di Bianca Garavelli
Che la letteratura italiana abbia anche una dimensione scientifica è un fatto che tende a passare inosservato: esempio valido per tutti i tempi è la Divina Commedia, in cui Dante per costruire il suo aldilà si serve delle più attuali nozioni scientifiche del suo tempo. Ma dopo di lui le distanze tra quelli oggi considerati due saperi si fanno più grandi, fino a far parlare di «due culture » ben distinte Charles Snow nel 1959. Una distinzione che sembra averci impoverito: tipico effetto negativo nell’Italia del Novecento ne è stata l’eccessiva ricerca di un’utopica «poesia pura» a partire da Benedetto Croce. Da un lato infatti la scuola crociana ha salvato dal rischio di cadere in un eccessivo tecnicismo filologico, dall’altro però ha impedito di valorizzare i molti contenuti filosofici, scientifici, e persino religiosi che costituiscono il tessuto connettivo di opere fondamentali della nostra storia letteraria. Ora in questo saggio denso di spunti stimolanti Eraldo Bellini, ordinario di Letteratura Italiana all’Università Cattolica di Milano, mostra che riconnettere i fili che legano scienza e letteratura è possibile attraverso l’analisi di un secolo in cui la cesura in questione si è prodotta: il Seicento, dove l’opera di Galileo ha segnato effetti durevoli. Infatti, se nel grande scienziato e scrittore la compresenza di abilità retorica e competenza scientifica è innegabile, tuttavia proprio Galileo comincia a cercare una distinzione fra sapienza «dei poeti» e sapienza di chi, come lui, ha a che fare con la ricerca della verità scientifica. In altre parole, se per meglio esporre le proprie idee scientifiche Galileo non esita a fare ricorso alle sue conoscenze letterarie e alla sua stessa esperienza di scrittore, tuttavia è sempre lui a considerare la propria identità di scienziato come unica, e a ribadire la sua lontananza dagli altri letterati del suo tempo. Una posizione che influenzerà la letteratura successiva, almeno per i decenni centrali del diciassettesimo secolo. Bellini dunque ci fa entrare nel laboratorio retorico di Galileo: in presenza di una profonda convinzione scientifica, a volte rivoluzionaria, lo scienziato scrittore mette in atto un apparato di artifici retorici, alcuni dei quali di evidente origine dantesca e ariostesca. Per esempio, nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, descrive le caratteristiche astronomiche della Terra, in movimento nel cielo, con un’intensa anafora, figura rara nei suoi scritti, che somiglia da vicino a quella con cui Dante esalta le qualità della Madonna nella celebre preghiera dell’ultimo canto del Paradiso. Ed è in questa capacità di creare immagini l’essenziale comune denominatore fra Galileo e gli autori coevi, che lui stesso apprezza con orgoglio: la scrittura è lo strumento quasi miracoloso di diffusione del sapere, che permette di oltrepassare i confini dello spazio e del tempo. Una duplice consapevolezza, di appartenere alla schiera dei letterati ma anche a quella, ancora in formazione, degli studiosi delle cose del mondo, che lo rivela un innovatore e una figura originale, che forse solo in Calvino troverà un degno erede letterario.
Eraldo Bellini, STILI DI PENSIERO NEL SEICENTO ITALIANO: Galileo, i Lincei, i Barberini, Ets, pp. 248, € 16,00.
Eraldo Bellini, STILI DI PENSIERO NEL SEICENTO ITALIANO: Galileo, i Lincei, i Barberini, Ets, pp. 248, € 16,00.
«Avvenire» del 16 gennaio 2010
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