Allegorie, visioni, memorie di un mitico passato. A Ferrara le opere degli artisti che precorrono le avanguardie
di Maurizia Tazartes
Cleopatre, chimere, principesse. È il Simbolismo, movimento europeo fra il tardo Ottocento e il primo Novecento. Il regno del sogno, della fantasia, del mistero, cui molti artisti di metà XIX secolo decisero di aderire in alternativa alle accademie, e al di fuori di realismo e impressionismo. Da Gustave Moreau alle preziosità auree di Gustav Klimt, un filo simbolista percorre l’Europa, preparando la strada alle avanguardie del XX secolo. Lo racconta una grande mostra a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, con centoundici opere tra dipinti, disegni, incisioni, litografie ed un bel catalogo (Ferrara Arte). Il percorso cronologico si svolge lungo dodici sale, sottolineando i temi più frequenti, come vita e morte, sogno e riflessione, mistero, mito, lo scorrere del tempo.
Perché Simbolismo? Perché le opere di questi artisti, dalla sensibilità inquieta, che rifiutano modelli reali per inoltrarsi in visioni fantastiche o ideali, suggerite dalle proprie emozioni, sono ricche di simboli e allegorie, di reminiscenze letterarie ed erudite. Gustave Moreau, ad esempio nell’Apparizione, un acquerello su carta del 1876 circa, rappresenta la vicenda biblica della Salomé e del Battista come monito alla tragica influenza della donna fatale. Certo, qualche volta, il peso dei significati reconditi, aggiunto a un’esuberanza di colori e preziosismi, appesantisce i dipinti. Ma non mancano, nelle tre grandi sezioni della mostra, i capolavori.
Tra i primi, negli anni Sessanta dell’Ottocento, a voler abbandonare una visione naturalistica, per rivalutare miti fantastici e soggetti allegorici, ci fu proprio il parigino Gustave Moreau, apprezzato da Proust e Huysmans, che ne decretarono il successo. Con lui tornano alla ribalta personaggi come Fetonte, Edipo, la Sfinge, Elena di Troia, Giove, trattati con una pittura preziosa e sofisticata. Più idilliaco, Puvis de Chavannes realizza dipinti armonici, dai colori tenui, come La Morte e le fanciulle, un’allegoria dello scorrere del tempo, simile alle danze macabre del medioevo. Altro visionario fu Arnold Böcklin, autore di una sensuale e drammatica Cleopatra, criticata dai contemporanei, per il taglio spregiudicato quasi fuori della cornice e la testa in gran parte in ombra.
L’affermazione vera e propria del Simbolismo avviene negli anni Ottanta-Novanta, con Odilon Redon, di cui sono esposti dipinti, disegni, incisioni, litografie. E poi con Edvard Munch, Paul Gauguin, per citare i più noti. Gauguin, dopo aver fatto esperienze impressioniste, aderisce alle nuove tendenze simboliste, suggestionato dalla poesia di Mallarmé. Con un linguaggio colto e raffinato, realizza opere originali, intrecciando tradizioni occidentali e orientali. L’estroso bassorilievo policromo, Siate misteriose, esposto a Bruxelles nei primi anni Novanta, ebbe però scarso successo perché considerato troppo vicino all’arte popolare negra. A difenderlo ci fu il critico Albert Aurier nel suo articolo «Le Symbolisme en peinture» pubblicato sul Mercure de France nel marzo 1891: «Come descrivere il legno scolpito, Siate misteriose, che canta le pure gioie dell’esoterismo, le conturbanti carezze dell’enigma, le fantastiche fronde ombrose delle foreste...?». I simboli della vita e della morte sono nei due volti che accompagnano il nudo di schiena, identificati dai colori blu (morte), rosso (vita). Ancora più suggestivo il dipinto Parole del diavolo del 1892, che raffigura una giovane donna tahitiana mentre si copre il pube con un panno bianco e guarda con la coda dell’occhio il Maligno alle spalle.
Anche Munch, dopo un primo periodo naturalista, decise di esprimere in pittura le proprie sensazioni ed emozioni, attraverso colori esasperati e linee forti. La Malinconia (Sera) del 1892 è fatta di grandi macchie di colore: sono le rocce di un desolato e fantastico paesaggio marino, in cui un uomo, di spalle, all’angolo destro della tela, mugugna, forse ingelosito dalle due figure lontane. Una delusione sentimentale? Dell’artista stesso?
