di Ilaria Ramelli
Nel prosieguo del racconto di Caritone che ho confrontato la settimana scorsa con quello evangelico della resurrezione, si parla dell’incredulità di fronte all’idea della tomba vuota: « Sembrava incredibile (apiston) che non vi fosse neppure il cadavere » (III 3,3) e: « Molti entrarono a causa dell’incredulità [apistia] » . Identica incredulità nei discepoli all’annuncio della tomba vuota da parte delle donne si trova anche nei Vangeli: Lc 24,11 dice che i discepoli « non credevano » alle donne (épistoun); Mc 16,11 dice che « non credettero » (épistésan; cfr. 16,13) e parla della « loro incredulità » (apistia). E Gv 20,8 dice che soltanto il discepolo amato « credette » (episteusen). I presenti spiegano il fatto della tomba vuota con un trafugamento di cadavere e si domandano: « La morta dov’è [poû]? » (III 3,4): in Gv 20,2 la Maddalena dice: « Hanno rubato il Signore e non sappiamo dove [poû] l’abbiano posto ».
In questa generale incredulità, c’è qualcuno che crede: nel Vangelo è Giovanni, il discepolo che Gesù amava (Gv 20,8), oltre alla Maddalena che vede per prima il Risorto (Gv 20,16); nel romanzo è Cherea, lo sposo, che, «volto lo sguardo al cielo, le mani tese» (III 3,5), proclama la divinizzazione di Calliroe («Non sapevo di avere una dea [thea] come sposa»).
Un’ulteriore somiglianza è tra l’incontro della Maddalena con il Risorto in Giovanni, e il ricongiungimento finale dei due sposi, Cherea e Calliroe, allorché quest’ultima, afflitta e velata a lutto poiché crede Cherea morto, lo riconosce per mezzo della voce ed esclama il suo nome, mentre Cherea grida quello della sposa (VIII 1,8: «Calliroe, riconosciutane la voce, si scoprì ed entrambi gridarono insieme: 'Cherea!', 'Calliroe!' » ). In Gv 20,14-17 la Maddalena, anch’ella come Calliroe afflitta e piangente (klaiousa, v. 11; tí klaieis, vv. 13; 15), perché crede morto il suo amato maestro, riconosce poi Gesù risorto non dall’aspetto, bensì quando egli la chiama per nome (20,16: «Gesù le disse: 'Maria!'. Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: 'Rabbuni!'»).
A partire da Petronio e Caritone, e anche da Senofonte di Efeso – anch’egli attivo in una zona in cui il cristianesimo si radicò presto –, contemporaneamente al sorgere del cristianesimo, nei romanzi antichi sarà poi diffuso il topos della morte apparente e della « risurrezione » .
Impressiona il parallelo tra Mt 28,13 («I suoi discepoli, venuti di notte, lo rubarono [eklepsan auton]») e la struttura parimenti trimembre di Caritone III 2,7 («Dei profanatori di tombe [tymbòrykhoi], scavata la tomba, la rubarono [eklepsan autèn]»). La corrispondenza stilistica, lessicale e sintattica in espressioni inusuali suggerisce una ripresa testuale. Il termine tymbòrykhoi è attestato per 16 volte nella Calliroe, come su diversi epitafi di Afrodisia, mentre non compare in alcun altro romanzo greco. Ciò parrebbe deporre a favore della attualità, al tempo di Caritone, di un’accusa come quella che Mt 28,2 testimonia in vigore contro i cristiani, mentre, quando furono scritti gli altri romanzi, probabilmente una simile accusa non era più attuale. Ho già ricordato che la condanna a morte di Terone per il reato di tymbòrykhia sembra riflettere l’anticristiano Editto di Nazareth. Per Caritone il racconto della risurrezione sarebbe, come per Petronio, una favola, e i cristiani dei creduloni, gente che ha creduto che Gesù fosse risorto perché lo desiderava ardentemente: Caritone per due volte, in termini pressoché identici, rileva che gli uomini, quello che vogliono, finiscono anche per crederlo.
Impressiona il parallelo tra Mt 28,13 («I suoi discepoli, venuti di notte, lo rubarono [eklepsan auton]») e la struttura parimenti trimembre di Caritone III 2,7 («Dei profanatori di tombe [tymbòrykhoi], scavata la tomba, la rubarono [eklepsan autèn]»). La corrispondenza stilistica, lessicale e sintattica in espressioni inusuali suggerisce una ripresa testuale. Il termine tymbòrykhoi è attestato per 16 volte nella Calliroe, come su diversi epitafi di Afrodisia, mentre non compare in alcun altro romanzo greco. Ciò parrebbe deporre a favore della attualità, al tempo di Caritone, di un’accusa come quella che Mt 28,2 testimonia in vigore contro i cristiani, mentre, quando furono scritti gli altri romanzi, probabilmente una simile accusa non era più attuale. Ho già ricordato che la condanna a morte di Terone per il reato di tymbòrykhia sembra riflettere l’anticristiano Editto di Nazareth. Per Caritone il racconto della risurrezione sarebbe, come per Petronio, una favola, e i cristiani dei creduloni, gente che ha creduto che Gesù fosse risorto perché lo desiderava ardentemente: Caritone per due volte, in termini pressoché identici, rileva che gli uomini, quello che vogliono, finiscono anche per crederlo.
«Avvenire» del 26 gennaio 2010
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