I produttori obbligati per contratto a ritirare la merce invenduta
di Rita Querzé
La stima tiene conto dei soli supermercati
Presente le montagne di arance del supermercato imprigionate nelle retine rosse? Basta che un frutto mostri qualche segno di deperimento perché tutto sia buttato nella spazzatura. Gli yogurt vengono gettati quando sono ancora degni di una sana merenda: «Li preleviamo dagli scaffali due giorni prima della scadenza. Tanto non li compra più nessuno», spiegano i direttori dei supermercati. Per non parlare della aragoste che facevano bella vista nei banchi frigo prima di Natale: quelle invendute sono in gran parte finite nella spazzatura.
Non solo michette e filoncini:i 180 quintali di pane che ogni giorno, a Milano, finiscono nei sacchi neri sono la punta di un enorme iceberg di immondizia. Fatto di frutta, verdura, latticini, pasta. Gli operatori parlano di un 1% di fatturato mancato per colpa dei «resi». «Se si tiene conto che il fatturato della grande distribuzione in Italia supera i 100 miliardi di euro l’anno, lo spreco alimentare vale circa un miliardo», stima Sandro Castaldo, ordinario di Marketing alla Bocconi. E la cifra tiene conto solo della grande distribuzione.
Tra le catene più abili nel contenere i cosiddetti «resi» c’è Esselunga. «Ogni punto vendita produce i quantitativi di pane basandosi sul venduto dei giorni precedenti— spiegano al quartier generale di Pioltello —. Nonostante ciò, è inevitabile che rimanga una piccola quantità di pane. La sua alta deperibilità ci impedisce di regalarlo. Come facciamo invece per altre rimanenze che consegniamo al Banco Alimentare».
Ma il problema non riguarda solo i super. Perché sono i produttori a farsi carico dell’onere economico delle rimanenze. «La grande distribuzione chiede ai panificatori artigianali di consegnare pane fresco in abbondanza per avere gli scaffali pieni fino all’ora di chiusura. Nei contratti è previsto il ritiro dell’invenduto da parte del panificatore. Che non può fare altro che buttare tutto», lamenta Luca Vecchiato, presidente della Federazione italiana panificatori. Il sistema è lo stesso quando si parla di formaggi e latticini. Il produttore è tenuto a ritirare l’invenduto. Per di più mantenendo la catena del freddo. Poi, si vede ritirare gratuitamente i prodotti scaduti da società produttrici di mangimi. In alcuni casi paga un compenso per liberarsi della merce. L’alternativa è buttare tutto nell’umido, con il conseguente versamento della tassa sullo smaltimento dell’immondizia. «Con un sistema efficace di riciclo, si potrebbe ridurre l’impatto sull’ambiente e sfamare persone in difficoltà», sintetizza Luciano Morselli, docente di Gestione dei rifiuti a Rimini. Ma per trasformare in sistema le iniziative di pochi (il Banco Alimentare, i Lastminutemarket dell’università di Bologna) servirebbero agevolazioni fiscali mirate. «Alcuni comuni fanno sconti sulla tassa sui rifiuti a chi dona le eccedenze. Ma non basta — valuta Tommaso di Tanno, docente di diritto tributario all’università di Siena —. Se vogliamo diventare a sprechi zero la leva tributaria potrebbe agire in ben altri modi. Agevolando i virtuosi».
Non solo michette e filoncini:i 180 quintali di pane che ogni giorno, a Milano, finiscono nei sacchi neri sono la punta di un enorme iceberg di immondizia. Fatto di frutta, verdura, latticini, pasta. Gli operatori parlano di un 1% di fatturato mancato per colpa dei «resi». «Se si tiene conto che il fatturato della grande distribuzione in Italia supera i 100 miliardi di euro l’anno, lo spreco alimentare vale circa un miliardo», stima Sandro Castaldo, ordinario di Marketing alla Bocconi. E la cifra tiene conto solo della grande distribuzione.
Tra le catene più abili nel contenere i cosiddetti «resi» c’è Esselunga. «Ogni punto vendita produce i quantitativi di pane basandosi sul venduto dei giorni precedenti— spiegano al quartier generale di Pioltello —. Nonostante ciò, è inevitabile che rimanga una piccola quantità di pane. La sua alta deperibilità ci impedisce di regalarlo. Come facciamo invece per altre rimanenze che consegniamo al Banco Alimentare».
Ma il problema non riguarda solo i super. Perché sono i produttori a farsi carico dell’onere economico delle rimanenze. «La grande distribuzione chiede ai panificatori artigianali di consegnare pane fresco in abbondanza per avere gli scaffali pieni fino all’ora di chiusura. Nei contratti è previsto il ritiro dell’invenduto da parte del panificatore. Che non può fare altro che buttare tutto», lamenta Luca Vecchiato, presidente della Federazione italiana panificatori. Il sistema è lo stesso quando si parla di formaggi e latticini. Il produttore è tenuto a ritirare l’invenduto. Per di più mantenendo la catena del freddo. Poi, si vede ritirare gratuitamente i prodotti scaduti da società produttrici di mangimi. In alcuni casi paga un compenso per liberarsi della merce. L’alternativa è buttare tutto nell’umido, con il conseguente versamento della tassa sullo smaltimento dell’immondizia. «Con un sistema efficace di riciclo, si potrebbe ridurre l’impatto sull’ambiente e sfamare persone in difficoltà», sintetizza Luciano Morselli, docente di Gestione dei rifiuti a Rimini. Ma per trasformare in sistema le iniziative di pochi (il Banco Alimentare, i Lastminutemarket dell’università di Bologna) servirebbero agevolazioni fiscali mirate. «Alcuni comuni fanno sconti sulla tassa sui rifiuti a chi dona le eccedenze. Ma non basta — valuta Tommaso di Tanno, docente di diritto tributario all’università di Siena —. Se vogliamo diventare a sprechi zero la leva tributaria potrebbe agire in ben altri modi. Agevolando i virtuosi».
«Corriere della Sera» del 5 gennaio 2010
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