Su Facebook si moltiplicano i gruppi dove tutto è "happy": campagne, isole, caffè, acquari Ma è un trionfo di noia e ripetitività. Anche per chi insegue una bella (forse) ragazza
di Massimiliano Parente
Fatti la tua fattoria virtuale felice. Fatti il tuo acquario virtuale felice. Fatti la tua isola felice. A Pier Paolo Pasolini, se solo avesse immaginato, sarebbe venuto un ictus. Dopo Second Life, ormai in declino, siamo tornati indietro: l’ultima moda sono i tamagotchi della felicità di massa, elementari e lobotomizzanti. Resta da capire come la chiamiamo, la generazione degli over trenta e over quaranta e perfino over cinquanta iscritta a Facebook e che passa ore a dare da mangiare ai pesciolini virtuali di Fishville, a arare la sua villetta virtuale di Farmville, a cliccare su turisti virtuali per «offrirgli» un drink nella propria Happy Island. La Happy Generation?
Se c’era un aspetto deprimente di Facebook, per me, era proprio l’ostentazione della felicità, troppa per essere vera: album familiari felici, tutti che ridono sempre ovunque, foto di viaggi, feste di compleanno, veglioni di capodanno, neonati ostentati come reliquie, l’invasione degli ultracorpi. Grazie a photoshop e photo boot, nelle foto dei profili chiunque si rende belloccio e passabile, tanto chi ti conosce sa già come sei e gli altri «amici» mica li devi incontrare davvero. E quindi status euforici, isole greche e Maldive, servizi fotografici da qualsiasi parte del mondo, citazioni giulive da Harmony e Baci Perugina, mai nessuno in casa con le ciabatte e la moglie che gli dice che il bambino ha vomitato sul divano.
Io mi ci incanto, sulle gioie altrui spalmate sulle bacheche, quelle di chi ha una vita perché non ha tempo né voglia di pensarla, e quindi a differenza mia vive la sua e basta, e svegliandomi sempre alle tre certe notti passo da una bacheca all’altra, mi perdo in queste felicità immortalate, immortali, già morte. Troppi corpi e nessun corpo, l’estremo dell’intangibilità è forse anche l’unico universo realmente tangibile dalla mente, e anche l’unico aldilà possibile. Era, a pensarci, il pregio e il difetto di Second Life: ci si spostava volando, si assumeva l’apparenza che ci pareva sotto forma di un avatar a nostra immagine e somiglianza o dissomiglianza, e però non si moriva mai, anche cadendo da duecento metri, disattivando la fluttuazione e lasciandosi cadere a capofitto, neppure un graffio, e non si poteva importunare nessuno né essere disturbati, non c’erano pericoli né azioni da temere. Al massimo una denuncia per stalking, o una segnalazione per farti chiudere l’account, come su Facebook. L’eccesso di felicità era anche un eccesso di noia, cosa a cui era arrivato già Jonathan Swift, e infatti Gulliver incappò nell’isola degli immortali, gli Struldbrug, la cui massima aspirazione era porre fine al tedio di vivere.
Tuttavia, prima che mi si accusi di predicare bene e razzolare male, confesso, nel frattempo, che negli ultimi due mesi ho aderito a Countrylife, a Farmville, a Happy Island, a Happy Fish, a Café World, a Happy Pet, ho aderito a tutto, non mi sono fatto mancare niente, e non per scriverne in un mio romanzo o in un racconto o in articolo, sai cosa me ne faccio di queste cacate, tantomeno per sete di alienazioni micidiali, macché. La mia vera ragione era Mirta, una ragazza così affascinante e imprendibile da accontentarmi di esserle vicino di fattoria, di campagna, di isola, di acquario, di qualsiasi cosa, e siccome lei si iscriveva a qualsiasi cosa, io mi sono iscritto a qualsiasi cosa, illudendomi di conquistarla così. Come Leopardi scriveva A Silvia, o dedicava Aspasia a quella stronza di Fanny Targioni Tozzetti, io scrivo «Mirta» nel giardino della mia fattoria, componendo il nome con fiori di tulipani gialli, perché lei lo veda e si innamori di me, e mi lanci una treccia dalla finestra della sua casa padronale, o mi dia un appuntamento segreto in fienile, segreto perché è felicemente fidanzata.
Ogni giorno le mando un «gift» da ogni applicazione installata per lei: una pecorella virtuale per la fattoria felice, un pesce virtuale per l’acquario felice, una palmetta felice per l’isoletta felice; mentre il massimo del piacere e della metafora è fertilizzarle il campo, quando Facebook annuncia a tutto schermo, a te e sulla home page di ogni tuo «amico»: «Massimiliano ha fertilizzato Mirta». Lei a volte neppure un grazie, a volte risponde inviandomi un coniglietto felice, una balla di fieno felice, un lollypop da infilarmi da qualche parte, e quant’è infelice questa felicità, penso, e però sono soddisfatto anch’io di incarnare il rovescio della medaglia di tanta happiness, come al solito riesco a inscenare tragedie teatrali anche sul quasi niente, e in fondo mi corrisponde più Mirta di quanto Dulcinea del Toboso corrispondeva Don Chisciotte.