LA MOSTRA: «Il Simbolismo. Da Moreau a Gauguin a Klimt», Ferrara, Palazzo dei Diamanti, sino al 20 maggio 2007. Informazioni e prenotazioni: 0532.244949
Perché Simbolismo? Perché le opere di questi artisti, dalla sensibilità inquieta, che rifiutano modelli reali per inoltrarsi in visioni fantastiche o ideali, suggerite dalle proprie emozioni, sono ricche di simboli e allegorie, di reminiscenze letterarie ed erudite. Gustave Moreau, ad esempio nell’Apparizione, un acquerello su carta del 1876 circa, rappresenta la vicenda biblica della Salomé e del Battista come monito alla tragica influenza della donna fatale. Certo, qualche volta, il peso dei significati reconditi, aggiunto a un’esuberanza di colori e preziosismi, appesantisce i dipinti. Ma non mancano, nelle tre grandi sezioni della mostra, i capolavori.
Tra i primi, negli anni Sessanta dell’Ottocento, a voler abbandonare una visione naturalistica, per rivalutare miti fantastici e soggetti allegorici, ci fu proprio il parigino Gustave Moreau, apprezzato da Proust e Huysmans, che ne decretarono il successo. Con lui tornano alla ribalta personaggi come Fetonte, Edipo, la Sfinge, Elena di Troia, Giove, trattati con una pittura preziosa e sofisticata. Più idilliaco, Puvis de Chavannes realizza dipinti armonici, dai colori tenui, come La Morte e le fanciulle, un’allegoria dello scorrere del tempo, simile alle danze macabre del medioevo. Altro visionario fu Arnold Böcklin, autore di una sensuale e drammatica Cleopatra, criticata dai contemporanei, per il taglio spregiudicato quasi fuori della cornice e la testa in gran parte in ombra.
L’affermazione vera e propria del Simbolismo avviene negli anni Ottanta-Novanta, con Odilon Redon, di cui sono esposti dipinti, disegni, incisioni, litografie. E poi con Edvard Munch, Paul Gauguin, per citare i più noti. Gauguin, dopo aver fatto esperienze impressioniste, aderisce alle nuove tendenze simboliste, suggestionato dalla poesia di Mallarmé. Con un linguaggio colto e raffinato, realizza opere originali, intrecciando tradizioni occidentali e orientali. L’estroso bassorilievo policromo, Siate misteriose, esposto a Bruxelles nei primi anni Novanta, ebbe però scarso successo perché considerato troppo vicino all’arte popolare negra. A difenderlo ci fu il critico Albert Aurier nel suo articolo «Le Symbolisme en peinture» pubblicato sul Mercure de France nel marzo 1891: «Come descrivere il legno scolpito, Siate misteriose, che canta le pure gioie dell’esoterismo, le conturbanti carezze dell’enigma, le fantastiche fronde ombrose delle foreste...?». I simboli della vita e della morte sono nei due volti che accompagnano il nudo di schiena, identificati dai colori blu (morte), rosso (vita). Ancora più suggestivo il dipinto Parole del diavolo del 1892, che raffigura una giovane donna tahitiana mentre si copre il pube con un panno bianco e guarda con la coda dell’occhio il Maligno alle spalle.
Anche Munch, dopo un primo periodo naturalista, decise di esprimere in pittura le proprie sensazioni ed emozioni, attraverso colori esasperati e linee forti. La Malinconia (Sera) del 1892 è fatta di grandi macchie di colore: sono le rocce di un desolato e fantastico paesaggio marino, in cui un uomo, di spalle, all’angolo destro della tela, mugugna, forse ingelosito dalle due figure lontane. Una delusione sentimentale? Dell’artista stesso?
LA MOSTRA: «Il Simbolismo. Da Moreau a Gauguin a Klimt», Ferrara, Palazzo dei Diamanti, sino al 20 maggio 2007. Informazioni e prenotazioni: 0532.244949
«Il Giornale» del 23 aprile 2007
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