di Dario Fertilio
Laggiù nel Far East della Romania, «dove i selvaggi lavorano in fabbrica», è arrivato l’inviato speciale dell’«Unità». Incaricato di raccontare ai suoi lettori come vanno le cose da quelle parti dopo la caduta del regime di Ceausescu e l’ingresso del Paese nell’Unione Europea, l’inviato Andrea Bajani fa una scoperta sconcertante: la popolazione, ma in particolare i giovani e le ragazze, adorano le scarpe Nike e i centri commerciali all’americana. Li amano a tal punto da mettersi a risparmiare, pur di averli, l’equivalente di un loro stipendio. E gli imprenditori italiani che offrono loro posti di lavoro somigliano ai famigerati piantatori schiavisti d’un tempo. Poveri selvaggi romeni, scuote la testa il messaggero del pensiero progressista occidentale, sono passati dalla padella alla brage! Proprio come gli indiani, che si lasciavano corrompere con specchietti e perline, i romeni di oggi sono schiavi degli imprenditori italiani che impiantano da quelle parti la fabbrichetta. Che triste spettacolo, nota l’inviato dell’«Unità», «quelle infilate di capannoni messi uno accanto all’altro, come Lego di colori diversi!». E i centri commerciali tanto agognati dai romeni di oggi gli ricordano «la megalomania del palazzo eretto da Ceausescu nel centro di Bucarest». Conclusione filosofica: stavano meglio quando stavano peggio, dal momento che «quando c’era Ceausescu si pativa di gran lunga di meno la fame». Cioè, bisognerebbe aggiungere, la pativano di meno gli amici e i reggiborsa del partito di Ceausescu. Il quale, certo, «non omologava i conquistati ai propri consumi». Però faceva sparire i dissidenti. E, per non lasciare spazio al consumismo, semplicemente aboliva i consumi e tagliava la luce elettrica nella case.
«Corriere della sera» del 14 aprile 2007
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