Così, proprio mentre il giochino mi sta stancando, oggi ho scoperto che, in mezzo a tanto pullulare di allegrie, su Facebook esiste anche Mafia Wars, il cui scopo è diventare un mafioso russo, fico. Non è proprio l’applicazione Don Rodrigo che cercavo, per separare Mirta dal suo amore Renzo o Giuseppe o comunque si chiami, ma forse se divento un boss potrò conquistarla, o almeno sequestrarla e portarla con me su un’isola deserta e finalmente happy. Virtualmente, per carità.
Se c’era un aspetto deprimente di Facebook, per me, era proprio l’ostentazione della felicità, troppa per essere vera: album familiari felici, tutti che ridono sempre ovunque, foto di viaggi, feste di compleanno, veglioni di capodanno, neonati ostentati come reliquie, l’invasione degli ultracorpi. Grazie a photoshop e photo boot, nelle foto dei profili chiunque si rende belloccio e passabile, tanto chi ti conosce sa già come sei e gli altri «amici» mica li devi incontrare davvero. E quindi status euforici, isole greche e Maldive, servizi fotografici da qualsiasi parte del mondo, citazioni giulive da Harmony e Baci Perugina, mai nessuno in casa con le ciabatte e la moglie che gli dice che il bambino ha vomitato sul divano.
Io mi ci incanto, sulle gioie altrui spalmate sulle bacheche, quelle di chi ha una vita perché non ha tempo né voglia di pensarla, e quindi a differenza mia vive la sua e basta, e svegliandomi sempre alle tre certe notti passo da una bacheca all’altra, mi perdo in queste felicità immortalate, immortali, già morte. Troppi corpi e nessun corpo, l’estremo dell’intangibilità è forse anche l’unico universo realmente tangibile dalla mente, e anche l’unico aldilà possibile. Era, a pensarci, il pregio e il difetto di Second Life: ci si spostava volando, si assumeva l’apparenza che ci pareva sotto forma di un avatar a nostra immagine e somiglianza o dissomiglianza, e però non si moriva mai, anche cadendo da duecento metri, disattivando la fluttuazione e lasciandosi cadere a capofitto, neppure un graffio, e non si poteva importunare nessuno né essere disturbati, non c’erano pericoli né azioni da temere. Al massimo una denuncia per stalking, o una segnalazione per farti chiudere l’account, come su Facebook. L’eccesso di felicità era anche un eccesso di noia, cosa a cui era arrivato già Jonathan Swift, e infatti Gulliver incappò nell’isola degli immortali, gli Struldbrug, la cui massima aspirazione era porre fine al tedio di vivere.
Tuttavia, prima che mi si accusi di predicare bene e razzolare male, confesso, nel frattempo, che negli ultimi due mesi ho aderito a Countrylife, a Farmville, a Happy Island, a Happy Fish, a Café World, a Happy Pet, ho aderito a tutto, non mi sono fatto mancare niente, e non per scriverne in un mio romanzo o in un racconto o in articolo, sai cosa me ne faccio di queste cacate, tantomeno per sete di alienazioni micidiali, macché. La mia vera ragione era Mirta, una ragazza così affascinante e imprendibile da accontentarmi di esserle vicino di fattoria, di campagna, di isola, di acquario, di qualsiasi cosa, e siccome lei si iscriveva a qualsiasi cosa, io mi sono iscritto a qualsiasi cosa, illudendomi di conquistarla così. Come Leopardi scriveva A Silvia, o dedicava Aspasia a quella stronza di Fanny Targioni Tozzetti, io scrivo «Mirta» nel giardino della mia fattoria, componendo il nome con fiori di tulipani gialli, perché lei lo veda e si innamori di me, e mi lanci una treccia dalla finestra della sua casa padronale, o mi dia un appuntamento segreto in fienile, segreto perché è felicemente fidanzata.
Ogni giorno le mando un «gift» da ogni applicazione installata per lei: una pecorella virtuale per la fattoria felice, un pesce virtuale per l’acquario felice, una palmetta felice per l’isoletta felice; mentre il massimo del piacere e della metafora è fertilizzarle il campo, quando Facebook annuncia a tutto schermo, a te e sulla home page di ogni tuo «amico»: «Massimiliano ha fertilizzato Mirta». Lei a volte neppure un grazie, a volte risponde inviandomi un coniglietto felice, una balla di fieno felice, un lollypop da infilarmi da qualche parte, e quant’è infelice questa felicità, penso, e però sono soddisfatto anch’io di incarnare il rovescio della medaglia di tanta happiness, come al solito riesco a inscenare tragedie teatrali anche sul quasi niente, e in fondo mi corrisponde più Mirta di quanto Dulcinea del Toboso corrispondeva Don Chisciotte.
Così, proprio mentre il giochino mi sta stancando, oggi ho scoperto che, in mezzo a tanto pullulare di allegrie, su Facebook esiste anche Mafia Wars, il cui scopo è diventare un mafioso russo, fico. Non è proprio l’applicazione Don Rodrigo che cercavo, per separare Mirta dal suo amore Renzo o Giuseppe o comunque si chiami, ma forse se divento un boss potrò conquistarla, o almeno sequestrarla e portarla con me su un’isola deserta e finalmente happy. Virtualmente, per carità.
«Il Giornale» del 6 gennaio 2010
Nessun commento:
Posta un commento