienza è il gruppo allo stato nascente. Molti hanno pensato che questa definizione del contratto sociale di Rousseau fosse un’idea astratta. Non è vero, è una esperienza concreta, che però esiste solo nella fase iniziale dei movimenti, poi scompare. È una esperienza di breve durata, non una istituzione. L’errore di Rousseau è di farne l’istituzione cardine dello Stato. Nella sua fantasia, col contratto sociale lo stato nascente si perpetualizza e così ciascuno, fondendosi con gli altri, resta libero come prima. Nelle istituzioni reali, invece non si dà mai il caso in cui qualcuno, unendosi a tutti, non obbedisca che a se stesso. Rousseau descrive l’esperienza di libertà, uguaglianza, fratellanza, unanimità, verità e giustizia che gli uomini hanno nello stato nascente senza sapere che è lo stato nascente e anzi immaginando che essa possa diventare permanente, farsi istituzione. Ma come? Prende dagli autori anglosassoni l’idea di contratto e lo applica a questa esperienza effimera di unanimità. Il risultato è un mostro giuridico sociologico in cui degli uomini si riuniscono e fanno un contratto sociale da cui sorge, di colpo, un affratellamento mistico ed una Volontà Generale infallibile ed onnipotente. Nel contratto sociale - egli precisa - l’uomo aliena tutto se stesso nella Volontà Generale e non può più tornare indietro, non può più dissentire, se lo fa deve essere ucciso. In questo modo il gruppo diventa un sistema totalitario e al suo interno può imporre tutto ciò che vuole. È la fraternità-terrore di Sartre. Con questa teoria Rousseau può essere considerato il padre tanto del terrore rivoluzionario come del totalitarismo moderno. Dopo i giacobini, infatti, lo seguiranno prima gli anarchici, poi Marx e tutti i marxisti. Il punto di partenza è sempre pensare che possa esistere una istituzione che realizza tutte le esperienze, i sogni, le speranze dello stato nascente, che ne sia l’ipostatizzazione e la perpetualizzazione. Mentre è solo ed esclusivamente nello stato nascente che esiste l’esperienza della coincidenza della volontà individuale autentica e della volontà generale e questa esperienza svanisce con esso. Tutte le dottrine politiche, siano esse liberali, anarchiche, marxiste o islamiste, che promettono istituzioni capaci di conservare la coincidenza fra volontà individuale e volontà generale (profana o divina) producono totalitarismi.
All’estremo opposto del pensiero francese, che ha il suo padre in Rousseau e vede emergere la Costituzione dal contratto sociale creatore di una Volontà Generale senza limiti, la scuola inglese fa nascere lo Stato e la Costituzione solo dal freddo calcolo razionale. Incomincia Hobbes, che vive in epoca rivoluzionaria e ne ha orrore. Egli la descrive come «stato di natura», in cui ogni uomo agisce per sé, esclusivamente per sé, chiuso nel suo egoismo. Ciascuno tende spontaneamente a depredare gli altri, ad asservirli. Ne risulta una lotta di tutti contro tutti. Da questa ostilità generalizzata, da questa vita insicura e angosciosa gli uomini escono con la ragione. Ciò che unisce gli uomini non è l’entusiasmo, la fede, il movimento, al contrario è la riflessione, il calcolo della propria convenienza. Essendo intelligenti, capiscono che possono cedere il loro potere a qualcuno in cambio della vita e della sicurezza. Avendo ceduto il loro potere in questo modo al sovrano, sarà lui che li costringerà a vivere insieme in una armonia predisposta dalla legge. Locke non ha una immagine così cupa della situazione perché, ormai, la fase rivoluzionaria in Inghilterra era definitivamente conclusa e senza strascichi di tipo dispotico. Il malessere sociale era piuttosto dovuto all’incertezza, all’insicurezza. I cittadini ne avevano abbastanza di re autoritari e di capi carismatici tirannici alla Oliver Cromwell. Volevano leggi, giudici imparziali, un Parlamento libero, diritti rispettati. I governanti, per Locke, sono amministratori al servizio della comunità e il loro compito è assicurare la prosperità e il benessere dei cittadini. Il sovrano non può mai e poi mai andare contro i diritti naturali inalienabili dei suoi sudditi. Se il sovrano attenta alla proprietà e alla libertà, i cittadini hanno il diritto di insorgere. Con questo edificio di esemplare chiarezza e semplicità Locke ha fornito il modello dello Stato costituzionale moderno. Egli è veramente il padre della democrazia. È così che nasce la democrazia moderna: proclamazione dei diritti e dei limiti posti al sovrano, chiunque esso sia. E, fra i diritti, il primo che deve esser rispettato è la libertà dei politici. La rivoluzione francese, come poi quella sovietica e cinese, ha distrutto la democrazia perché ha considerato il dissenso come tradimento ed ha annientato l’opposizione con mezzi giudiziari. La Costituzione deve affermare nel modo più chiaro la inviolabilità degli eletti e garantire loro, dopo la sconfitta, di poter riprendere la competizione. Senza queste tre garanzie elementari non può esserci democrazia. Ebbene, sono proprio le dottrine politiche che sottolineano maggiormente il momento fondante collettivo, assembleare, consiliare, ugualitario che le negano e che perciò, nonostante le promesse, producono istituzioni politiche totalitarie.
«Corriere della sera» del 21 marzo 2007

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